Mostra video porno a minore disabile: leso il vincolo fiduciario

La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.

Tale valutazione è ritenuta attività esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro con la sentenza n. 14311, pubblicata il 9 luglio 2015. La vicenda. Un lavoratore adibito ad autista per il trasporto di ragazzi disabili veniva licenziato per giusta causa, poiché aveva mostrato ad un minore disabile, lui affidato in ragione dei compiti di trasporto, un video pornografico tratto dal proprio telefono cellulare. Il Tribunale rigettava l’impugnazione del licenziamento proposta, ritenendo il provvedimento espulsivo legittimo. Analogamente la Corte d’appello confermava la legittimità del licenziamento, rigettando il gravame proposto dal lavoratore. Che ricorreva così in Cassazione. La gravità della condotta contestata e proporzionalità della sanzione inflitta. Il lavoratore ricorrente censura la decisione della Corte di merito, poiché a suo dire non sarebbe stata sufficientemente valutata la proporzionalità della massima sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata, tenendo in considerazione che il mutamento dei costumi e della morale sociale attuali rendono più tollerabili informazioni ed immagini divulgate via internet o video anche di natura pornografica. I giudici della Suprema Corte non condividono tale assunto. In tema di sanzione disciplinare espulsiva, la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare. La giusta causa come clausola generale”. E’ stato affermato dalla Suprema Corte che la giusta causa di licenziamento, quale evento che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. Incensurabile in sede di legittimità la valutazione dei fatti posti a fondamento della giusta causa. L’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. mediante riferimento alla coscienza generale” compiuta dal giudice di merito per l’individuazione della giusta causa di licenziamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove la contestazione non sia limitata ad una censura generica e contrapposta alle motivazioni rese in sede di giudizio, ma contenga una specifica denuncia di violazione di legge. Vizio che consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi, violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. In conclusione, la sentenza impugnata è del tutto rispettosa dei principio di diritto richiamati dalla Corte di Cassazione le motivazioni della corte di merito appaiono complete, corrette, logiche, dando ampia illustrazione delle ragioni che hanno condotto la Corte alla decisione contestata. D’altro canto, le censure mosse dal ricorrente si risolvono in una non consentita pretesa di rivalutazione dei fatti di causa e sulla valenza negativa della condotta contestata. Con conseguente rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 marzo – 9 luglio 2015, n. 14311 Presidente Vidiri – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata in data 22/7/2011 la Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Venezia che aveva rigettato la domanda proposta da M.Z., avente ad oggetto ad ottenere la declaratoria dell'illegittimità con le consequenziali pronunce reintegratorie e risarcitone del licenziamento disciplinare intimato al ricorrente, con lettera del 21/3/2007, dalla T.V. S.r.l. unipersonale, della quale era dipendente con le mansioni di autista addetto al trasporto di disabili. 2. La Corte territoriale, condividendo il giudizio del Tribunale, ha ritenuto che la contestazione dell'addebito fosse sufficientemente specifica, contenendo sia un preciso riferimento temporale, sia la descrizione della condotta disciplinarmente rilevante addebitata al lavoratore, e consistita nell'aver mostrato ad un utente minorenne e disabile un video dal contenuto pornografico della durata di alcuni secondi ha ritenuto che il licenziamento fosse stato intimato per gli stessi fatti per cui vi era stata la contestazione che essi erano di gravità tale da ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario esistente tra le parti, in ragione dello stato di minorazione del disabile cui era stato mostrato il video e del carattere non privato dell'accaduto. 3. Contro la sentenza, lo Z. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, cui resiste la società con controricorso. Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c. 4. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per falsa applicazione dell'art. 7, comma 2°,1. 20 maggio 1970, n. 300, e assume che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la contestazione dell'addebito era generica e violava il suo diritto di difesa. 5. Il motivo è infondato. L'accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un'indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito vedi, per tutte, Cass. 30 marzo 2006, n. 7546 Cass., 15 maggio 2014, n. 10662 . 6. Nel caso in esame, la Corte veneziana ha ritenuto specifica ed analitica la lettera di contestazione inviata al lavoratore, essendo in essa precisati la condotta ascritta nei suoi elementi qualificanti, costituiti dal fatto materiale ha utilizzato il video cellulare di sua proprietà per far visionare agli utenti minori presenti in quel momento sul mezzo di trasporto video e/o foto pornografici , dal tempo nel corso delle settimane comprese tra il 5/2/2007 ed il 16/2/2007 e dalle circostanze di luogo della sua commissione nello svolgimento della sua attività di autista . La specificità non può dirsi insussistente per il sol fatto che manchi la precisa indicazione del giorno in cui il fatto era avvenuto e il nome del minorenne cui il video era stato mostrato il riferimento ad un determinato e ristretto arco temporale, al luogo, agli elementi materiali ed alle modalità di estrinsecazione della condotta, alle qualità del soggetto destinatario della stessa, costituiscono sufficienti elementi perché il lavoratore sia stato posto in grado di conoscere le ragioni della contestazione e di potersi adeguatamente difendere. 7. Va invero ricordato che, in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, come accade nella formulazione dell'accusa nel processo penale, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati Cass., 5 gennaio 2015, n. 13 Cass., 15 maggio 2014, n. 10662 Cass., 3 marzo 2010, n. 5115 Cass., 30 dicembre 2009, n. 27842 Cass., 10 giugno 2004, n. 11045 sull'irrilevanza dell'indicazione del giorno e dell'ora, v. Cass., 7 agosto 2003, n. 11933 . A tali principi il giudice del merito si è pienamente conformato, sicché non sussiste la denunciata violazione di legge né alcuna incongruità o illogicità della motivazione. 8. Con il secondo motivo lo Z. censura la sentenza per falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., nonché per motivazione insufficiente, circa la sussistenza della giusta causa e la proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione adottata, in considerazione dei seguenti elementi non adeguatamente valutati a il mutamento dei costumi e della morale sociale che, nel rendere la collettività più tollerante verso informazioni anche di contenuto volgare trasmesse via internet, incide sul giudizio di gravità del fatto b la scarsa intensità dell'elemento intenzionale, considerato che il minore appariva normale e d'età ben superiore a quella posseduta c la sua affidabilità nello svolgimento delle mansioni, attestata dalla mancanza di precedenti rilievi disciplinari d la possibilità di adibire esso ricorrente ad una mansione diversa, non a contatto con i disabili. 9. Il motivo è infondato. 10. In primo luogo, deve rilevarsi che la censura proposta - nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell'intestazione - si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata, e non già sotto il profilo della sua incongruità o incoerenza o per l'errata ricostruzione del materiale probatorio, bensì per la complessiva valutazione dei fatti, incontestata la loro oggettività. In particolare, il ricorrente addebita ai giudici del merito di aver attribuito una valenza negativa alla sua condotta, nonostante il mutamento dei costumi e le condizioni dei minore, ritenuto persona debole solo dall'opinione meramente soggettiva dei giudicante. Si è dunque fuori, oltre che dal vizio di violazione di legge, anche dal vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., il quale sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di fatti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, rientrando la valutazione degli elementi di prova e l'apprezzamento dei fatti nelle prerogative tipiche del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice Cass. 26 marzo 2010, n. 7394 Cass. 18 settembre 2009, n. 20112 Cass., 6 marzo 2008, n. 6064 . 11. Tali principi valgono anche, in tema di licenziamento disciplinare, con riguardo al giudizio sulla gravità della condotta e sulla proporzionalità della sanzione inflitta. In proposito, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci, affermando che, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare v. Cass., 2 marzo 2011, n. 5095 e, da ultimo, Cass. 26 aprile 2012, n. 6498 . 12. Anche il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è istituzionalmente rimesso al giudice di merito e si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all'art. 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali L. n. 604 del 1966, art. 3 ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto ex art. 2119 c.c. Cass., 10 dicembre 2007, n. 25743 . 13. Si è peraltro affermato a partire da Cass., 22 ottobre 1998, n. 10514, e, a seguire, fra le altre, Cass. 29 aprile 2004, n. 8254 Cass. 6498/2012 cit. e Cass.,12 dicembre 2012, n. 22798 che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Quindi ulteriormente precisato Cass. 4 maggio 2005, n. 9266 che l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c. norma ed. elastica compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - mediante riferimento alla coscienza generale , è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale. 14. Nella specie, la sentenza impugnata è del tutto rispettosa dei principi di diritto su enunciati la Corte territoriale ha invero compiutamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto gravemente lesiva del vincolo fiduciario esistente tra lavoratore e datore di lavoro la condotta tenuta dall'odierno ricorrente, in considerazione dell'indubbio contenuto osceno del video, come descritto dal teste M.A., dello stato di minorazione, in ragione dell'età e della disabilità, del ragazzo cui era stato mostrato e delle reazioni che gli aveva procurato, al punto che il ragazzo era ritornato sull'episodio nei giorni seguenti, riferendolo ad altri operatori ed ai suoi genitori, che avevano quindi chiesto spiegazioni al comune committente del servizio di trasposto affidato in appalto alla T.V. s.r.l. 15. Quanto al giudizio sul contenuto osceno del video, se è vero che la Corte non si è attardata in analisi sociologiche sul mutamento dei costumi prodotto dall'uso di internet e dal dilagare della pornografia, è altrettanto vero che la valutazione sull'oscenità - e quindi sulla gravità della condotta - è stata strettamente correlata alle condizioni soggettive della persona a cui il video è stato esibito, e costituite non solo dalla minore età ma anche dai deficit psichici da cui il ragazzo era affetto, certamente noti al lavoratore, proprio in ragione delle mansioni affidategli e della natura del servizio commissionato alla società datrice di lavoro dal Comune di Venezia. Questa stretta correlazione rende la condotta tenuta dal lavoratore certamente riprovevole secondo il costume e la coscienza sociali, sicché correttamente la Corte l'ha valutata grave ed idonea a ledere il vincolo fiduciario, non essendo peraltro decisiva al riguardo l'assenza di precedenti disciplinari. 16. Quanto all'ulteriore profilo della possibilità di essere adibito ad altra mansione, la questione oltre ad apparire irrilevante ai fini di causa, non è stata oggetto di alcuna valutazione da parte della corte territoriale, sicché la stessa è nuova e come tale inammissibile. 17. Il ricorso deve essere dunque rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate € 100,00 per esborsi e € 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge.