Quando il licenziamento ritorsivo ti si ritorce contro

L’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14928/2015, depositata il 16 luglio 2015 sul licenziamento ritorsivo, secondo la lavoratrice, giustificato dal punto di vista oggettivo, secondo il datore di lavoro. Il licenziamento ritorsivo più o meno velato che sia . Secondo costante giurisprudenza, il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, è assimilabile a quello discriminatorio, vietato dall’art. 4, l. n. 604/1966, dall’art. 15, Statuto dei Lavoratori nonché dall’art. 3, l. n. 180/1990. Esso costituisce un’ingiusta ed arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona a quest’ultimo legata. La gravità di un simile licenziamento comporta addirittura la nullità del provvedimento espulsivo, sempre che l’abominevole motivo sia l’unico e determinante e che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni. Il gioco delle parti. A fronte di un licenziamento ritorsivo, il lavoratore è gravato da un onere della prova molto articolato egli non solo deve dedurre quali siano i comportamenti ritorsivi, ma anche dimostrare il rapporto di causalità tra le circostanze pretermesse i comportamenti scatenanti e l’asserito intento di rappresaglia. In ogni caso, l’allegazione da parte del lavoratore del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli, non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare la legittimità del provvedimento espulsivo ai sensi dell’art. 5, l. n. 604/1966 il datore di lavoro deve, quindi, dare prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento. Solo ove il datore di lavoro abbia fornito, almeno apparentemente, prova della legittimità del licenziamento, allora incombe sul lavoratore dimostrare l’intento ritorsivo, quale unico e determinante motivo del licenziamento. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. È noto come esso sia riconducibile all’esigenza di sopprimere il posto di lavoro occupato dal lavoratore licenziato, a causa di esigenze economiche dell’azienda, siano esse riconducibili a crisi non contingenti, o alla riorganizzazione degli assetti aziendali. In considerazione del principio di libertà di iniziativa economica, il giudice di merito non può sindacare la scelta imprenditoriale sul taglio dei costi o sulla riorganizzazione del lavoro, ma deve limitarsi a valutare l’effettiva esigenza di soppressione del posto di lavoro ex ante e l’effettiva soppressione del posto ex post . In tale prospettiva si colloca il c.d. onere di repechage . Ebbene, al fine di ritenere raggiunta la prova dell’inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, è necessario che il datore di lavoro indichi le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi dipendenti e dimostri che queste ultime non siano equivalenti a quelle già svolte dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità da questi raggiunta. Un difficile equilibrio Il giudice si trova, infatti, a dover soppesare gli elementi di prova provenienti da entrambe le parti. Entrambe le parti sono chiamate a dare prova delle loro ragioni. Nel caso di specie la Corte di Cassazione avvalla le motivazioni della corte territoriale, non rilevando alcun difetto di motivazione. Alla Suprema Corte appare coerente che il giudice di merito abbia ritenuto provato il giustificato motivo oggettivo del licenziamento e non precisamente articolato l’intento di rappresaglia del datore di lavoro, sicché, rigetta il ricorso. Tutta questione di efficacia delle prove e di equilibrio del giudizio

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 febbraio 16 luglio 2015, n. 14928 Presidente Vidiri – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con sentenza n. 372/2013 emessa ex art. 1 comma 57 l. n. 92/2012, il Giudice del lavoro del Tribunale di Rimini respingeva la domanda, proposta da F.L. nei confronti della Savoia Excelsior s.p.a., di annullamento/nullità del licenziamento intimato con lettera consegnata il 14-3-2011, e dichiarava inammissibili le domande risarcitorie. Il giudice riteneva non dimostrato il carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento, sussistente il giustificato motivo oggettivo in ragione del passaggio della società convenuta da un contratto di management con la società Le Meridien Starwood ad uno di franchising, della conseguente esigenza di eliminare l'anello di congiungimento con tale società e di munirsi di una figura dirigenziale efficace il recesso comunicato alla lavoratrice in occasione del suo rientro in servizio, inammissibili le domande risarcitorie estranee alla previsione di cui all'art. 1 comma 47 l. n. 92/2012. La F. proponeva reclamo avverso la detta sentenza deducendo l'erronea esclusione del carattere discriminatorio del licenziamento l'erronea valutazione sulla sussistenza e sulla prova del giustificato motivo oggettivo l'erronea valutazione quanto alla violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori da licenziare l'inefficacia del licenziamento l'errata declaratoria di inammissibilità delle domande risarcitorie. La Excelsior Savoia s.p.a. si costituiva eccependo preliminarmente l'inammissibilità del reclamo ex art. 436 bis e 348 bis c.p.c. e, nel merito, chiedendo il rigetto per infondatezza dello stesso. La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza depositata il 6-3-2014, respingeva il reclamo e compensava le spese. In sintesi la Corte territoriale, respinta l'eccezione di inammissibilità del reclamo, rilevava che non erano stati allegati dalla lavoratrice elementi sintomatici di un intento ritorsivo e, tantomeno, di un carattere discriminatorio del licenziamento ed affermava che nella fattispecie era risultato dimostrato il giustificato motivo oggettivo, per cui non vi era spazio per una comparazione fra più dipendenti. La Corte, poi, rilevava che, una volta accertata la legittimità del licenziamento, ogni domanda risarcitoria fondata sul carattere illegittimo dello stesso, era priva di fondamento, mentre, quanto al dedotto demansionamento, lo stesso non era configurabile nei mesi da gennaio a marzo 2011 atteso che la F. era stata assente per malattia, rientrando in servizio il 14-3-2011, data di comunicazione del licenziamento. Per la cassazione di tale sentenza la F. ha proposto ricorso con cinque motivi. La Excelsior Savoia s.p.a. ha resistito con controricorso. La F. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo si censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un motivo discriminatorio e/o illecito di licenziamento ed in specie si lamenta che al riguardo la Corte territoriale non ha considerato che il licenziamento, motivato da ragioni soggettive e non oggettive, è stato deciso dieci mesi prima della sua adozione e che la F. , prima della adozione del licenziamento, è stata estromessa dalle sue funzioni di direttore generale assegnate ad un nuovo direttore generale. Inoltre, secondo la ricorrente, la Corte di merito ha completamente trascurato di considerare che la convenuta non aveva fornito alcun elemento di prova in ordine al progetto di riorganizzazione, alla sua correlazione con risultati negativi di gestione e alla sua effettiva correlazione con l'esigenza di sopprimere la posizione lavorativa di essa ricorrente ed altresì con un processo del tutto contraddittorio e illogico ha dato per presupposto che esisteva una ingerenza della Starwood e tale ingerenza sarebbe venuta meno con il recesso del contratto di management . In sostanza, secondo la ricorrente, tutti gli elementi emersi non potevano che condurre al riconoscimento della natura discriminatoria del licenziamento attuato unicamente nell'intento di liberarsi di una dipendente non gradita perché ritenuta di provenienza e collegata a Starwood . Infine, la ricorrente evidenzia che il divieto di licenziamento discriminatorio comprende anche il licenziamento per ritorsione e lamenta, comunque, il mancato esercizio dei poteri istruttori d'ufficio idonei a superare l'eventuale incertezza dei fatti costitutivi al riguardo. Tale motivo risulta in parte inammissibile e in parte infondato. Come è stato più volte affermato da questa Corte, il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta assimilabile a quello discriminatorio, vietato dagli artt. 4 della legge n. 604 del 1966, 15 della legge n. 300 del 1970 e 3 della legge n. 108 del 1990 costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni v. Cass. 8-8-2011 n. 17087, Cass. 18-3-2011 n. 6282 . Ne consegue che, in sede di giudizio di legittimità, il lavoratore che censuri la sentenza di merito per aver negato carattere ritorsivo al provvedimento datoriale, non può limitarsi a dedurre la mancata considerazione, da parte del giudice, di circostanze rilevanti in astratto ai fini della ritorsione, ma deve indicare elementi idonei ad individuare la sussistenza di un rapporto di causalità tra le circostanze pretermesse e l'asserito intento di rappresaglia v. Cass. 5-8-2010 n. 18283 . Inoltre, come pure è stato precisato, l'allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare, ai sensi dell'art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'intento ritorsivo e, dunque, l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso v. Cass. 14-3-2013 n. 6501 . Il relativo accertamento di fatto, poi, è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione sufficiente e priva di vizi logici, non essendo, del resto, ammissibile una richiesta di revisione del ragionamento decisorio v., fra le altre, Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766, Cass. 7-1-2014 n. 91 e neppure essendo, peraltro, nel vigore dell'art. 348 ter c.p.c. applicabile anche alla sentenza, che in sede di reclamo ex art. 1 comma 58 della l. n. 92/20012 conferma la decisione di primo grado v. Cass. 29-10-2014 n. 23021 - denunciarle il vizio ex art. 360, comma, 1 n. 5 c.p.c. nel caso come nella specie di doppia conforme . D'altra parte, in base al nuovo testo dell'art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c, comunque non è ammissibile la deduzione di un semplice difetto di sufficienza della motivazione , stante la riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione v. Cass. S.U. 7-4-2014 n. 8053 . Orbene nel caso in esame, innanzitutto, il motivo, pur denunciando formalmente vizi di violazioni di legge, in realtà, a ben vedere, consiste in gran parte in censure di insufficienza ed incongruità della motivazione, come tali inammissibili. L'intero, motivo, poi, in sostanza, si risolve in una inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio e dell'accertamento di fatto operati dalla Corte di merito. In particolare, premesso che il trattamento discriminatorio lamentato dalla lavoratrice non è in alcun modo collegato ad uno dei motivi vietati, ma deriverebbe unicamente dal legame della stessa con la Starwood, società dal cui controllo organizzativo la datrice di lavoro aveva deciso di svincolarsi , la Corte territoriale ha rilevato che non sono stati allegati dalla lavoratrice, onerata della prova elementi sintomatici di un intento ritorsivo, volto a far ricadere sula stessa, in quanto longa manus della Starwood, il peso dei risultati operativi negativi degli ultimi anni , elementi che invece paiono unicamente costituire il punto di partenza di una riorganizzazione esplicitamente illustrata nella lettera di licenziamento e poi attuata, come emerge dalle risultanze documentali acquisite . Inoltre la Corte ha accertato che come spiegato nella lettera del 14-3-2011, la sig.ra F. è stata licenziata non perché sgradita alla datrice di lavoro in quanto di provenienza Starwood ma perché, nell'ambito del progetto di riorganizzazione deciso per far fronte ai negativi risultati di gestione, la Excelsior Savoia s.p.a. voleva staccarsi dall'ingerenza della Starwood recedendo dal contratto di management e affidare la direzione dell'albergo ad una figura dirigenziale e tale la F. non era , capace di gestione autonoma nell'ambito delle direttive del C.d.A. . Tale accertamento di fatto risulta pienamente conforme ai principi sopra ribaditi e resiste alle censure della ricorrente, la quale, peraltro, neppure può dolersi del mancato esercizio di poteri istruttori d'ufficio, senza indicare specificamente se e quali richieste abbia avanzato in tal senso in sede di merito v. Cass. 12-3-2009 n. 6023, Cass. 2.6-6-2006 n. 14731 . Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116, 436 e 437 c.p.c., 3 e 5 l. n. 604/1966, nonché vizio di motivazione, censurando la affermazione della sussistenza nella specie di un giustificato motivo oggettivo, in sostanza lamenta che la Corte di merito ha omesso qualsiasi valutazione sul contratto di franchising, che comunque imponeva l'uso di servizi centralizzati della Starwood e l'obbligo di attenersi agli standard, politiche e programmi in vigore stabiliti dal concedente del marchio , di guisa che non vi era stata alcuna variazione nella gestione dell'albergo, se non per alcuni aspetti di carattere amministrativo non ha considerato che l'affidamento del medesimo ruolo asseritamente soppresso ad un dipendente di nuova assunzione rendeva di per sé invalido il licenziamento erroneamente, contraddittoriamente e senza alcun sostegno probatorio effettivo, ha ritenuto che la posizione del nuovo direttore avesse un diverso e più elevato grado di autonomia e di discrezionalità, solo sulla base della diversa qualifica e senza una verifica concreta nella sostanza, poi, non ha accertato in concreto la effettività della soppressione del posto e della scelta imprenditoriale, al di là della mera qualifica di riferimento indicata. Anche tale motivo risulta in gran parte inammissibile, essendo incentrato in censure di vizi di motivazione in un caso di doppia conforme , e per il resto infondato. In tema di giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, che comprendono anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda v. Cass. 24-2-2012 n. 2874 , come è stato più volte affermato da questa Corte, compete al giudice che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto v. Cass. 11-7-2011 n. 15157, Cass. 14-5-2012 n. 7474 . Peraltro, come è stato precisato, al fine di ritenere raggiunta la prova dell'inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, è necessario che il datore di lavoro, su cui grava l'onere probatorio, indichi le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi dipendenti e dimostri che queste ultime non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità da questi raggiunta v. Cass. 1-8-2013 n. 18416, Cass. 15-5-2000 n. 6265, Cass. 11-12-1997 n. 12548 . L'accertamento poi di tali presupposti costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata v. Cass. 14-7-2005 n. 14815 . Orbene nel caso in esame la Corte di merito ha accertato sia la effettività del riassetto organizzativo stabilito dal C.d.A. a seguito delle perdite di esercizio nei bilanci 2009-2010 e caratterizzato da un intervento gestionale da parte della proprietà, svincolato da scelte di indirizzo e gestionali esterne , con instaurazione di un diverso rapporto contrattuale in sostituzione dell'attuale contratto di management .individuato in un franchising che consenta di mantenere l'utilizzo del marchio Le Meridien , ma con diretta gestione dell'hotel da parte della proprietà , attuata con un General Manager, con qualifica di dirigente, con la più ampia autonomia gestionale e di intervento, che si rapporterà direttamente al C.d.A. e non più all'Area Manager di Starwood come è sinora avvenuto v. decisione C.d.A. del 6-12-2010 , sia, nel contempo, l'effettività della soppressione del posto di quadro A con funzioni di hotel manager rapportato alla Area Manager di Venezia della Starwood , come previsto dal pregresso assetto regolato dal contratto di management vedi documenti prodotti dalla società, tutti attentamente esaminati dalla Corte di merito . La Corte territoriale, inoltre, ha accertato, in particolare la non equivalenza del nuovo posto rispetto al precedente in ragione della diversa dose di autonomia e discrezionalità , emersa dal dato documentalmente comprovato, dell'essere stato il M. assunto con qualifica di dirigente e in tale veste sotto ordinato direttamente al C.d.A. della società, laddove la F. era un quadro gerarchicamente subordinata ad un dirigente, nella specie individuato nell'Area manager della Starwood . Tale accertamento di fatto risulta conforme ai principi di diritto sopra richiamati e resiste alle censure della ricorrente, che, in sostanza, si risolvono o in una denuncia di vizi di motivazione inammissibile ex art. 348 ter c.p.c. peraltro neppure sussumiteli nel nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , o, comunque, in una richiesta di revisione del ragionamento decisorio e di riesame del merito, parimenti inammissibile in questa sede. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la Corte di merito, in sostanza, avrebbe invertito l'onere probatorio, ritenendo che incombesse sulla lavoratrice la dimostrazione di elementi di prova specifici, atti ad incrinare la coerenza logica e formale delle scelte datoriali nonché della eterodirezione del M. il dirigente assunto per sostituirla per giunta, con modalità analoghe a quelle esercitate nei confronti di essa F. . Il motivo è infondato, giacché la Corte territoriale ha fondato la decisione sul corredo probatorio documentale fornito dalla società , come sopra evidenziato, ed ha semplicemente aggiunto che, a fronte dello stesso, la lavoratrice non ha addotto elementi di prova specifici, atti ad incrinare la coerenza logica e formale delle scelte datoriali, peraltro esplicitate nella stessa lettera di licenziamento , ritenendo altresì all'uopo insufficiente il documento invocato dalla ricorrente n. 36 , che attestava soltanto un riferimento reports to del general manager del Savoia al sig. Me. della società Le Meridien . Non vi è stata, quindi, alcuna inversione dell'onere della prova. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe arbitrariamente ed apoditticamente escluso la violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare . Anche tale motivo è infondato, giacché la Corte territoriale, una volta appurata l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo legato alla soppressione del ruolo dell'appellante , correttamente ha affermato che non vi è spazio per una comparazione tra più dipendenti secondo i criteri di correttezza e buona fede e, prima ancora, non vi sono nel caso concreto più dipendenti con mansioni fungibili da comparare . Del resto, proprio, in mancanza di tale fungibilità, neppure poteva effettuarsi, a tal fine, una comparazione con il nuovo direttore pur già assunto al momento del licenziamento . Con il quinto motivo, infine, la ricorrente lamenta che la Corte d'Appello erroneamente ha escluso l'inefficacia del licenziamento per la malattia ed all'uopo deduce che per effetto dell'art. 2110 c.c., ciò che rileva è il momento di insorgenza della patologia e non certo il momento in cui è stata comunicata . Neppure tale motivo merita accoglimento. Legittimamente, infatti, la Corte di merito, premesso che il licenziamento, quale atto unilaterale recettizio, acquista efficacia nel momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, ha accertato che nel caso di specie, la lettera di licenziamento è stata consegnata alla dipendente il giorno 14-3-2011, al suo rientro dopo un periodo di assenza per malattia ed ha ritenuto che il fatto che quello stesso giorno, e dopo aver avuto conoscenza della lettera di recesso, la F. si sia nuovamente ammalata, non preclude l'efficacia dell'atto di recesso e quindi la risoluzione del rapporto di lavoro . In sostanza la nuova malattia, seppure nello stesso giorno, è intervenuta quando si era già verificata la risoluzione del rapporto. Il ricorso va pertanto respinto e, in ragione della complessità e della parziale novità delle questioni, ricorrono i presupposti per compensare le spese tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.