Contratto convertito a tempo indeterminato con l’utilizzatore … risarcimento riconosciuto (e limitato)

L’indennità prevista dall’art. 32 l. n. 183/2010 trova applicazione ogni qualvolta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto e ottenuto dal Giudice l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione di lavoro, convertito, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. n. 276/2003, in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 14033, pubblicata il 7 luglio 2015. Il caso. Un lavoratore assunto con contratto di lavoro di somministrazione chiedeva l’accertamento della nullità del contratto, la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore e la condanna di quest’ultimo al pagamento delle differenze di retribuzione maturate. Il Tribunale del lavoro rigettava la domanda. Proponeva appello il lavoratore e la Corte d’Appello, accogliendo il gravame, riformava la sentenza di primo grado, dichiarando il contratto di lavoro nullo, con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore e condannandolo al risarcimento del danno nella misura pari alle retribuzioni perdute. L’azienda ricorreva in Cassazione per la riforma della pronuncia d’appello. Quando era possibile avvalersi del lavoro interinale. La l. n. 196/1997, poi superata dal d.lgs. n. 276/2003, prevedeva la possibilità di stipulare contratti di fornitura di lavoro temporaneo in ragione di precise esigenze a nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi b nei casi di temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali c nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4 . In particolare, per una valida stipulazione di contratto di fornitura di lavoro temporaneo, era necessario il requisito della temporaneità dell’occasione di lavoro che rendeva necessario l’ausilio di tale tipologia di impiego. Conseguenze della mancanza dei requisiti di legittimità. L’azienda ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto in considerazione la presenza di accordi sindacali atti a comprovare il temporaneo aumento di attività produttiva e la legittimità dell’utilizzo del contratto di lavoro interinale. La Suprema Corte richiama precedenti pronunce Cass. n. 232/2012 , in cui già era stato affermato che in caso di più contratti con prestazioni temporanee, che siano stati ripetutamente reiterati in maniera continuativa, è necessario verificare l’effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, dovendosi in mancanza ritenere legittima la conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore. Oltretutto, affermano i giudici di legittimità, gli asseriti accordi sindacale non risultano prodotti in giudizio, né trascritti, per il principio di autosufficienza, nel ricorso in Cassazione. Corretta dunque la decisione della Corte territoriale, che ha ritenuto non provate le ragioni legittimanti l’utilizzo del contratto di somministrazione. Il risarcimento applicabile è l’indennità ex l. n. 183/2010. Con altro motivo di ricorso viene censurata la decisione della Corte d’Appello con riguardo all’entità del risarcimento riconosciuto al lavoratore. Viene denunciata dall’azienda la violazione dell’art. 32 l. n. 183/2010, poiché i giudici di merito hanno condannato l’azienda al pagamento delle differenze retributive derivanti dalla conversione del contratto di lavoro, disapplicando il citato art. 32, nel significato chiarito dalla l. n. 92/2012 art. 1, comma 13 , prevedente l’indennità massima applicabile nei casi di ricostituzione del rapporto di lavoro a seguito di nullità di un contratto a tempo determinato. Secondo la Suprema Corte il motivo proposto è fondato. E’ ormai indirizzo consolidato del Supremo Collegio si vedano ad esempio Cass. n. 1148/2013 e n. 13404/2013 ritenere che l’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 si applichi a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo compreso, come nel caso di specie, quello che vede la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato un originario contratto di somministrazione dichiarato nullo. L’ampia formula adottata dal legislatore casi di conversione del contratto a tempo determinato consente, secondo la Corte di legittimità, l’applicabilità dell’indennità a forfait in esame anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione di lavoro, convertito, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. n. 276/2003, in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione. Il ricorso è stato così accolto in ragione del motivo ritenuto fondato, con rinvio ad altro collegio d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 aprile – 7 luglio 2015, numero 14033 Presidente Stile – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda del lavoratore in epigrafe, proposta nei confronti della Telecom Italia S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di nullità del contratto di lavoro interinale intercorso con la predetta società quale utilizzatrice delle sue prestazioni e conseguente accertamento dell'intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e con condanna e con condanna di controparte al pagamento delle differenze retributive maturate. A base del decisimi, e per quello che rileva in questa sede, la Corte del merito riteneva, innanzitutto, che non poteva considerarsi il dedotto rapporto risolto per il decorso del tempo poiché non erano emersi altri significativi elementi atti a dimostrare la volontà del lavoratore di risolvere il rapporto. Secondo la predetta Corte, poi, l'allegata ragione, ex art. 24 lettera B del CCNL di categoria, dell'aumento temporaneo dell'attività non era stata provata. Pertanto, precisava la Corte di Appello, il contratto doveva ritenersi nullo con conseguente declaratoria, nei confronti della società convenuta utilizzatrice delle prestazioni rese dal lavoratore in causa, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condanna della società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perdute, non applicandosi nella specie l'art. 32, comma 5, della L.numero 183 del 2010 riferendosi questa alla somministrazione irregolare e non al caso di costituzione di rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'utilizzatele, cioè del soggetto con il quale il prestatore non aveva stipulato formalmente alcunché. Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di cinque censure, illustrate da memoria. Resiste con, controricorso la parte intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo la società Telecom Italia, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1372 cc nonché omessa valutazione di fatto decisivo, critica la sentenza impugnata per non aver la corte del merito tenuto conto, ai fini della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, della circostanza che il lavoratore non è rimasto semplicemente inerte ma ha presto lavoro presso altre società. Il motivo è infondato. È giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, essendo il solo decorso del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza del termine, insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo consenso, costituente pur sempre una manifestazione negoziale, che, seppur tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo, in conseguenza della mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto di lavoro per tutte V., da ultimo, Cass. 28.1.2014 numero 1780 e giurisprudenza ivi richiamata . Parallelamente va rimarcato, e qui ribadito,che, sempre secondo questo giudice di legittimità, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto, non rileva il semplice reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro Cfr. Cass. 9.1.2014 numero 21310 . Alla stregua dei richiamati principi è corretta la sentenza impugnata che ha escluso la risoluzione del rapporto per mutuo consenso non essendovi, oltre alla mera inerzia, altre circostanze significative da cui poter desumere una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, non valendo a tali fini che il lavoratore in causa abbia svolto, dopo la scadenza del termine, altra attività lavorativa sempre in ambito Telecom fidando nell'assunzione definitiva. Con la seconda censura la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1, commi 1 e 2, della L. numero 196 del 1997 e 2697 cc, sostiene che la Corte territoriale non ha tenuto conto che il ricorso al lavoro temporaneo era giustificato sulla base di specifici accordi intervenuti con le OO.SS. La censura non è scrutinabile. Al riguardo va a premesso che secondo diritto vivente della Cassazione in materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice e il singolo lavoratore, dei casi in cui - e dunque delle esigenze per le quali - è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, ovvero l'insussistenza in concreto delle suddette ipotesi, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti del lavoratore, e fa venir meno la presunzione di legittimità del contratto interinale stesso ne consegue che, per escludere che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si consideri instaurato con l’utilizzatore interponente a tempo indeterminato, non è sufficiente arrestarsi alla verifica del dato formale del rispetto della contrattazione collettiva quanto al numero delle proroghe consentite, senza verificare l'effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale per tutte V. Cass. 12.1.2012 numero 232 . Tanto precisato va rilevato che gli accordi intervenuti con le organizzazioni sindacali, posti a base della censura in esame e che vengono richiamati dalla società per confutare l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale non è stato provato l'aumento temporaneo dell'attività dedotta, non risultano, a norma dell'art. 3 69 numero 4 cpc, depositati insieme al ricorso, né è specificato ai sensi dell'art. 366 numero 6 cpc, in quale sede processuale sono rinvenibili. Né l'eventuale presenza dei documenti in parola nei fascicoli di parte o di quelli d'ufficio del giudizio del merito potrebbe sanare l'inosservanza della prescrizione di cui al richiamato art. 366 numero 6 cpc atteso che siffatta prescrizione Cass. S.U 25.3.2010 numero 7161 cit. come ribadito anche da Cass. S.U. 23.10.2010 numero 20075 va correlata a quella ulteriore, sancita a pena d'improcedibilità, di cui all'art. 369, secondo comma, numero 4, cpc che deve ritenersi soddisfatta qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile . Specificazioni, queste, come sottolineato, del tutto carenti nel caso in esame. Del resto non è trascritto nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, il testo della clausola contrattuale su cui si fonda la censura in esame. Con la terza critica la società ricorrente, allegando violazione e falsa applicazione dell'art. 10 della L. numero 196 del 1997 e della L. numero 1369 del 1966, sostiene che erroneamente la Corte del merito ha ripristinato il rapporto di lavoro nei confronti della società utilizzatrice. La critica è infondata. Invero costituisce oramai ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di lavoro interinale, la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne consegue che l'illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e, quindi, l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo inoltre, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l'utilizzatore ed il lavoratore Cass. 17.1.2013 numero 1148, Cass.5.12.2012 numero 21837 e Cass. 23.11.2010 numero 23684 . È corretta in diritto, pertanto, la sentenza impugnata che ha ritenuto di ripristinare il rapporto di lavoro nei confronti del fruitore della,, prestazione. Con il quarto motivo la società ricorrente, prospettando violazione o false applicazione della L. numero 183 del 2010, art. 32, assume che la Corte territoriale non ha erroneamente applicato la denunciata norma. La censura è fondata, dovendosi dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale di cui alle sentenze del 17.1.2013 numero 1148 e 29 maggio 2013 numero 13404 di questa S.C., che hanno ritenuto applicabile l'indennità prevista dalla L. numero 183 del 2010, art. 32, comma 5, nel significato chiarito dalla L. numero 92 del 2012, art. 1, comma 13 a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della L. numero 196 del 1997, art. 3, comma 1, lett. a , contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. Infatti è evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla L. numero 196 del 1997, e la somministrazione di lavoro D.Lgs. numero 276 del 2003, ex art. 20 e ss Inoltre trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l'effetto finale di produrre, come detto, una duplice conversione, sul piano soggettivo D.Lgs. numero 276 del 2003, ex art. 21, u.c., il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore e non più del somministratore e su quello oggettivo atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l'utilizzatore . Tuttavia fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finché si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle d'un rapporto a termine, di guisa che nulla preclude il ricorso alla sanzione meramente indennitaria prevista dall'art. 32, comma 5 cit., anche perché essa è destinata - grazie all'ampia formula adoperata dal legislatore - ai casi di conversione del contratto a tempo determinato . D'altronde, la tendenza normativa è quella di liquidare con un'indennità determinata a forfait o con un risarcimento previsto |entro un tetto massimo il mancato guadagno sofferto dal lavoratore nell'arco di tempo trascorso fra l'illegittima cessazione d'un rapporto lavorativo a cagione della nullità del termine o dell'illegittimità del licenziamento intimatogli e il suo ripristino grazie alla sentenza del giudice così, ad esempio, la L. numero 604 del 1966, art. 8, l'art. 18 Stat. nuovo testo come modificato ex L. numero 92 del 2012, che riserva solo a pochi casi la tutela reintegratoria piena con attribuzione di tutte le retribuzioni maturate medio tempore , e la L. numero 183 del 2010, art. 32 comma 5. Né osta, come sottolineato da Cass. 1.8. 2014 numero 17540, alla soluzione accolta la sentenza della CGUE 11.4.13, Della Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Invero, dall'esame della motivazione emerge che tale inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell'accordo quadro e dall'esistenza di altra più specifica regolamentazione la direttiva 2008/104 per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice contratto a tempo determinato d'altronde, quand'anche la CGUE avesse asserito il contrario, ciò non avrebbe vincolato il giudice dello Stato membro, non conseguendo all'inapplicabilità della direttiva 1999/70/CE - quasi fosse un naturale precipitato - una sorta di rivisitazione dei concetti propri d'un dato ordinamento, compito estraneo a quelli della Corte di Lussemburgo, cui spetta l'interpretazione del diritto dell'Unione e non di quello nazionale. La seconda puntualizzazione è che, per ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, la L. numero 183 del 2010, art. 32, comma 5, si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo di decisione non si sia già formato il giudicato cfr., ex pluribus, Cass. 3.1.11 numero 65 Cass. 4.1.11 numero 80 Cass. 2.2.11 numero 2452 . Il quinto motivo del ricorso, con il quale la società ricorrente denunciando violazione degli art. 1223 cc e 1227, sostiene che la Corte del merito non ha erroneamente tenuto conto dell' aliud perceptum rimane assorbita. In conclusione, vanno rigettati i primi tre motivi di ricorso mentre va accolto il quarto ed il quinto dichiarato assorbito, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione che dovrà attenersi al seguente principio di diritto L'indennità prevista dalla L. numero 183 del 2010, art. 32, trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la Conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l'accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito - ai sensi del D.Lgs. numero 276 del 2003, art. 27, u.c., - in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione . Si da atto della non sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto, dichiara assorbito il quinto cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 si dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.