Psiche fragile, fatale il mobbing subito in azienda: indennizzo ai familiari del lavoratore suicidatosi

Accolte, in maniera definitiva, le richieste della moglie e delle figlie dell’uomo. Quest’ultimo si è sì tolto la vita, ma quella scelta, dovuta anche a problemi psichici, è stata causata soprattutto dalle difficili condizioni riscontrate in ambiente lavorativo.

Condizioni psichiche precarie per un uomo, dipendente di un’azienda operativa nel settore della tabacchicoltura. E il contesto lavorativo difficile rende più grave, purtroppo, la situazione Fatale il mobbing messo in atto da un rappresentante del datore di lavoro nei confronti del dipendente tale situazione, difatti, lo spinge al suicidio. Consequenziale il riconoscimento, a favore della moglie e delle figlie dell’uomo, dell’indennità prevista dal ‘Regolamento infortuni’ dell’ente previdenziale di settore, l’Enpaia Cassazione, sentenza n. 14274, sez. Lavoro, depositata oggi . Depressione. Ricostruita nei dettagli la triste vicenda l’uomo, dipendente di una società – una ‘spa’ – operativa nella tabacchicoltura, è stato esposto ad una condotta negativa attuata da un rappresentante del datore di lavoro , e qualificabile come mobbing . E tale situazione, secondo un consulente nominato in appello, ha determinato una grave forma di depressione nell’uomo, culminata poi nel suicidio . Ciò spinge i giudici di secondo grado a ribaltare completamente la visione tracciata in Tribunale, riconoscendo a moglie e figlie dell’uomo il diritto al pagamento, in loro favore, dell’indennità per il caso di morte , prevista dal ‘Regolamento infortuni’ dell’Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura. Per i giudici, in sostanza, il fattore lavorativo, pur non essendo l’unico, era una concausa efficiente dell’atto suicida, insieme con i fattori psichici costituzionali dell’uomo. Di conseguenza, vi era , sempre secondo i giudici, un nesso di causalità tra il suicidio e la malattia professionale – ossia la depressione – indotta dall’ambiente di lavoro – ossia il mobbing subito quotidianamente –. Suicidio. E ora la visione tracciata in appello viene condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione. Corretta, quindi, l’affermazione secondo cui, in questa vicenda, non sono emersi fattori esogeni cui poter ricollegare il gesto suicida . Soprattutto perché è parso altamente probabile che lo stress indotto dal mobbing – riferito da testimoni –, insistendo su una personalità indubbiamente fragile , abbia potuto condurre l’uomo alla decisione di togliersi la vita . Di conseguenza, è evidente, per i giudici, che il fattore lavorativo, pur non essendo l’unico, appare come una concausa efficiente dell’atto suicida, insieme con i fattori psichici dell’uomo. Ciò conduce a ritenere legittima la pretesa avanzata dalla moglie e dalle figlie del lavoratore, alle quali, sanciscono ora i giudici della Cassazione, dovrà essere riconosciuto l’ indennizzo previsto in caso di infortunio mortale .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 marzo – 8 luglio 2015, numero 14274 Presidente Stile – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello Perugia, in riforma della sentenza del Tribunale di Perugia, accoglieva la domanda, proposta nei confronti della Fondazione ENPAIA, Ente Nazionale di Previdenza per gli addetti e gli impiegati in Agricoltura, della moglie e delle figlie del defunto E.T. le quali, sul presupposto che il suicidio del proprio dante causa era da ricollegarsi al mobbing da lui subito nel corso del rapporto di lavoro instaurato con la Trestina Azienda tabacchi S.p.A., chiedevano la condanna del precitato ENPAIA al pagamento in loro favore dell'indennità per il caso di morte prevista dall'art. 11 del Regolamento dell'ente. La Corte del merito,e per quello che interessa in questa sede, dopo aver accertato che il T. era stato esposto ad una condotta attuata da un rappresentante del datore di lavoro qualificabile come mobbing, riteneva, condividendo le conclusioni del CTU nominato in appello, che la depressione di cui era affetto il predetto T. era stata determinata dal mobbing da lui subito nell'ambiente di lavoro. Sulla base di tali premesse la Corte territoriale, poi, assumeva che il fattore lavorativo, pur non essendo l'unico era una concausa efficiente dell'atto suicida, insieme con i fattori psichici costituzionali. Pertanto secondo la Corte territoriale vi era un nesso di causalità tra il suicidio e la malattia professionale indotta dall'ambiente di lavoro. Conseguentemente, secondo la predetta Corte, sussistevano i presupposti per la condanna dell'ENPAIA all'indennità reclamata non rilevando l'esclusione prevista dal regolamento in caso di suicidio riferendosi, tale esclusione, al suicidio cui consegue l'infortunio mortale, e non invece al caso, come quello di specie, in cui la malattia psichica determinata dalle avverse condizioni di lavoro determino il suicidio. Avverso questa sentenza l'ENPAIA ricorre in cassazione sulla base di quattro censure, illustrate da memoria. Resistono con controricorso le parti intimate che propongono impugnazione incidentale condizionata specificata da memoria. Motivi della decisione I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando l'impugnazione della stessa sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale l'ENPAIA, deducendo - ex art. 360 numero 3 cpc - violazione e falsa applicazione dell'art. 115 cpc, sostiene che la Corte del merito ha erroneamente valutato il materiale probatorio non giudicando in base a tutte le prove acquisite. La censura non è fondata. Invero, oltre al rilievo che la censura andava proposta con riferimento, non tanto all'art. 360 numero 3, quanto piuttosto all'art. 360 numero 5 cpc, vi è la considerazione assorbente che la stessa è formulata in senso generico perché non è indicato in modo specifico il materiale probatorio di cui la Corte del merito non avrebbe tenuto conto. Né, in violazione del principio di autosufficienza, è trascritto nel ricorso il contenuto di siffatto materiale. A tanto aggiungasi che, comunque, spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in tal senso per tutte Cass. 12 febbraio 2008 numero 3267 e 27 luglio 2008 numero 2049 . Con la seconda censura del ricorso principale l'ENPAIA, denunciando vizio di motivazione, prospetta che la Corte del merito non ha motivato il proprio dissenso, quanto al nesso causale, dalle conclusioni dei CTU. La censura è infondata. Questa Corte, infatti, ha avuto modo di precisare che il motivo di ricorso con cui - ai sensi dell'art. 360, numero 5 cpc così come modificato dall'art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40 - si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo od anche un fatto secondario cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale , purché controverso e decisivo Cass. 5 febbraio 2011 numero 2805 e Cass. 27 luglio 2012 numero 13457 . Va annotato, comunque,che la Corte del merito, con motivazione adeguata e formalmente logica e come tale sottratta al sindacato di legittimità, argomenta il proprio dissenso dalle conclusioni dei vari CTU rilevando che nel caso di specie non sono emersi fattori esogeni cui poter ricollegare il gesto suicida. D'altro canto appare altamente probabile che lo stress indotto dal mobbing, riferito dai testimoni e ben descritto nella consulenza tecnica d'ufficio, insistendo su una personalità indubbiamente fragile, abbia potuto condurre il T. alla decisione di togliersi la vita.In sostanza il fattore lavorativo, pur non essendo l'unico, appare come una concausa efficiente dell'atto suicida, insieme, appunto, con i fattori psichici costituzionali. Con la terza critica del ricorso principale l'ENPAIA, allegando violazione e falsa applicazione degli artt. 4,7 ed 11 del Regolamento delle prestazioni dell'Assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali ENPAIA 23 giugno 1995 e della legge numero 1655 del 1962, prospetta che la Corte del merito ha erroneamente interpretato il disposto normativo del denunciato Regolamento quanto all'esclusione dell'indennizzabilità degli infortuni conseguenti ad azione suicida. La critica non è esaminabile. Invero trattandosi di regolamento interno parte ricorrente per investire correttamente questa Corte dell' errata interpretazione di una disposizione avrebbe, non solo dovuto, in adempimento dell'onere di autosufficienza, trascrivere il testo delle clausole di cui denuncia l'errata esegesi, ma altresì depositare e a pena d'improcedibilità, come stabilito dall'art. 369 numero 4 cpc, insieme al ricorso il testo del predetto regolamento su cui fonda la censura. Con il quarto motivo del ricorso principale l'ENPAIA, deducendo - ex art. 360 numero 4 cpc - nullità del procedimento e della sentenza nonché violazione dell'art. 112 cpc, assume che la Corte del merito non si è pronunciata sulla sollevata eccezione secondo cui non rientrano nella protezione assicurativa gli eventi imputabili ad infermità mentale. La censura è infondata. Difatti come si desume dalla riportata, in sede di esame del secondo motivo, argomentazione della sentenza impugnata in realtà la Corte del merito tiene conto dei fattori psichici costituzionali , ma esclude che questi siano stati l'unica causa determinante l'evento in quanto ritiene il fattore lavorativo, pur non essendo l'unico, una concausa efficiente . In conclusione il ricorso principale va rigettato e quello incidentale condizionato dichiarato assorbito. Le spese del giudizio di legittimità vanno, in ragione del principio della soccombenza, poste carico del ricorrente principale. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'art.l, comma 17, della L. numero 228 del 2012 per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte riuniti i ricorsi, rigetta quello principale e dichiara assorbito l'incidentale condizionato. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E. 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'art.l, comma 17, della L. numero 228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.