La violazione dell’iter procedimentale determina la nullità della sanzione disciplinare … ed è rilevabile d’ufficio

La nullità di una sanzione disciplinare per violazione dell’iter legislativo previsto per la sua irrogazione quale in linea generale l’art. 7, L. n. 300/1970 rientra nella categoria delle cosiddette nullità di protezione, posto che la procedura garantistica prevista è inderogabile e fondata sullo scopo di tutela del contraente debole del rapporto.

Da ciò deriva che in ambito di lavoro autoferrotranviario la procedura prevista dall’art. 53, r.d. n. 148/1931 sia inderogabile. E dunque, una volta dedotta in giudizio la nullità del licenziamento da parte del lavoratore, il giudice di merito avrà il potere dovere di rilevare d’ufficio la nullità scaturente dalla violazione dell’iter disciplinare previsto dalla norma. Lo afferma la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 17286 pubblicata il 28 agosto 2015. Impugnazione di licenziamento disciplinare irrogato con violazione della procedura di legge. Un lavoratore del settore autoferrotranvieri era stato licenziato nonostante avesse richiesto la pronuncia del Consiglio di disciplina, prevista dalla procedura, mai pervenuta. Il Tribunale del lavoro chiamato a decidere sull’impugnazione del licenziamento accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento di esonero dal servizio. Seguiva il giudizio d’appello, quello di Cassazione, con rinvio ad altra Corte di merito, la quale ultima, rigettava l’appello dell’azienda, confermando la nullità del recesso adottato. Proponeva nuovo ricorso per cassazione l’azienda. La procedura disciplinare deve tutelare il lavoratore, parte debole del rapporto La vicenda prende spunto dalla rilevata violazione dell’iter procedimentale previsto nello specifico settore autoferrotranviario per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. La Suprema Corte ribadisce prima di tutto un principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite n. 26242/2014 , secondo cui il principio di rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali si estende anche alle cosiddette nullità di protezione, caratterizzate dalla coesistenza della legittimazione ristretta, cioè fatte valere dal soggetto nel cui interesse sono previste e dalla rilevabilità d’ufficio, subordinata alla verifica dell’utilità pratica che il soggetto protetto possa trarne. In ambito lavorativo, la nullità di una sanzione disciplinare per violazione dell’iter legislativo previsto per la sua irrogazione, quale l’art. 7, Statuto dei Lavoratori, in linea generale, rientra nella categoria delle nullità di protezione, poiché la procedura garantistica prevista è inderogabile e volta a tutelare il lavoratore, parte contraente debole del rapporto. la violazione dell’iter procedimentale determina la nullità della sanzione ed è rilevabile d’ufficio. In particolare i giudici di merito, chiamati a decidere sull’impugnazione del licenziamento proposta dal lavoratore, hanno rilevato d’ufficio che non si era mai pronunciato il Consiglio di disciplina sui comportamenti contestati, benché espressamente richiesto dal lavoratore. La norma esaminata è l’art. 53, r.d. n. 148/1931, che per quanto rileva nella presente vicenda, così recita Alla relazione saranno allegati tutti gli atti concernenti il fatto, comprese le deposizioni firmate dai rispettivi deponenti od interrogati. Se questi non possono o non vogliono firmare, dovranno indicarne il motivo. In base alla relazione presentata, il direttore, o chi da esso delegato, esprime per le punizioni, di cui agli artt. 43 a 45, l'opinamento circa la punizione da infliggere. omissis L'opinamento è reso noto agli interessati con comunicazione scritta personale. Gli agenti interessati hanno diritto, entro cinque giorni dalla detta notifica, di presentare a voce o per iscritto eventuali nuove giustificazioni, in mancanza delle quali, entro il detto termine, il provvedimento disciplinare proposto diviene definitivo ed esecutivo. Nel caso in cui l'agente abbia presentate le Sue giustificazioni nel termine prescritto, ma queste non siano state accolte, l'agente ha diritto, ove lo creda, di chiedere che per le punizioni, sulle quali, ai sensi del seguente articolo, deve giudicare il Consiglio di disciplina, si pronunci il Consiglio stesso. Tale richiesta, che deve essere fatta nel termine perentorio di dieci giorni da quello in cui gli è stata confermata dal direttore la punizione opinata, sospende l'applicazione della punizione fino a che non sia intervenuta la decisione del Consiglio stesso . Con il motivo di censura proposto, l’azienda lamenta che la Corte di merito abbia rilevato d’ufficio la nullità del licenziamento, per violazione dell’iter procedimentale, consistente nell’aver irrogato il licenziamento senza che il Consiglio di disciplina si fosse espresso. Eccepisce l’azienda che mai il lavoratore avesse sollevato tale eccezione di nullità. Ma la Corte di legittimità, in applicazione dei principi di diritto sopra enunciati ritiene infondato il motivo proposto, osservando che fin dal primo atto introduttivo il lavoratore aveva eccepito la nullità del licenziamento, così come era risultato provato in giudizio che il lavoratore avesse richiesto, invano, la pronuncia del Consiglio di disciplina. Con conseguente potere dovere dei giudici di merito di valutare la correttezza della procedura applicata e rilevando, anche d’ufficio, eventuali violazioni procedurali. Nel caso specifico la sanzione del recesso non poteva essere applicata, poiché sospesa in attesa della pronuncia del Consiglio di disciplina. La sua adozione in spregio alla prevista procedura la rende nulla. Dunque il ricorso è stato ritenuto infondato e rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 aprile – 28 agosto 2015, n. 17286 Presidente Roselli – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 27.2.14 la Corte d'appello di Potenza, pronunciando in sede di rinvio dopo che questa S.C., con sentenza n. 5551/13, aveva cassato la sentenza 7.6.11 della Corte d'appello di Catanzaro che aveva confermato l'annullamento del provvedimento di esonero dal servizio di G.T. emesso da A.M.A.C.O. S.p.A. - Azienda per la Mobilità nell'Area Cosentina, rigettava l'appello della società contro la pronuncia di primo grado che tale esonero aveva invalidato. Statuivano i giudici di rinvio che non era mai intervenuta la decisione da parte del Consiglio di disciplina cui aveva fatto ricorso il lavoratore, ricorso avente efficacia sospensiva della sanzione disciplinare ipotizzata in sede di c.d. opinamento nel corso dell'iter disciplinare regolato dall'art. 53 r.d. n. 148/31. Per la cassazione della sentenza ricorre A.M.A.C.O. S.p.A. - Azienda per la Mobilità nell'Area Cosentina, affidandosi a tre motivi. Gli eredi di G.T. nelle more deceduto resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1- Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 383, 384 co. 2 e 394 c.p.c. per avere la sentenza impugnata rilevato d'ufficio un motivo di illegittimità rectius di nullità del licenziamento mai dedotto nell'atto introduttivo di lite, consistente nell'essere mancata la pronuncia del Consiglio di disciplina sull'ipotesi di sanzione disciplinare formulata in sede di c.d. opinamento ai sensi dell'art. 53 r.d. n. 148/31. Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità all'orientamento da ultimo espresso dalle S.U. di questa S.C. v. sentenza n. 26242/14 , secondo cui il principio di rilevabilità d'ufficio delle nullità negoziali emergenti ex actis si estende contrariamente a quanto affermato da Cass. S.U. n. 14828/12 anche alle nullità c.d. di protezione per esse intendendosi quelle che possono farsi valere solo dal soggetto nel cui interesse la nullità medesima è prevista , da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime. Si tratta di una nullità caratterizzata dalla coesistenza della legittimazione ristretta potendo essere fatta valere dal solo soggetto nel cui interesse è prevista e della rilevabilità d'ufficio, ovviamente subordinata alla verifica dell'utilità pratica che il soggetto protetto possa trame. La nullità d'una sanzione disciplinare per violazione dell'iter legislativo previsto per la sua irrogazione rientra - appunto - nella categoria delle nullità di protezione, atteso che la procedura garantistica prevista in materia disciplinare dall'art. 7 Stat. in linea generale e, nello specifico dei rapporti di lavoro autoferrotranviario, dall'art. 53 r.d. n. 148/31 è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del contraente debole del rapporto vale a dire del lavoratore dipendente . E poiché nel caso in esame la nullità del licenziamento è stata dedotta fin dall'atto introduttivo del giudizio come si evince dalla lettura della gravata pronuncia dal dipendente G.T. , poi deceduto nelle more di lite ed era di intuitiva evidenza l'utilità pratica che ne derivava al soggetto protetto, ben poteva e doveva la Corte territoriale rilevare d'ufficio quell'ipotesi particolare di nullità scaturente dalla violazione dell'iter disciplinare regolato dall'art. 53 r.d. n. 1248/31, come meglio infra chiarito in sede di disamina del secondo motivo di censura. Per chiudere il punto, è appena il caso di aggiungere che, per costante giurisprudenza, quello di rinvio è un giudizio a carattere chiuso , tendente a una nuova decisione nell'ambito fissato dalla sentenza di legittimità in sostituzione di quella cassata. Nel giudizio di rinvio le parti sono obbligate a riproporre la controversia nei medesimi termini e nel medesimo stato di istruzione, senza possibilità di svolgere nuove attività probatorie od assertive. Le uniche eccezioni si hanno quando la pronuncia rescindente abbia diversamente definito il rapporto dedotto in giudizio, oppure quando vi siano fatti sopravvenuti o non ancora conosciuti la cui giuridica rilevanza derivi, appunto, dalla sentenza di cassazione cfr., ad esempio, Cass. 12.10.09 n. 21587 o, ancora, quando residuino questioni ritenute assorbite dalla sentenza cassata. Ma il carattere c.d. chiuso del giudizio di rinvio concerne nei limiti anzidetti solo l'attività delle parti e non anche i poteri officiosi del giudice, salvo che - ma non è questo il caso - si tratti di questioni di diritto rilevabili d'ufficio che tendano a porre nel nulla o a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l'operatività del principio di diritto in essa enunciato cfr. Cass. n. 327/10 Cass. n. 13957/91 . 2- Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 53 commi 7 e 8 r.d. n. 148/31, all. A, e 12 co. 1 disp. prel. c.c., perché la mancata presentazione di nuove giustificazioni, da parte del G. , dopo la comunicazione dell'opinamento rendeva inutile la pronuncia del Consiglio di disciplina, sicché la sanzione doveva considerarsi ormai definitiva. Il motivo è infondato. Recita l'art. 53 r.d. n. 148/31 In base ai rapporti che pervengono alla Direzione od agli uffici incaricati del servizio disciplinare, il direttore, o chi da esso delegato, fa eseguire, per mezzo di uno o più funzionari, le indagini e le constatazioni necessarie per l'accertamento di fatti costituenti le mancanze. Nel caso in cui l’agente sia accusato di mancanza, per la quale sia prevista la retrocessione o la destituzione i suddetti funzionari debbono contestare all'agente i fatti di cui è imputato, invitandolo a giustificarsi. I funzionari, eseguite le indagini, debbono presentare una relazione scritta nella quale riassumono i fatti emersi, espongono su di essi gli apprezzamenti e le considerazioni concernenti tutte quelle speciali circostanze che possono influire sia a vantaggio, sia ad aggravio dell'incolpato e quindi espongono le conclusioni intese a determinare, secondo il proprio convincimento morale, le mancanze accertate ed i responsabili di esse. Alla relazione saranno allegati tutti gli atti concernenti il fatto, comprese le deposizioni firmate dai rispettivi deponenti od interrogati. Se questi non possono o non vogliono firmare, dovranno indicarne il motivo. In base alla relazione presentata, il direttore, o chi da esso delegato, esprime per le punizioni, di cui agli artt. 43 a 45, l'opinamento circa la punizione da infliggere. Quante volte il direttore ritenga incompatibile, a termini dell'art. 46, la permanenza dell'agente in servizio, può ad esso applicare la sospensione preventiva fino a che sia intervenuto il provvedimento disciplinare definitivo. L'opinamento è reso noto agli interessati con comunicazione scritta personale. Gli agenti interessati hanno diritto, entro cinque giorni dalla detta notifica, di presentare a voce o per iscritto eventuali nuove giustificazioni, in mancanza delle quali, entro il detto termine, il provvedimento disciplinare proposto diviene definitivo ed esecutivo. Nel caso in cui l'agente abbia presentate le Sue giustificazioni nel termine prescritto, ma queste non siano state accolte, l'agente ha diritto, ove lo creda, di chiedere che per le punizioni, sulle quali, ai sensi del seguente articolo, deve giudicare il Consiglio di disciplina, si pronunci il Consiglio stesso. Tale richiesta, che deve essere fatta nel termine perentorio di dieci giorni da quello in cui gli è stata confermata dal direttore la punizione opinata, sospende l'applicazione della punizione fino a che non sia intervenuta la decisione del Consiglio stesso . Nel caso in discorso la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto e con motivazione immune da vizi logico-giuridici che G.T. ha effettivamente impugnato l'opinamento con raccomandata a mano del 18.2.2000 e, alla conferma dell'opinamento medesimo da parte della società con nota n. 675 del 23.2.2000, ha fatto ricorso al Consiglio di disciplina, che - però - non si è mai pronunciato. In altre parole, i giudici del rinvio hanno smentito il presupposto fattuale su cui si basa il motivo di censura in esame, ossia che contro l'opinamento il lavoratore non abbia presentato nuove giustificazioni. Solo in tale evenienza - che, giova ribadire, i giudici di merito hanno escluso - la sanzione disciplinare proposta sarebbe divenuta definitiva ai sensi del co. 8 del cit. art. 53 r.d.n. 148/31. 3- Con il terzo motivo il ricorso si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del principio di soccombenza nella parte in cui l'impugnata sentenza, liquidando le spese, non ha tenuto conto dell'esito favorevole, per la società, del giudizio di cassazione. Il motivo è infondato. In virtù di consolidata giurisprudenza di questa S.C., l'onere delle spese va attribuito tenendo presente l'esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera in base ad un criterio unitario e globale cfr., ex aliis , Cass. n. 6259/14 Cass.n. 17523/11 . L'esito opposto di taluni gradi può costituire giusto motivo di totale o parziale compensazione delle spese nel regime di cui al testo dell'art. 92 c.p.c. applicabile ratione temporis nella presente controversia in quanto sintomatico d'una qual certa problematicità delle questioni dibattute. Ma si tratta pur sempre di esercizio di una potestà discrezionale rimessa al giudice, non sindacabile in sede di legittimità. 4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.