Il pagamento dei contributi eseguito dall’appaltatore fittizio “salva” il committente datore di lavoro

Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell'art. 1 l. n. 1369/1960, la nullità per illiceità dell'oggetto e della causa del contratto fra committente e appaltatore o intermediario e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo, secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia effettivamente utilizzato le prestazioni, comportano che solo sull'appaltante o interponente , e non anche sull'appaltatore o interposto , gravino gli obblighi in materia di assicurazioni sociali nati dal rapporto di lavoro. Rimanendo altresì salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'art. 1180, comma 1, c.c., nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio.

Lo afferma la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro con la sentenza n. 17516, pubblicata il 3 settembre 2015. La vicenda opposizione a cartella esattoriale Inps di pagamento di contributi e sanzioni dovuti in conseguenza di accertata interposizione di manodopera illecita. In conseguenza di ispezione Inps era emerso che un contratto di appalto stipulato tra la ricorrente ed una cooperativa celava in realtà interposizione fittizia di manodopera, vietata ai sensi dell’allora in vigore art. 1 l. n. 1369 del 1960. Il giudice di primo grado respingeva l’opposizione. Analogamente, la corte d’appello rigettava il gravame proposto dall’azienda opponente, che ricorreva così in Cassazione per la riforma della sentenza d’appello. L’interposizione vietata di manodopera. L’opposizione proposta dall’azienda committente era stata respinta dai giudici di merito in quanto dalle risultanze istruttorie era emerso che i lavoratori forniti dall’appaltatore prestavano la loro attività lavorativa utilizzando attrezzatura della committente, osservavano il medesimo orario di lavoro dei dipendenti di questa ed erano sottoposti alle direttive dei vertici della medesima committente. Ricorreva dunque la fattispecie prevista dall’art. 1 l. n. 1369/1960 che così recitava È vietato all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. omissis . È considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante. omissis I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni . Conseguenza diretta l’obbligo di corresponsione dei relativi contributi previdenziali. No alla duplicazione dell’obbligo contributivo. Motivo di censura della decisione impugnata riguarda l’omessa considerazione dei contributi già corrisposti dal datore di lavoro fittizio, cioè la cooperativa quale appaltatore del servizio. La corte d’appello, come il giudice di primo grado, non aveva tenuto conto dei contributi versati dalla cooperativa, il cui importo doveva essere detratto da quanto dovuto dall’azienda committente in ragione della accertata interposizione di manodopera. La Suprema Corte ritiene fondata la critica portata alla sentenza impugnata. Già in precedenza i giudici di legittimità avevano avuto modo di affermare che in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali. Deve rimanere pertanto salva l'incidenza satisfattiva ai sensi dell'art. 1180, comma 1, c.c., dei pagamenti eventualmente eseguiti dal datore di lavoro fittizio, nei confronti del quale, per la sua posizione di corresponsabile della violazione dell'art. 1 l. n. 1369/1960, deve essere esclusa la scusabilità dell'errore sull'identità dell'effettivo debitore, con conseguente irripetibilità della somma eventualmente versata a titolo di contributi. Il pagamento del datore di lavoro fittizio estingue l’obbligazione a carico del committente. Viene così a determinarsi, come si è verificato nel caso in esame, un’ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 c.c. porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione con le condizioni di cui all'art. 2036, comma 3, c.c. , anche il pagamento effettuato per errore. La Corte di merito ha dunque errato nel non considerare i pagamenti dei contributi già effettuati dall’appaltatrice, con conseguente sgravio dell’obbligo a carico del committente, effettivo datore di lavoro. In accoglimento del motivo di censura proposto, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la decisione in conformità ai principi di diritto enunciati, ad altra corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 maggio – 3 settembre 2015, n. 17516 Presidente Coletti De Cesare – Relatore Venuti Svolgimento del processo La S.p.A. Cortinovis Immobiliare già Cortinovis s.r.l. ha proposto opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale le era stato chiesto il pagamento, a favore dell’INPS, della somma di Euro 47.886,56 a titolo di contributi e sanzioni. La pretesa contributiva treava origine da un verbale ispettivo dal quale era emerso che il contratto di appalto di manodopera stipulato dalla società con la cooperativa Italcoop - erano stati da questa avviati alla società sei lavoratori per opere di pulizia e facchinaggio - in realtà configurava una interposizione fittizia di persone e che, conseguentemente, i lavoratori dovevano ritenersi alle dipendenze non già della cooperativa ma della società, con i relativi obblighi contributivi. L'opposizione è stata respinta dal giudice di primo grado e tale decisione è stata confermata con sentenza depositata il 5 febbraio 2009 dalla Corte d'appello di Brescia, la quale ha ritenuto che dalle risultanze istruttorie era emerso che i lavoratori forniti dalla cooperativa prestavano la loro attività con attrezzatura della committente ed erano sottoposti alle direttive e al controllo dei responsabili di quest'ultima che l'orario di lavoro dei soci della cooperativa era uguale a quello svolto dai dipendenti della società che non vi era alcun rischio economico a carico della società cooperativa, da cui formalmente dipendevano i lavoratori avviati alla committente che ricorreva quindi una ipotesi evidente di interposizione fittizia di manodopera, con conseguente obbligo della società opponente del pagamento dei relativi contributi che era infondato al riguardo il motivo di gravame con il quale era stato sostenuto che l’INPS avrebbe dovuto tener conto dei contributi versati dal datore di lavoro fittizio, i quali dovevano essere detratti dal complessivo ammontare dovuto. Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso la società sulla base di quattro motivi. L’INPS ha rilasciato procura al difensore, il quale ha partecipato alla discussione. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, denunciando falsa applicazione dell'art. 1180 cod. civ., la ricorrente deduce che il pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro apparente ha valenza satisfattiva. Aggiunge che, pur risultando che i soci lavoratori avevano una regolare posizione previdenziale e che la cooperativa aveva provveduto al pagamento dei relativi contributivi, la Corte di merito ha ritenuto che tale pagamento non avesse effetto estintivo, totale o parziale, della pretesa contributiva. 2. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 24 D. Lgs. n. 46 del 1999, la ricorrente lamenta che l’INPS, nell'iscrivere a ruolo il credito, ha omesso di precisare le modalità di determinazione dello stesso e di tenere conto dei versamenti mensili ricevuti dalla società cooperativa a titolo di contributi per i lavoratori in questione. 3. Con il terzo motivo, denunciando insufficiente motivazione, la ricorrente rileva che la Corte d'appello, erroneamente valutando le risultanze della prova testimoniale, ha ritenuto fondata la pretesa dell’INPS, nonostante per quattro dei sei lavoratori non fosse stata fornita alcuna prova circa la natura subordinata del rapporto intrattenuto con essa ricorrente. Nessun teste, infatti, aveva fatto riferimento alla posizione dei predetti quattro lavoratori né essi erano stati nominativamente indicati. Peraltro dall'istruttoria non era emerso un chiaro riferimento ad elementi di vera e propria subordinazione dei soci lavoratori nei confronti della S.p.A. Corinovis, subordinazione che non poteva discendere dagli atti di coordinamento organizzativo connaturati alla posizione del committente. 4. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando omessa motivazione, lamenta che la sentenza impugnata ha tratto elementi decisivi per il giudizio dalle deposizioni dei soci lavoratori, nonostante costoro fossero incapaci di testimoniare, posto che era in discussione un rapporto di lavoro ai quali i medesimi erano interessati. Su tale questione, aggiunge la ricorrente, la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi. 5. Il terzo e il quarto motivo, che sotto il profilo logico-giuridico devono essere trattati per primi, non possono trovare accoglimento. Quanto al terzo, esso pone in discussione gli accertamenti e le valutazioni eseguiti dalla Corte territoriale e prospetta una diversa lettura della prova testimoniale, chiedendo sostanzia 1m ente un riesame della vicenda, senza considerare che il ricorso per cassazione non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata e che non è consentito alla Corte di cassazione riesaminare e valutare il merito della causa ovvero effettuare nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto. In particolare, del tutto infondato è l'assunto della ricorrente secondo cui non sarebbe stata chiarita dai testi escussi la posizione di quattro lavoratori su sei , risultando dalla sentenza impugnata che la Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva della prova con riguardo a tutti i soci lavoratori, rimarcando il loro inserimento nell'attività specifica della committente, l'assoggettamento alle direttive ed al controllo dei preposti dalla stessa all'interno dello stabilimento della committente, con utilizzo di materiali, attrezzature di questa a stretto contatto con i suoi operai , ed evidenziando che la stessa funzionaria della Direzione del Lavoro, M.A. , ha precisato di avere personalmente constatato che i lavoratori della cooperativa stavano facendo lo stesso lavoro dei dipendenti della Cortinovis al momento del suo accesso nello stabilimento . Quanto al quarto motivo, deve rilevarsene l’inammissibilità sotto un duplice profilo. In primo luogo, la censura è dedotta sotto il profilo del vizio di motivazione art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. e non già sotto quello di omessa pronuncia art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 4. In secondo luogo, essa introduce una questione incapacità a testimoniare dei soci lavoratori che non risulta affrontata dalla sentenza impugnata e dai motivi di appello, risultando dalla trascrizione del relativo motivo di gravame, contenuta nel ricorso, che in quella sede vennero contestate le conclusioni ispettive sotto il profilo che i verbalizzanti non avevano assistito direttamente ai fatti , senza far questione circa la incapacità a testimoniare dei soci della cooperativa. 6. Sono invece fondati il primo ed il secondo motivo, anch'essi da trattare congiuntamente in quanto connessi. Le questioni sollevate dalla ricorrente sono state già esaminate da questa Corte che, a più riprese, ha ritenuto che, nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell'art. 1 L. n. 1369 del 1960, la nullità, per illiceità dell'oggetto e della causa, del contratto fra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni — comportano che solo sul committente o interponente , e non anche sull'appaltatore o interposto , gravano gli obblighi in materia di assicurazioni sociali nati dal rapporto di lavoro, senza che la concorrente responsabilità di quest'ultimo possa essere affermata in virtù dell'apparenza del diritto e dell'affidamento dell’INPS nella situazione di apparente titolarità del rapporto di lavoro cfr., ex plurimis, Cass. n. 463/12 Cass. 23844/11 Cass., n. 5901/99 Cass. Sez. Un. n. 22910/06 Cass., n. 2372/07 . Al contempo la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che, in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'art. 1180 cod. civ., comma 1, nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell'altruità del debito, atteso che, nell'ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo, il coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 cod. civ., porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione con le condizioni di cui all'art. 2036 cod. civ., comma 3 , anche il pagamento effettuato per errore cfr., ex plurimis, Cass. n. 12509/04 Cass. n. 12735/06 Cass. n. 1666/08 Cass. n. 3707/09 . Più in particolare è stato osservato che L'applicazione del principio ora esposto all'ipotesi dei contributi pagati dal datore di lavoro fittizio comporta l'irripetibilità da parte sua dei contributi già versati così come delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori , poiché non può considerarsi scusabile l'eventuale errore sull'identità dell'effettivo debitore di chi è corresponsabile della violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, peraltro sanzionata come contravvenzione dall'art. 2 cfr. Cass. n. 12509/04 cit., in motivazione . In adesione a tali principi, cui va data continuità, i motivi in esame devono essere accolti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio, per il riesame, al giudice indicato in dispositivo, il quale, nell'adeguarsi ai criteri sopra enunciati, dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano.