Lo sciopero o è integrale o non è sciopero

Il rifiuto del lavoratore di rendere solo una parte delle mansioni che è tenuto a svolgere non può essere qualificato come sciopero - il quale presuppone un rifiuto integrale - bensì come un mero inadempimento parziale della prestazione, passibile di conseguenze sul piano disciplinare.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14457 depositata il 10 luglio 2015. Il caso. La Corte d’Appello di Genova, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava illegittima la sanzione disciplinare inflitta ad un dipendente delle Poste Italiane che si era rifiutato di svolgere una prestazione aggiuntiva come definita dall’accordo sindacale del 20 luglio 2004 , consistente nella sostituzione di un collega assente - appartenente alla medesima area ed entro determinati limiti di orario giornalieri e mensili – nella consegna della corrispondenza. Ad avviso dei Giudici di merito il rifiuto della prestazione era avvenuto seguendo le indicazioni fornite da una Organizzazione Sindacale che aveva indetto l’astensione da ogni forma di prestazione accessoria con conseguente assenza in capo al dipendente dell’elemento soggettivo della colpa ed illegittimità della sanzione disciplinare irrogata. Il lavoratore è responsabile di ciò che fa. Contro tale pronuncia la società ricorreva alla Corte di Cassazione affidandosi ad un unico motivo. Ad avviso della ricorrente, i Giudici di merito avevano errato nel non considerare che, nella valutazione che il dipendente fa circa la sua adesione ad un’astensione collettiva, non può non rientrare anche il rischio che si tratti di un’astensione illegittima, ragion per cui non può operare alcuna esimente dovuta ad una sua pretesa inconsapevolezza. Una diversa interpretazione, proseguiva la società, renderebbe sempre esente da responsabilità disciplinare il dipendente che aderisca ad uno sciopero illegittimo, violando così l’art. 4, l. n. 146/1990 a mente del quale, per quanto qui interessa, i lavoratori che si astengono dal lavoro in violazione delle disposizioni dei commi 1 e 3 dell'articolo 2 o che, richiesti dell'effettuazione delle prestazioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, non prestino la propria consueta attività, sono soggetti a sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità dell'infrazione, con esclusione delle misure estintive del rapporto o di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso . Infine, ad avviso del datore di lavoro, ai fini dell’insorgere della responsabilità disciplinare risultava del tutto irrilevante la sussistenza di una pretesa buona fede da parte del lavoratore, potendo questa rilevare solo ai fini della valutazione sulla proporzionalità della sanzione. La buona fede rileva ma non è tutto. Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso decidendo nel merito la controversia. Ad avviso della Corte infatti, in tema di obbligazioni lo stato soggettivo di buona fede non è idoneo - di per sé - ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento in capo al debitore, dovendo questi dimostrare non già la sua mera condizione di buona fede bensì che l’inadempimento sia dovuto ad impossibilità a lui non imputabile, nel cui ambito è riconducibile l’impegno di cooperazione alla realizzazione dell’interesse della controparte. Ne consegue, prosegue la Cassazione, che qualora il lavoratore – a giustificazione della mancata prestazione – invochi la rilevanza scriminante del ritenuto esercizio del diritto di sciopero, l’inadempimento è incolpevole solo se il convincimento dello stesso si sia accompagnato ad un comportamento idoneo ad integrare un impegno di cooperazione Cass. n. 9714/2014 . L’astensione parziale non è sciopero. Su questi presupposti, la Corte ribadisce il consolidato principio per cui si è fuori dall’ambito del diritto di sciopero ogniqualvolta il rifiuto di rendere la prestazione per una certa unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere c.d. sciopero delle mansioni , costantemente ritenuto dalla giurisprudenza estraneo al concetto di sciopero e per questo illegittimo cfr. Cass. nn. 25817/2014 24142/2014 9714/2011 . Ne consegue, in queste ipotesi, che l’omissione di un aspetto specifico dei propri obblighi integra un inadempimento parziale, con conseguente legittimità della sanzione disciplinare irrogata al lavoratore inadempiente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 maggio – 10 luglio 2915, n. 14457 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Svolgimento del processo La Corte di appello di Genova, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava illegittima la sanzione disciplinare inflitta da Poste Italiane s.p.a. al dipendente F.G., che sia era rifiutato di effettuare quella che l'accordo 29.7.2004 aveva definito prestazione aggiuntiva, ossia l'obbligo per l'agente di recapito, titolare di una zona ricompresa all'interno di un'area territoriale di riferimento, di sostituire l'agente assente appartenente alla medesima area, entro il limite mensile individuale di 10 ore, con il limite giornaliero massimo di due ore e riconoscimento, in luogo dell'importo per lavoro straordinario, di un determinato compenso da ripartire tra coloro che partecipano alla sostituzione dell'agente assente. Nella specie, il rifiuto della prestazione era avvenuto secondo le indicazioni fornite dall'organizzazione sindacale Cobas, che aveva indetto l'astensione da ogni forma di prestazione accessoria comunque denominata alla luce di ciò, la Corte territoriale riteneva che il comportamento tenuto dal lavoratore non fosse sanzionabile per carenza dell'elemento soggettivo della colpa il ricorrente aveva agito in buona fede e all'interno di uno sciopero organizzato e proclamato dal Sindacato, dichiarato illegittimo solo a seguito di un giudizio. Per la cassazione di tale sentenza la società Poste Italiane propone ricorso affidato ad un motivo. Resiste con controricorso il G. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente, si dà atto che il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. Con unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 c.c. e dell'art. 7 legge n. 300/70, anche in combinato disposto con l'art. 1218 c.c., e in relazione all'art. 4 legge n. 146 del 1990. Deduce la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nel non considerare che nella libera valutazione del lavoratore circa la sua adesione ad una astensione collettiva non può non rientrare anche la considerazione dei rischio che si tratti di una proclamazione - e comunque di una astensione - illegittima, cosicché non può operare alcuna esimente per una sua pretesa inconsapevolezza. Una diversa interpretazione renderebbe sempre esente da responsabilità disciplinare il lavoratore per il rifiuto della prestazione a seguito della proclamazione sindacale di uno sciopero illegittimo, contrariamente a quanto risulta dall'art. 4 legge n. 146 del 1990 in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Contesta altresì la rilevanza, ai fini dell'insorgere della responsabilità disciplinare per l'adesione ad una forma di lotta sindacale illegittima, del profilo soggettivo della buona fede, potendo questa rilevare solo ai fini della graduazione della responsabilità e quindi della proporzionalità della sanzione. Chiede la ricorrente se costituisca violazione o falsa applicazione degli art. 2106 c.c. e 7 L. n. 300/70, anche in combinato disposto con l'art. 1218 c.c., ritenere che l'accertamento della legittimità di una sanzione disciplinare non possa prescindere dalla verifica dell'elemento soggettivo in capo al lavoratore e se non sia invece corretto ritenere che il dolo o la colpa di quest'ultimo rilevino solo ai fini della graduazione dei provvedimento sanzionatorio e non della sua sussistenza qualora ricorra, oggettivamente, un inadempimento contrattuale e, comunque, che la proclamazione da parte del sindacato non possa valere come esimente della responsabilità disciplinare in capo al lavoratore che aderisca ad una forma di lotta sindacale illegittima. Chiede altresì se costituisca violazione o falsa applicazione degli arti. 2106 c.c. e art. 7 legge n. 300/70, anche in relazione all'art. 4 Legge n. 146/90, non avere considerato che il legislatore con il richiamato art. 4 ha testualmente sancito l'irrilevanza della copertura della proclamazione sindacale ai fini della sanzionabilità della adesione individuale a forme illegittime di lotta sindacale. Il ricorso è fondato. Nell'esaminare una fattispecie analoga a quella oggetto dei presente giudizio, in cui un dipendente postale si era rifiutato, in adesione ad una astensione collettiva, di consegnare parte della corrispondenza di altro collega assente, così realizzando una illegittima forma di sciopero delle mansioni, questa Corte, con sentenza n. 9714 del 2011, ha escluso che potesse invocarsi l'esimente putativa essendo mancata ogni forma di cooperazione ed ha enunciato il seguente principio di diritto In tema di obbligazioni, lo stato soggettivo di buona fede non è idoneo, di per sé, ad escludere l'imputabilità dell'inadempimento, incombendo sul debitore, a tal fine, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo nell'adempimento siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivata da causa oggettivamente non imputabile allo stesso, nel cui ambito è riconducibile l'impegno di cooperazione alla realizzazione dell'interesse della controparte a cui l'obbligato - in relazione alla natura dei rapporto, alle qualità soggettive dei debitore stesso e al complesso delle circostanze del caso concreto - è tenuto e non la sua mera condizione psicologica di buona fede. Ne consegue che ove il lavoratore, a giustificazione della mancata prestazione, invochi la rilevanza scriminante del putativo esercizio del diritto di sciopero, l'inadempimento è incolpevole solo se il convincimento dello stesso si sia accompagnato ad un comportamento idoneo ad integrare un impegno di cooperazione . Richiamando altre pronunce emesse in controversie analoghe Cass. 547/2011 , la sentenza n. 9714 del 2011 ha osservato che ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando li rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E' il caso dei c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza Cass. 28 marzo 1986, n. 2214 . In tale contesto rientra la specifica fattispecie di cui si discute. In argomento, v. pure Cass. nn. 24142 e 25817 del 2014. II rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo, non è astensione dal lavoro straordinario, né astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella dei c.d. sciopero della mansioni perché, all'interno dei complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l'omissione concerne un aspetto specifico di tali obblighi. L'astensione, pertanto, non può essere qualificata sciopero e resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta. Di conseguenza, la sanzione disciplinare non è illegittima sent. cit. . Anche Cass. n. 17995 del 2003, occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di sostituzioni entro l'ambito della c.d. areola antecedente dell'area territoriale nell'organizzazione delle Poste , ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente, è rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore” e non costituisce esercizio dei diritto di sciopero . II ricorso va dunque accolto e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, c.p.c., con l'accoglimento della domanda di accertamento di legittimità della sanzione irrogata da Poste Italiane a G.F Tenuto conto dell'esito alterno dei giudizi di merito, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di primo e di secondo grado, mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, sono regolate secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara legittima la sanzione disciplinare dei 22 dicembre 2004 compensa le spese dei gradi di merito e condanna G.F. al pagamento delle spese dei presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge e 15% per rimborso spese forfettarie.