Non c’è revocazione senza una svista evidente su un fatto decisivo

Con riferimento alle sentenze emesse dalla Suprema Corte, l’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c. deve consistere in una svista, in un errore materiale deve essere decisivo per la decisione non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata deve essere evidente non deve consistere in un errore di valutazione o di scelta dei criteri interpretativi e deve riguardare atti che la Corte esamina direttamente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17513/2015, depositata il 3 settembre, ha confermato la sua decisione precedente non vi è alcun errore revocatorio, il giudizio di legittimità non è viziato. Il diplomatico che perde il treno. Il caso oggetto della sentenza trae origine da una questione giuslavoristica in cui un funzionario del Ministero degli Esteri reclamava differenze retributive, dovute a seguito della riqualificazione del proprio rapporto di lavoro. Questi, infatti, pur avendo superato la selezione per l’inquadramento superiore, aveva continuato a svolgere le medesime mansioni nella medesima ambasciata. Dal canto suo, il Ministero si difendeva deducendo che aveva avvisato il funzionario dell’impossibilità di ricoprire il ruolo superiore, restando nella stessa ambasciata, di conseguenza, se il lavoratore avesse voluto svolgere il ruolo superiore avrebbe dovuto chiedere il trasferimento. Poiché così non è stato, la carriera del funzionario si è arrestata. I giudici di merito avevano accolto le doglianze del funzionario, liquidando in suo favore anche il risarcimento del danno la Corte di Cassazione, invece, sulla base dei documenti prodotti, accertava come il funzionario fosse stato messo nelle condizioni di optare o per il trasferimento con mansioni superiori o per l’immobilismo momentaneo della sua carriera. Da qui, la cassazione della sentenza di secondo grado. Cane non mangia cane”. Il funzionario persevera e radica avanti la Suprema Corte un’azione di revocazione ex art. 395, comma 4, c.p.c., norma che prevede la revocazione di una sentenza quando questa sia stata emessa per effetto di un errore di fatto, su un punto decisivo della controversia. La Corte esclude di aver commesso un errore revocatorio e ne specifica le caratteristiche l’errore deve consistere in una svista, in un errore di carattere materiale che ha indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure, che ha indotto il giudice a considerare inesistente un fatto che, invece, era palesemente indiscutibile l’errore deve essere decisivo se non ci fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa l’errore non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia già pronunciata l’errore deve essere evidente ictu oculi , non devono essere necessarie indagini per accertarlo l’errore non deve consistere nell’errata individuazione di parametri interpretativi l’errore può riguardare solo gli atti interni al procedimento, vale a dire, quelli che la Corte ha effettivamente esaminato in maniera diretta. La Corte ripercorre la decisione della corte territoriale ed il suo giudizio di legittimità, escludendo la sussistenza dell’errore revocatorio. Dai documenti prodotti, la Suprema Corte aveva già dedotto che le comunicazioni ministeriali sulla riqualificazione dei rapporti di lavoro erano dirette alle sedi estere e non già ai singoli funzionari. La Corte, quindi, non è incorsa in alcuna svista circa i destinatari delle informative. Inoltre, l’aver ritenuto che il funzionario fosse rimasto inerte di fronte agli inviti del Ministero costituisce il frutto di una valutazione delle risultanze istruttorie, che, esatta o sbagliata che sia, non è riconducibile ad una svista materiale. Infine, la corretta informazione del funzionario circa la necessità di esprimere manifestamente la sua intenzione di rimanere nella sede già occupata oppure di progredire in carriera è stata specifico oggetto di dibattito tra le parti e, pertanto, è certamente un punto controverso della vicenda, su cui i giudici si sono già espressi. Si escludono quindi, molti dei caratteri dell’errore revocatorio la Corte conferma il suo giudizio. Sullo sfondo rimane il principio giuslavoristico per cui Nel bilanciamento degli interessi reciproci graduatorie trasparenti per il Ministero e progressione di carriera per il funzionario ed in coincidenza di eventi straordinari, come la riqualificazione del personale, è opportuno graduare le nuove assunzioni tenendo conto delle preferenze espresse dai singoli aspiranti, avvalendosi anche della facoltà di conservare il dipendente in un posto non corrispondente alla nuova qualifica, a maggior ragione, ove lo stesso sia stato interpellato, ma non abbia espresso la volontà di essere assegnato ad un'altra sede, in cui vi è la disponibilità di un posto vacante con la qualifica conseguita.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 maggio – 3 settembre 2015, n. 17513 Presidente Stile – Relatore Bandini Svolgimento del processo B.G.G. , già dipendente del Ministero degli Affari Esteri qui di seguito, per brevità, indicato anche come Mae , convenne in giudizio avanti al Tribunale di Roma l'Amministrazione e, sulle premesse che - all'esito di corso di riqualificazione, con dm 13.8.2001 n. 2654, era stato inquadrato nella posizione economica C2 - in data 22.10.2001, a Tunisi sede alla quale era stato assegnato dal 23.7.2001 , era stato stipulato il nuovo contratto individuale di lavoro - l'Amministrazione non gli aveva tuttavia attribuito le mansioni proprie del nuovo livello acquisito, né il relativo maggior trattamento economico, avendo egli continuato a svolgere le stesse mansioni di livello C1 espletate in precedenza e avendo percepito il relativo trattamento economico di livello C1 - il comportamento dell'Amministrazione ne aveva leso la personalità e la dignità, privandolo del diritto all'effettivo svolgimento della propria prestazione ciò premesso, chiese la condanna della parte convenuta alla corresponsione delle differenze retributive e al risarcimento del danno professionale, esistenziale e morale da demansionamento/dequalificazione. Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza del Mae, il Giudice adito condannò l'Amministrazione al pagamento di quanto dovuto per differenze retributive e al risarcimento del danno da dequalificazione professionale, equitativamente quantificato. Tale pronuncia venne confermata dalla Corte d'Appello di Roma, che rigettò il gravame principale del Mae e quello incidentale del B. . Avverso la sentenza resa in grado di appello, il Mae propose ricorso per cassazione fondato su sei motivi, al quale il B. resisté con controricorso. Questa Corte, con sentenza n. 3811/2014, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassò la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettò le domande del lavoratore, compensando le spese dell intero processo. Previa analisi della normativa di riferimento, questa Corte ritenne che - tale disciplina, dettata per il personale assegnato alle sedi estere, prevede che la distribuzione dei posti in organico nelle singole sedi diplomatiche sia rapportata specificatamente alle funzioni che ivi devono essere svolte posti-funzione e che l'istituzione e la soppressione dei posti di organico siano modulate sulla base delle esigenze di servizio dell'ufficio - era pacifico ed incontestato tra le parti che il B. , assegnato alla sede di su una posizione C1 disponibile, in esito ad un procedimento di riqualificazione, aveva conseguito la qualifica C2 - L'Amministrazione nel trasmettere alla sede estera il contratto per la nuova qualifica aveva comunque fatto presente che nella sede di servizio mancava il posto funzione relativo alla qualifica conseguita ma che al dipendente era consentito di presentare domanda per l'assegnazione ad altra sede ove vi era una vacanza di posti di C2 nel rispetto delle procedure per i tramutamenti di personale stabilite con Accordo del 5.2.2001, o, comunque, di chiedere il n'entro presso la sede centrale - A fronte di tale puntuale invito è accertato che il B. è rimasto inerte ed ha continuato ad espletare le precedenti mansioni fino al termine della sua assegnazione alla sede di , pur avendo conseguito l'inquadramento ed il trattamento economico di base proprio della qualifica superiore - il dipendente che, come il B. , avesse partecipato ad una proceduta per il conseguimento di una qualifica superiore, non era titolare di un diritto a continuare a prestare la sua attività nella nuova qualifica conseguita nella sede di servizio in precedenza assegnata, ma vantava un interesse legittimo a che l'Amministrazione lo destinasse ad una sede, estera o dell'Amministrazione centrale, ove fosse disponibile un posto funzione di livello corrispondente alla qualifica conseguita - infatti, sulla base del quadro normativo, all'Amministrazione è richiesto, in coincidenza con le procedure di riqualificazione del personale, di assicurare nella pianta organica complessiva un numero di posti pari a quelli messi a concorso e, quindi, sulla base di una graduatoria delle candidature espresse in esito alla pubblicizzazione dei posti, con lista ordinaria, suppletiva o straordinaria e sulla base di criteri predeterminati, è tenuta a disporre l'assegnazione degli aspiranti ai posti funzione disponibili - la peculiarità del rapporto di servizio del personale del Ministero degli Affari Esteri, che si può svolgere per periodi determinati anche in territorio straniero, e ciò con l'adesione del dipendente ma nell'interesse proprio dell'Amministrazione, giustifica l'attribuzione della facoltà di mantenere il dipendente nella sede già occupata e nelle mansioni pregresse - Nel bilanciamento degli interessi reciproci, ed in coincidenza di eventi straordinari, quali debbono essere classificati i procedimenti di riqualificazione del personale, idonei a determinare profondi cambiamenti nell'organizzazione degli uffici, risponde a principi di corretta amministrazione graduare le nuove assegnazioni tenendo conto delle preferenze espresse dai singoli aspiranti ed avvalendosi, in relazione ad accertate esigenze di servizio e per un tempo che è ragionevolmente individuare nella durata della pur sempre temporanea assegnazione all'estero della facoltà riconosciuta dalla legge di conservare il dipendente anche in un posto non corrispondente a quello previsto per la nuova qualifica, a maggior ragione ove lo stesso ritualmente interpellato non abbia espresso la volontà di essere assegnato ad altra sede con posto-funzione vacante della qualifica conseguita - È incontestato tra le parti che proprio a tale regola si è conformato il comportamento dell'Amministrazione che, in assenza di una domanda del B. di destinazione ad altra sede con posto funzione C2 vacante, lo ha mantenuto nella sede e nel posto precedentemente assegnato per la durata della sua destinazione all'estero - all'accertata legittimità del comportamento tenuto dall'Amministrazione conseguiva la reiezione di tutte le domande formulate dall'originario ricorrente, ivi comprese quelle risarcitorie. Avverso la suddetta sentenza di questa Corte di legittimità, B.G.G. ha proposto ricorso per revocazione ai sensi degli artt. 391 bis e 395, n. 4, cpc, illustrato con memoria. L'intimato Ministero degli Affari Esteri ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Secondo la prospettazione del ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe viziata da errore di fatto emergente dal semplice raffronto tra la motivazione e gli atti e documenti di causa, in quanto nella sentenza veniva supposto il fatto che il Ministero datore di lavoro avesse comunicato al lavoratore l'impossibilità di adibirlo alle superiori mansioni di livello C2 nella sede estera dal medesimo occupato veniva supposto il fatto che, quindi, il Ministero datore avesse invitato il lavoratore a richiedere il trasferimento alla sede centrale o a candidarsi ad altra sede estera ove fosse disponibile un posto-funzione di livello C2 veniva correlativamente supposto che il B. , pure informato e pure avendo ricevuto detto invito, fosse rimasto consapevolmente inerte, preferendo restare nella sede estera già occupata con funzioni di livello C1 veniva supposto che detto assetto fattuale, erroneamente supposto dalla Suprema Corte, fosse pacifico tra le parti agli atti del giudizio per contro, dagli atti e documenti di causa risultava che il Ministero datore di lavoro aveva sempre solo asserito di avere comunicato personalmente al lavoratore le circostanze di fatto supposte nella sentenza qui gravata risultava che dette asserite comunicazioni nota di trasmissione all'Ambasciata di Tunisi del contratto individuale di lavoro - messaggio n. 031/22307 del 24.09.2001 messaggi ministeriali circolari del 26.10.2001 e del 23.11.2001, contemplanti la possibilità per i lavoratori che avevano conseguito i superiori inquadramenti contrattuali di presentare domanda di rientro alla sede centrale o di candidatura ad altra sede estera il Ministero le aveva invece sempre indirizzate esclusivamente alle ambasciate delle varie sedi estere, peraltro richiedendo espressamente, nei vari comunicati, di acquisire la sottoscrizione dei singoli lavoratori per presa conoscenza dei relativi messaggi - non vi era traccia di alcun documento od informativa nel senso rappresentato, recante alcuna sottoscrizione del lavoratore, a conferma e riprova della solo affermata, ed invero mai avutasi, comunicazione al B. stesso delle asserite possibilità alternative - risultava come detti asseriti comunicazioni ed inviti fossero sempre stati recisamente contestati e negati dal B. in ogni suo scritto in tutti e tre i gradi del giudizio l'errore di fatto denunziato era essenziale e decisivo, in quanto, proprio in virtù della erroneamente supposta conoscenza da parte del lavoratore delle possibilità, asseritamente prospettategli da parte datoriale, ai fini dell'effettivo svolgimento delle mansioni del superiore livello C2 formalmente acquisito, il Giudicante aveva dedotto la legittimità della condotta datoriale e l'insussistenza di alcun inadempimento da parte del Ministero datore di lavoro al contratto individuale sottoscritto inter partes e, quindi, negato i consequenziali pronunciamenti risarcitoli, riformando la sentenza di II grado e rigettando nel merito, quindi, le domande del lavoratore. 2. L'art. 395, n. 4, cpc, richiamato, quanto alle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, dall'art. 391 bis cpc, prevede la revocazione 4 se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare . Nell'interpretazione di tale disposizione, la giurisprudenza di questa Corte ha reieteratamente affermato che, con riferimento alle sentenze emesse dalla Suprema Corte, l'errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 cpc deve 1 consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile 2 essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa 3 non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata 4 presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, si da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche 5 non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo 6 riguardare gli atti interni, cioè quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d'ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della Suprema Corte, perché, se invece l'errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza da adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 26777/2013 Cass., nn. 8295/2005 2425/2006 3264/2007 . 3. Alla stregua di tali principi deve rilevarsi anzitutto che la sentenza impugnata ha espressamente indicato che la nota dell'Amministrazione relativa al contratto per la nuova qualifica era stata trasmessa alla sede estera la Corte ha quindi esattamente percepito quale fosse stato la destinataria di tale nota, né ha affermato alcunché circa l'eventuale diretta trasmissione anche al B. di tale nota o degli altri messaggi richiamati dal ricorrente. Deve quindi escludersi che la Corte sia incorsa in una svista, in un errore percettivo sui soggetti destinatari di tali missive, e che, tanto meno, ciò sia avvenuto con carattere di evidenza ed obiettività. 4. L'avere non di meno ritenuto che il B. fosse rimasto inerte A fronte di tale puntuale invito e che fosse stato ritualmente interpellato costituisce quindi il frutto di una valutazione delle risultanze di causa, che, esatta o meno che sia, non è conseguenza di una svista di carattere materiale il che esclude che tale supposto errore sia riconducibile nell'ambito dell'errore revocatorio, che non è riscontrabile quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione di fatti esattamente rappresentati cfr, ex plurimis, Cass., n. 14608/2007 5075/2008 3365/2009 . Al riguardo deve infatti anche rilevarsi che, come esposto in ricorso, fin dalla costituzione in primo grado il Mae aveva fra l'altro dedotto che l'alternativa di prenotarsi per il trasferimento ad una sede diversa o di richiedere il rientro alla sede centrale di Roma era stata portata a conoscenza del lavoratore tale deduzione era stata contestata dal lavoratore, che, sempre secondo quanto riportato in ricorso, ne aveva registrato l'apoditticità, in assenza di alcun riscontro probatorio. Come ancora esposto in ricorso, il mancato esercizio di tali opzioni da parte del B. era stato nuovamente dedotto dal Mae nel ricorso d'appello, che, lo aveva proposto in virtù delle stesse allegazioni, rilievi e censure già svolti nel giudizio di primo grado, tanto che, nella memoria difensiva del lavoratore, era stato ribadito il difetto di risultanze in atti a prova di alcuna comunicazione al B. delle possibilità di alternativo impiego nella sede centrale o presso altra sede estera. Espone ulteriormente il ricorrente come, anche nel ricorso per cassazione, la suddetta deduzione fosse stata riproposta dal Mae, incontrando, anche sul punto, la resistenza del B. , che ne ribadiva la carenza probatoria. Il che testimonia che la questione se cioè il lavoratore fosse stato o meno informato della suindicata possibilità di scelta e la sussistenza della relativa prova era stata oggetto di dibattito processuale, e che, come tale, era suscettibile di una valutazione al riguardo. 6. Ciò, al contempo, dimostra come tale valutazione, proprio perché la questione era stata specificamente oggetto di dibattito fra le parti, sia caduta su un punto controverso sul quale la Corte si è pronunciata, cosicché, anche sotto questo profilo, deve escludersi che il preteso errore sia riconducibile a quello revocatorio ex art. 395, n. 4, cpc. Né, ai fini della sussistenza del preteso errore revocatorio, rileva che al riguardo la sentenza impugnata non abbia diffusamente argomentato, tanto più ove si consideri, come meglio si evidenzierà in prosieguo, che la decisione è stata assunta sulla base di considerazioni giuridiche la natura cogente delle disposizioni dell'art. 52 dl.vo n. 165/01 e il conseguente obbligo dell'Amministrazione di attribuire un posto-funzione corrispondente al nuovo inquadramento che, di per sé, determinavano l'irrilevanza della questione. 7. Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, quale diffusamente riportata nello storico di lite, si evince poi che ciò che la Corte territoriale ha ritenuto incontestato fra le parti è stato l'avere l'Amministrazione conformato il proprio comportamento alla regola secondo cui, in assenza di domanda del B. di destinazione ad altra sede con posto funzione vacante, lo aveva mantenuto nella sede e nel posto precedentemente assegnato per la durata della sua destinazione all'estero, e non già che il B. fosse stato ritualmente interpellato ed invero il ricorrente non deduce di avere mai presentato una domanda nel senso suddetto atteso che, anzi, lamenta di non essere stato posto nella condizione, eventualmente, di farla e da per premessa alle proprie domande il fatto che aveva continuato a prestare servizio nello stesso luogo Tunisi di precedente assegnazione. Deve comunque osservarsi che la pronuncia relativa alla sussistenza di una circostanza incontestata fra le parti costituisce a sua volta il portato di un'attività valutativa, nel senso che il Giudice, postasi la questione, la risolve sulla base della valutazione di uno o più fatti determinati, quindi all'esito di un giudizio di per sé incompatibile con l'errore revocatorio e, come tale, non riconducibile alla previsione dell'art. 395, n. 4, cpc. 8. Deve infine osservarsi che il preteso errore sull'essere stato il B. invitato a presentare domanda di alternativo impiego nella sede centrale o presso altra sede estera, o, comunque, interpellato al riguardo, non assume neppure, nell'ambito delle argomentazioni seguite nella sentenza impugnata, carattere di decisività, ravvisabile unicamente nell'ipotesi in cui il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento della decisione revocanda o rappresenti l'imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione, sicché tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa cfr, Cass., SU, n. 1666/2009 . Come già esposto nello storico di lite, la sentenza impugnata afferma infatti il principio di diritto secondo cui Nel bilanciamento degli interessi reciproci, ed in coincidenza di eventi straordinari, quali debbono essere classificati i procedimenti di riqualificazione del personale, idonei a determinare profondi cambiamenti nell'organizzazione degli uffici, risponde a principi di corretta amministrazione graduare le nuove assegnazioni tenendo conto delle preferenze espresse dai singoli aspiranti ed avvalendosi, in relazione ad accertate esigenze di servizio della facoltà riconosciuta dalla legge di conservare il dipendente anche in un posto non corrispondente a quello previsto per la nuova qualifica , aggiungendo poi a maggior ragione ove lo stesso ritualmente interpellato non abbia espresso la volontà di essere assegnato ad altra sede con posto-funzione vacante della qualifica conseguita . La mancata espressione di una volontà di assegnazione ad altra sede con posto funzione da parte del dipendente ritualmente interpellato , nel ragionamento della Corte, costituisce quindi un elemento meramente rafforzativo a maggior ragione , appunto della ritenuta correttezza del comportamento dell'Amministrazione, non costituendo però quel previo rituale interpello del dipendente il fondamento della ritenuta conformità della condotta datoriale alla indicata disciplina giuridica della materia all'esame. In altri termini, secondo l’iter logico giuridico seguito nella sentenza impugnata, dovendo le nuove assegnazioni essere graduate tenendo conto delle preferenze espresse dai singoli aspiranti, ne risultava decisiva la mancata presentazione della domanda da parte del B. , costituendo, la mancata presentazione di tale domanda, un fatto obiettivo che impediva di considerare la sua posizione tenendo conto di una preferenza espressa. 9. Conclusivamente, in base alle considerazioni sopra svolte, deve convenirsi che - non risulta che vi sia stato, da parte della Corte, un errore percettivo sul soggetto destinatario delle comunicazioni di che trattasi - l'avere ritenuto che il B. fosse stato interpellato o, comunque, notiziato , sulla possibilità di presentare una domanda di alternativo impiego nella sede centrale o presso altra sede estera, costituisce, nel contrasto sussistente in proposito fra le parti, espressione di una valutazione, dunque di un giudizio - tale valutazione e, quindi, il preteso denunciato errore verte su una questione oggetto di dibattito processuale fra le parti e costituente quindi un punto controverso fra le stesse su cui la Corte ha pronunciato - costituisce parimenti oggetto di valutazione, dunque di giudizio, l'individuazione di circostanze incontestate fra le parti, che, peraltro, neppure riguardano specificamente l'avvenuto interpello del B. sulla possibilità di presentare una domanda di alternativo impiego nella sede centrale o presso altra sede estera - il preteso errore sull'essere stato il B. interpellato o, comunque, notiziato al riguardo, neppure costituisce l'imprescindibile ed esclusiva premessa logica della decisione assunta - va dunque esclusa la sussistenza del denunciato errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, cpc. 10 . In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/02, contenendo il ricorso dichiarazione reddituale di esenzione dal contributo unificato cfr art. 9, comma 1 bis, dpr n. 115/02 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 3.000,00 tremila per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.