Assente ingiustificato: dipendente licenziato. La ‘guerra’ con l’azienda non rende il provvedimento esagerato

Ben quindici i giorni in cui l’uomo è rimasto a casa, mentre doveva essere a lavoro. Evidente la violazione compiuta. Consequenziale, e legittima, la scelta dell’azienda di licenziare il dipendente. Irrilevante il richiamo ai conflitti, con ripercussioni anche giudiziarie, che hanno caratterizzato il rapporto di lavoro.

Assenza ingiustificata – e prolungata – dal lavoro. Licenziamento consequenziale per il dipendente. Impensabile sostenere la tesi della eccessiva durezza della misura adottata dall’azienda, richiamando la conflittualità – testimoniata anche da un vecchio contenzioso per un precedente licenziamento – che ha caratterizzato il rapporto lavorativo. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 17987/15 depositata oggi Assenza. Punto di svolta è il passaggio in appello, laddove viene ribaltata completamente la decisione emessa dal tribunale per i giudici di secondo grado è evidente l’ illegittimità del licenziamento adottato da un’azienda – operativa nel settore cerealicolo – per assenza ingiustificata del dipendente. Sia chiaro, è acclarata l’ assenza – superiore al limite massimo consentito dal contratto, ossia 3 giorni –, ma i giudici, alla luce della grossa conflittualità che ha caratterizzato il rapporto lavorativo , ritengono sproporzionata la sanzione del licenziamento . A casa. Necessario fare un passo indietro per comprendere il richiamo fatto in appello ai problemi tra azienda e dipendente. Il rapporto, difatti, non è stato esattamente caratterizzato da grande sintonia Facile sintetizzare la vicenda l’uomo venne licenziato una prima volta a novembre 2011, provvedimento definito illegittimo poi dal tribunale che ordinò la reintegrazione , non applicata subito dall’azienda, che collocò in ferie fino al 31 ottobre 2012 il lavoratore . Quest’ultimo avrebbe dovuto presentarsi al lavoro il 1° novembre successivo , e invece, ritenendo illegittimo il suo collocamento in ferie , decise di adire il tribunale per ottenere l’ effettiva attuazione del diritto di riammissione in servizio , ottenendo l’ordine di ripresa dell’attività in azienda il 7 novembre 2012 , ripresa che avvenne effettivamente il 16 novembre successivo . Ebbene, proprio questa ricostruzione, sottolineano i giudici della Cassazione, permette di considerare acclarato il fatto che il lavoratore, richiamato in servizio, fu assente per quindici giorni , senza alcuna plausibile, o almeno parziale, giustificazione . In questo contesto, è risibile il richiamo, fatto in appello, alla grossa conflittualità tra le parti del rapporto di lavoro – con riferimento a un ipotetico timore del lavoratore per la continuazione del comportamento dell’impresa, ostile all’effettiva riammissione in servizio –, anche perché, evidenziano i giudici, tutti i licenziamenti per indisciplina non colposa rivelano una conflittualità tra datore e prestatore di lavoro . Ciò significa che, poiché i quindici giorni di assenza ingiustificata dal lavoro sono un dato di fatto, è da ritenere legittimo, ab origine, e assolutamente giustificato il licenziamento deciso dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 giugno – 11 settembre 2015, numero 17987 Presidente/Relatore Roselli Svolgimento del processo Con sentenza dell' 11 agosto 2014 la Corte d'appello di Potenza, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato il 29 novembre 2012 della s.p.a. Agroalimentere sud al dipendente M.L. per assenza ingiustificata dal lavoro durata più di tre giorni articolo 70 c.c.numero l. di settore . La Corte non negava il fatto, ossia la detta assenza, ma, avuto riguardo al concreto svolgimento del rapporto lavorativo, caratterizzato da grossa conflittualità , riteneva sproporzionata la sanzione del licenziamento. Ciò equivaleva, sempre ad avviso della Corte, ad insussistenza del fatto contestato , espressamente prevista nell'articolo 18, comma 4, 1. 20 maggio 1970 numero 300, introdotto dall'articolo 1, comma 42,1. 28 giugno 2012 numero 92, come causa di annullamento del licenziamento e del conseguente ordine giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte emanava pertanto quest'ordine insieme alla condanna risarcitoria. Contro questa sentenza ricorre per cassazione la s.p.a. Agroalimentare sud mentre il L. resiste con controricorso. Motivi della decisione Le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dal ricorrente, sono prive di fondamento poiché -egli, costituito in giudizio, non dice quale interesse abbia a che al ricorso sia allegata copia della deliberazione del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Bari, di autorizzazione a notificare a mezzo posta, ex 1. 21 gennaio 1994 numero 53 - sui singoli motivi di ricorso compare regolare rubrica -l'unico motivo rilevante ai fini di questa decisione , come risulterà nel prosieguo, non pone questioni di merito. Col primo motivo [a ricorrente lamenta la violazione degli articolo 2119 cod. civ. ° 70 numero 2 c.c.numero l. industria agroalimentare, per avere la Corte d'appello ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva rispetto all'illecito disciplinare commesso dal lavoratore, consistente in un'assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi ed espressamente previsto dall'articolo 70 cit. come giusta causa di licenziamento. Il motivo è fondato. Secondo una risalente giurisprudenza di questa Corte, la clausola di un contratto collettivo che preveda un certo fatto quale giusta causa o giustificato motivo di licenziamento non esime il giudice dalla valutazione di proporzionalità fra il provvedimento espulsivo adottato dal datore di lavoro e la gravità del fatto addebitato all'incolpato Cass. 4 febbraio 1983 numero 939, 2 febbraio 1990 numero 690 . La necessità di questa valutazione discrezionale tuttavia non sussiste quando si tratti di fattispecie di illecito disciplinare formulata non già con espressioni elastiche ma rigidamente predeterminata e non sussistano circostanzeattenuanti. La situazione di .l grossa conflittualità tra le parti del rapporto di lavoro, genericamente evocata dalla Corte d'appello, non può assumere alcun rilievo attenuante, posto che tutti i licenziamenti per indisciplina non colposa rivelano una conflittualità tra datore e prestatore di lavoro. Nel caso di specie la sequenza temporale dei fatti, come pacificamente ricostruita nella sentenza qui impugnata, è la seguente -- il 3 novembre 2011 il lavoratore venne licenziato - dichiarata dal Tribunale l'illegittimità del licenziamento, l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro venne emesso il 17 luglio 2012 - la datrice di lavoro, invece di riammettere il lavoratore effettivamente in servizio, lo collocò in ferie fino al 31 ottobre 2012 - il 1 ° novembre successivo questi avrebbe dovuto perciò presentarsi al lavoro - egli, ritenendo illegittimo il suo collocamento in ferie, aveva frattanto adìto il Tribunale di Melfi per l'effettiva attuazione, ex articolo 669 duodecies cod. proc. civ., del diritto di riammissione in servizio, ed il Tribunale ordinò la ripresa dell'attività in azienda il 7 novembre 2012 - tale ripresa avvenne effettivamente il 16 successivo. Non é dubbio perciò che il lavoratore, richiamato in servizio, fu assente per quindici giorni, né la Corte d'appello trova una plausibile o almeno parziale giustificazione per questo ritardo. Essa infatti parla di timore di continuazione del comportamento dell'impresa, ostile all'effettiva riammissione in servizio di dichiarazioni scritte, del 5 e 15 novembre 2012, manifestanti disponibilità alla ripresa del lavoro, ma non dice quale ostacolo alla ripresentazione incontrasse il lavorato re, pósto che egli fosse realmente intenzionato a lavorare. E pertanto palese la realizzazione della fattispecie di cui all'articolo 70 c.c.numero l. dell'industria agroalimentare del 14 luglio 2003 e quindi dell'articolo 2119 cod, civ Cassata la sentenza impugnata, la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto rende possibile la decisione nel merito, ossia il rigetto della domanda originariamente proposta. Gli altri motivi di ricorso, concernenti le conseguenze della dichiarazione di illegittimità del licenziamento, rimangono assorbiti. La frequente incertezza della materia disciplinare, che talvolta induce il giudice al bilanciamento dei valori coinvolti e, come nella specie, ad alterne vicende delle fasi di merito, induce a compensare le spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originariamente proposta dal L Spese compensate per l'intero processo. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 uc ater, d.P R. numero 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il • î versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.