I lavoratori ingiustamente ceduti e non ripristinati hanno diritto al risarcimento del danno

A seguito della dichiarazione di nullità della cessione di un ramo dell’azienda, in capo al cedente - datore di lavoro che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro con i dipendenti ceduti, sorge un’obbligazione qualificabile come risarcimento del danno dalla quale deve essere detratto l’aliunde perceptum.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8596/15 depositata il 27 aprile. I fatti. La Telecom S.p.A. cedeva un ramo di azienda ad una S.r.l., operazione che il Tribunale di Roma dichiarava inefficace ordinando alla cedente di ripristinare i rapporti di lavoro con i dipendenti addetti al ramo ceduto. La Telecom non ottemperava all’ordine di ripristino e i lavoratori, che continuavano a prestare la propria attività a favore del cessionario, chiedevano ed ottenevano dal Tribunale decreti ingiuntivi contro Telecom per il pagamento delle retribuzioni da loro maturate. La società di telefonia si opponeva all’ingiunzione e, a fronte del rigetto da parte della Corte d’appello, ricorre innanzi alla Corte di Cassazione. Il diritto di credito dei lavoratori ceduti. Il motivo che viene ritenuto assorbente dai giudici di legittimità ha ad oggetto la sussistenza del diritto di credito azionato dai lavoratori con i decreti ingiuntivi opposti. Afferma la società ricorrente che il diritto alla retribuzione è collegato allo svolgimento della prestazione, con la conseguenza che ove questa non venga resa dal lavoratore egli ha diritto al solo risarcimento del danno, con detrazione dell’ aliunde perceptum . Retribuzione o risarcimento? La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di un ramo d’azienda è già stata oggetto dell’attenzione della Suprema Corte. L’elaborazione giurisprudenziale è giunta ad affermare che nell’ambito del contratto di lavoro, in quanto contratto a prestazioni corrispettive, l’erogazione del trattamento economico in mancanza della prestazione lavorativa costituisce un’eccezione che deve essere espressamente prevista dalla legge o dal regolamento contrattuale. In difetto di un’espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa crea una scissione tra sinallagma genetico che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto e sinallagma funzionale che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte che esclude il diritto alla retribuzione-corrispettivo . Sorge in tal caso, a carico del datore di lavoro, l’obbligo di risarcire i danni, solo eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni. Dal risarcimento deve essere sottratto l’aliunde perceptum. In conclusione, si pone la necessità di affermare che, a seguito della dichiarazione di nullità della cessione di un ramo dell’azienda, in capo al cedente–datore di lavoro che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro con i dipendenti ceduti, sorge un’obbligazione qualificabile come risarcimento del danno dalla quale deve essere detratto l’ aliunde perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lavorativa. Nel caso specifico, era onere dei lavoratori dedurre e dimostrare i danni sofferti per il mancato ripristino del proprio rapporto di lavoro alle dipendenze di Telecom, danni comprensivi delle differenze retributive patite continuando a prestare attività lavorativa, regolarmente retribuita, alle dipendenze della società cessionaria. Per questo motivo, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigetta la domanda dei lavoratori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 dicembre 2014 – 27 aprile 2015, n. 8514 Presidente Roselli – Relatore Bronzini Svolgimento del processo II Tribunale di Roma dichiarava l'inefficacia della cessione da Telecom Italia S.p.A. a HPV DCS Srl del ramo d'azienda cui erano addetti gli attuali lavoratori intimati e condannava la cedente a ripristinarne i rapporti di lavoro. Telecom Italia S.p.A. non ottemperava all'ordine di ripristinare i rapporti di lavoro malgrado la formale offerta delle prestazioni ed i lavoratori, che continuavano a lavorare per la società cessionaria, chiedevano ed ottenevano dal Tribunale di Roma decreti ingiuntivi con i quali si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni da loro maturate. L'opposizione proposta avverso tali decreti ingiuntivi veniva rigettata dal Tribunale di Roma con sentenza del 16.4.2010 e la Corte d'appello di Roma con la sentenza del 6.11.2012 rigettava l'appello della Telecom Ad avviso della Corte a seguito della sentenza con cui viene dichiarata l'illegittimità dei trasferimento d'azienda con i connessi rapporti di lavoro, questi devono intendersi ricostituiti ex tunc alle dipendenze del cedente, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza medesima, senza possibilità di detrazione dell'aliunde perceptum, che rileva solo ai fini della quantificazione dei danno risarcibile. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi. I lavoratori intimati Mercuri Mauro ed altri hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione Come primo motivo parte ricorrente deduce la violazione dell'art. 431 c.p.c. Le sentenze sulla cui base i ricorrenti in primo grado avevano agito non erano definitive. Come secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1.206, 1208 e 1217 c.p.c. ed addebita alla Corte d'appello di avere ritenuto valida la messa in mora di Telecom da parte dei lavoratori, nonostante che essi non potessero validamente adempiere continuando a lavorare presso la cessionaria del ramo d'azienda, percependone la regolare retribuzione. Come terzo motivo deduce Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.p.c. e ribadisce che il diritto alla retribuzione è collegato allo svolgimento della prestazione, mentre qualora questa non venga richiesta e resa il lavoratore ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell'aliunde perceptum. II terzo motivo deve essere esaminato per primo, in quanto ha ad oggetto la sussistenza del diritto di credito azionato dai lavoratori con i decreti ingiuntivi opposti. Il motivo appare fondato e pertanto va accolto. La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l'obbligazione del cedente che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento dei danno, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perc, pm. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell'elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l'erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di un' espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale art. 2108 cod. civ. e delle ferie annuali art. 2109 cod. civ. . In difetto di un'espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa da luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto e sinallagma funzionale che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte che esclude il diritto alla retribuzione corrispettivo e determina a carico del datore di lavoro che ne è responsabile l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni. Proprio perché si tratta di un risarcimento del danno ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev'essere detratto l'aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l'apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009 , la dichiarazione di nullità del licenziamento orale Cass. Sez. U, n. 508 del 27/07/1999 , la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009 , l'accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l'automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758 del 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 dei 2000 . La qualificazioni in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell'obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata in maniera decisiva dalle modifiche introdotte dalla L. n. 108 del 1990, art. i alla L. n. 300 del 1970, art. 18 che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio così Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 1.6037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006 , con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum. Tale principio di diritto è stato ribadito con specifico riferimento a fattispecie identiche a quella oggi in esame nel caso di cessione di ramo d'azienda da parte della Telecom ritenuto inefficace, ma con pagamento delle retribuzioni da parte dei cessionario in numerosi precedenti di questa Corte cfr. ass. n. 19490/2014, cass. n. 1.6095/2014, cass. n. 19228/2014 e numerosissime altre . A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l'attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l'onere che non risulta essere stato assolto di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l'inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente. La fondatezza del terzo motivo di ricorso ne determina l'accoglimento, con assorbimento degli ulteriori motivi, risultando infondate le pretese azionate con i decreti ingiuntivi opposti. La sentenza gravata deve essere quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1 con il rigetto delle domande dei lavoratori. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito apparendo la questione controversa e non essendo stata ancora specificamente risolta con riferimento alle vicende delle cessioni ritenute illegittime di rami d'azienda da parte della Telecom. Vanno invece poste a carico delle parti intimate quelle dei giudizio di legittimità che devono liquidarsi come al dispositivo della presente sentenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna le parti intimate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in curo 100,00 per esborsi, nonché in euro 6.000,00 per compensi oltre accessori.