Rendita o reddito?

L’art. 14 vicies quater del d.l. n. 115/2005 va interpretato nel senso che i soggetti ivi previsti continuano a percepire la prestazione a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura previdenziale derivante da pensione o da rendita per infortunio sul lavoro o da malattia professionale di un reddito proprio assoggettabile ad IRPEF da qualsiasi fonte derivante, anche da lavoro autonomo o dipendente non superiore ad Euro 3.000.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17699/15, depositata il 7 settembre. Il caso – la prima fase di merito. Il ricorrente adiva il giudice del lavoro contestando il provvedimento con cui l’INAIL aveva soppresso la rendita unificata del 15%, costituita a suo favore in ragione di due infortuni occorsi nel 1980 e nel 1984. Ad avviso del primo giudice, l’Istituto aveva proceduto a revisione per miglioramento in maniera intempestiva, atteso che era trascorso più di un decennio dal secondo infortunio, ripristinando quindi la rendita unificata. Successivamente, la corte di appello, decidendo sul ricorso promosso dall’Istituto, qualificava la fattispecie come rettifica per errore e, ritenendo anch’essa tardiva tale rettifica, rigettava il gravame. Di diverso avviso risultava tuttavia la Corte di Cassazione la quale, decidendo sul ricorso dell’INAIL e sul ricorso incidentale dell’assicurato, riteneva priva di motivazione la qualificazione del provvedimento dell’INAIL quale rettifica e che, quand’anche una rettifica vi fosse stata, avrebbe dovuto farsi applicazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale sent. n. 191/2005 sulla conservazione delle prestazioni economiche da parte dell’interessato. Il giudizio di rinvio. Riassunta la causa ad opera dell’assicurato, i giudici del rinvio dichiaravano il diritto di quest’ultimo a percepire la prestazione riconosciuta dal giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 14 vicies quater del d.l. n. 115/2005 a mente del quale al fine di salvaguardare il principio dell'affidamento, i soggetti che hanno chiesto ed ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni erogate dall'istituto assicuratore [.] continuano a percepire le medesime prestazioni a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo non superiore ad euro 3.000 . Contro tale sentenza l’Istituto ricorreva nuovamente alla Corte di Cassazione. La distinzione tra rendita e reddito da lavoro. In particolare, ad avviso dell’Istituto i giudici di merito avevano errato nell’interpretare il summenzionato art. 14 vicies quater , ritenendo che nel concetto di rendita da lavoro rientrassero tutti i redditi da lavoro, di modo che gli stessi sarebbero stati esclusi dall’ammontare del reddito totale utile ai fini della conservazione del diritto alla prestazione previdenziale. Al contrario, ad avviso dell’INAIL, per reddito proprio assoggettabile all’IRPEF non poteva non intendersi anche il reddito da lavoro, rimanendo esclusi dal computo solo eventuali redditi di natura pensionistica o da rendita da lavoro , per tale intendendosi la rendita da infortunio o malattia professionale e non il corrispettivo di prestazioni lavorative. Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso. Ai fini previdenziali la distinzione è ancora più netta. Ed infatti, ad avviso della Corte, vi è una netta distinzione tra i concetti di reddito e rendita e solo quest’ultima è destinata a non rilevare ai fini del mantenimento della prestazione previdenziale. Ritiene poi la Corte che il summenzionato art. 14 vicies quater intenda salvaguardare coloro che abbiano ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni INAIL i quali, grazie alla norma in esame, continuano a percepire la prestazione a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo non superiore ad euro 3.000 . In conclusione, ritiene la Corte che l’art. 14 vicies quater citato debba essere considerato nel senso che il legislatore ha inteso mettere a confronto il reddito derivante dalle prestazioni previdenziali di natura pensionistica o da rendita da lavoro - irrilevante ai fini del diritto alla prestazione - con il reddito proprio derivante da altre fonti assoggettabile ai fini IRPEF , rilevante se superiore ad Euro 3.000.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 aprile – 7 settembre 2015, n. 17699 Presidente Stile – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- C.V. con ricorso al giudice del lavoro di Brindisi contestava il provvedimento con cui l'INAIL aveva soppresso la rendita unificata del 15% costituita in suo favore per due infortuni sul lavoro accaduti nel 1980 e nel 1984. Il giudice riteneva che l'Istituto avesse proceduto a revisione per miglioramento e che la revisione stessa fosse intempestiva essendo intervenuta dopo un decennio dal secondo infortunio, in violazione dell'art. 83 del d.P.R. 30.06.65 n. 1124 e, pertanto, ripristinava la rendita unificata nella misura del 19%. 2.- Proposto appello dall'INAIL, la Corte d'appello di Lecce con sentenza del 3.05.05 qualificava la fattispecie come revisione rectius rettifica per errore e, applicando l'art. 9 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 nel testo allora vigente, ritenuto che l'Istituto avesse esercitato la facoltà di rettifica dopo dieci anni dalla data di decorrenza della prestazione, rigettava l'impugnazione. 3.- L'INAIL ricorreva per cassazione sostenendo che la revisione era tempestiva e che in ogni caso l'art. 9 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 era stato dichiarato illegittimo dalla sentenza 10.05.05 n. 191 della Corte costituzionale, per la parte in cui il termine di decadenza decennale era esteso anche ai rapporti esauriti nel vigore della precedente disciplina. Proponeva ricorso incidentale il C. ritenendo immotivata la qualificazione della rettifica per errore e, in ogni caso, invocava l'applicazione dello jus superveniens contenuto nell'art. 14 vicies quater d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168, che gli avrebbe consentito di conservare la prestazione, essendo egli in possesso dei limiti di reddito ivi previsti. 4.- La Corte di cassazione con la sentenza 15.07.08 n. 19475 accoglieva entrambi i ricorsi e, cassata la sentenza impugnata, rinviava alla Corte d'appello di Bari per un nuovo esame, ritenendo priva di motivazione la qualificazione del provvedimento dell’INAIL quale rettifica , in contrapposizione alla qualificazione di revisione per miglioramento data dal primo giudice. La sentenza rescindente riteneva, inoltre, che, ove con adeguata motivazione fosse stata acciaiata la natura di rettifica del provvedimento, avrebbe dovuto farsi applicazione tanto della invocata sentenza della Corte costituzionale, quanto della richiesta di conservare le prestazioni economiche avanzata dall'assicurato. 5.- Riassunta la causa dall'assicurato, la Corte del rinvio, espletata consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 16.07.13 dichiarava il diritto del C. di continuare a percepire la prestazione riconosciuta dal giudice di primo grado, nella misura e con la decorrenza dallo stesso indicata, ai sensi dell’art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168. 6.- Propone nuovamente ricorso per cassazione l'INAIL. Risponde C. con controricorso e memoria. Motivi della decisione 1.- Il giudice del rinvio si è ritenuto investito dei seguenti compiti a verificare se il provvedimento adottato dall'INAIL il 9.05.07 con cui fu soppressa la rendita fosse da qualificarsi come provvedimento di rettifica per errore o di revisione per miglioramento b valutare la tempestività della rettifica ai sensi dell’art. 55, comma 5, prima parte, della l. 9.03.89 n. 88, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 9, comma 5-6-7, del d.lgs. 23.02.00 n. 38 c fare applicazione dell'art, 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168. Pertanto, a seguito di consulenza tecnica di ufficio, ha accertato che la malattia accertata al momento della concessione della prestazione non esisteva e che, pertanto, il suo riconoscimento fu un errore diagnostico, il che comporta la correttezza della qualificazione del provvedimento quale rettifica per errore . Ha ritenuto, dunque, legittimamente modificata dall'INAIL l'entità dei postumi riconosciuti all'assicurato. La rettifica è, inoltre, intervenuta tempestivamente, in quanto, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del richiamato art. 9, in base a quanto disposto dall'art. 55, e. 5, della richiamata legge n. 88, non sussistevano limiti temporali all'adozione del provvedimento. Infine, il giudice, conformemente a quanto indicato dalla sentenza di legittimità, ha ritenuto che il ricorso giudiziario avesse anche contenuto sostanziale di domanda amministrativa per il mantenimento della prestazione e, ravvisati i requisiti reddituali previsti dall'art. 14 vicies quater , sopra richiamato, ha stabilito che il C. avesse diritto ad una rendita unificata del 19%, come erogata al momento del provvedimento di rettifica e riscontrato dal primo giudice. 8.- Con il ricorso per cassazione l'INATL deduce violazione dell'art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168. Il giudice, nell’interpretare il passo dell'art. 14, che pone quale condizione per continuare a godere della prestazione oggetto di rettifica per errore, la titolarità oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro , di un reddito proprio assoggettabile all’IRPEF per un importo non superiore ad Euro 3.000 ha ritenuto che nel concetto di rendita da lavoro rientrassero tutti i redditi da lavoro, di modo che gli stessi sarebbero esclusi dall'ammontare del reddito totale. Invece, per reddito proprio assoggettabile all’IRPEF non può non intendersi anche il reddito da lavoro, rimanendo escluse dal computo solo eventuali redditi di natura pensionistica o da rendita da lavoro , ove con quest'ultima locuzione deve intendersi la rendita da infortunio o malattia professionale e non il corrispettivo di prestazioni lavorative. 9.- La censura mossa dall'Istituto circa l'interpretazione data all'art. 14 vicies quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168 è fondata. La norma in questione intende salvaguardare coloro che abbiano ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni INAIL ai sensi dell'art. 9, comma 5, 6 e 7 del d.lgs. 23.02.00 n. 38 dichiarato illegittimo da Corte cost. 10.05.05 n. 191 , i quali, grazie alla norma in esame, continuano a percepire la prestazione a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo non superiore ad Euro 3.000, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT . Il giudice del rinvio, sulla base della documentazione fornita dall'assicurato - certificazione dell'Agenzia delle entrate, certificazione unica dipendente CUD e dichiarazione dei redditi percepiti dalla revoca della rendita per infortunio - ha determinato i redditi derivanti dall'attività lavorativa ed ha affermato che essi sono derivati da lavoro e pertanto non vanno computati ai fini della determinazione del superamento o meno del limite reddituale dall'art. [14 vicies quater ] citato . In sostanza ha interpretato la locuzione rendita da lavoro come se stesse a significare reddito da lavoro , ed ha ritenuto che gli importi relativi senza alcun limite andassero a costituire la base reddituale non rilevante ai fini del mantenimento della prestazione previdenziale. Tale interprctazione è carente sotto due punti di vista. Sul piano terminologico, in quanto non tiene conto che una disposizione quale quella in esame fa ricorso a concetti propri della legislazione tributaria, nella quale i concetti di reddito e rendita non assumono certo lo stesso significato. Sul piano logico, in quanto se il concetto di rendita si identificasse con quello di reddito da lavoro, non si comprenderebbe perche il legislatore abbia individuato i redditi ulteriori, che debbono essere contenuti nel limite di 3.000 Euro annui, con la formula di carattere generale reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche , quasi il reddito da lavoro fosse estraneo a tale categoria. Ad avviso del Collegio la disposizione dell'art. 14 vicies quater in esame deve essere, invece, considerata nel senso che il legislatore intende mettere a confronto il reddito derivante dalle prestazioni previdenziali - di natura pensionistica o da rendita da lavoro , in toto irrilevante ai fini del mantenimento della prestazione - con il reddito proprio [derivante da altre fonti] assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche rilevante se superiore a 3.000 Euro. Nell'ambito delle prestazioni previdenziali, quindi, lo stesso legislatore ha distinto il reddito di natura pensionistica da quello derivante da rendita da lavoro , come tale intendendo la rendita derivante da infortunio sul lavoro o malattia professionale, accomunandoli tuttavia in ragione delle loro comune origine previdenziale, per distinguerli dagli altri redditi compresi quelli derivanti dall'attività lavorativa assoggettabili all'imposta sulle persone fisiche. 10.- In conclusione, l’art. 14 vides quater del d.l. 30.06.05 n. 115, convertito dalla l. 17.08.05 n. 168 va interpretato nel senso che i soggetti ivi previsti continuano a percepire la prestazione a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura previdenziale derivante da pensione o da rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale , di un reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche da qualsiasi fonte derivante, anche da lavoro autonomo o dipendente non superiore a 3.000 Euro. 11.- La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale, al fine di procedere sulla domanda di conservazione delle prestazioni economiche oggetto del provvedimento di rettifica, terrà conto dell'interpretazione della norma sopra indicata. Allo stesso giudice va rimessa La liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte così provvede a accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità b ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30.05.02 n. 115, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell'Istituto ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del e. 1 bis dello stesso art. 13.