Pensioni: a confondere le idee ci si mettono giudicato e ius superveniens

La sopravvenienza di una norma interpretativa quale l’art. 1, comma 55, l. n. 243/2004 che contraddica l’interpretazione recepita in una sentenza irrevocabile la rende erronea”, ma non ne compromette il valore, che è indipendente dall’esattezza della statuizione resa con essa.

Questo il chiarimento della Corte di Cassazione offerto con la sentenza n. 8441/2015, depositata il 24.04.2015. Il calcolo della pensione che cruccio! Alcuni lavoratori dipendenti di un noto istituto di credito lamentavano l’errato calcolo della loro pensione, soprattutto con riferimento all’incremento al sistema di perequazione automatica di cui al d.lgs. n. 503/1992. Il diritto di tali lavoratori era già stato oggetto di una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui essi avevano diritto a conservare il sistema di perequazione automatica delle pensioni, come disciplinato anteriormente al d.lgs. n. 503/1992, essendo il loro rapporto di lavoro cessato nel 1990 e, quindi, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto. Tale sistema risultava vantaggioso per i lavoratori pensionati poiché prevedeva un incremento sistematico di alcune voci retributive. Le Sezioni Unite, quindi, cassavano con rinvio la sentenza impugnata, e la Corte d’Appello condannava l’istituto di credito a versare le differenze contributive. La banca ricorreva in Cassazione avverso tale ultima sentenza, ritenendo che il giudicato della Suprema Corte fosse superato l’art. 1, comma 55, l. n. 243/2004, norma di interpretazione autentica, il cui disposto precisa che il sistema di perequazione automatica aziendale è abrogato per tutti i pensionati ante e post 31.12.1990 , a far data dal gennaio 1994. Braccio di ferro tra ius superveniens e res iudicata. In primo luogo è bene precisare che, dagli anni Novanta ad oggi, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo cui i lavoratori collocati a riposo prima del 31.12.1990 conservavano il diritto all’integrazione della pensione ad opera della perequazione automatica. Tale diritto sopravvive alla l. n. 421/1992 ed al d.lgs. n. 503/1992. Il termine definitivo del regime perequativo è fissato al 26.07.1996. Successivamente a tale giurisprudenza è intervenuta l’art. 1, comma 55, l. n. 243/2004, che è norma di interpretazione autentica, che chiarisce che la perequazione automatica si applica solo ai pensionati considerati dall’art 3 d.lgs. n. 357/1990, vale a dire a coloro che sono stati collocati a risposo entro e non oltre il 31.12.1990. C’è, quindi, un evidente contrasto tra il giudicato della sentenza delle Sezioni Unite intervenuta tra i lavoratori protagonisti” del caso in commento la norma di interpretazione autentica, entrata in vigore successivamente. La forza del giudicato. Per comprendere quale delle due regole debba prevalere sull’altra bisogna considerare che un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità Cass., n. 15931/2004 Cass., n. 19426/2003 ha statuito che, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodo che quali il calcolo e la corresponsione della pensione , sui quali il giudice si pronuncia con riferimento ad una fattispecie attuale, ma con conseguenze future, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni che tendono ad una nuova decisione delle questioni già risolte con un provvedimento ormai definitivo. Ne consegue che, il provvedimento definitivo produce effetti anche nel tempo successivo alla propria emanazione, con l’unico limite dei fatti nuovi che modifichino il contenuto materiale del rapporto oggetto del giudicato. Ebbene, può considerarsi la norma di interpretazione autentica un fatto nuovo? No. Se così fosse, verrebbe totalmente meno il principio di certezza del diritto. Una nuova norma, che modifichi o regoli in modo diverso una fattispecie già risolta con efficacia di giudicato non può compromettere il giudicato medesimo! Altrimenti ogni controversia potrebbe essere riesaminata all’infinito. E’ per questo che la Corte di Cassazione conferma la prevalenza del giudicato sulla norma di interpretazione autentica entrata in vigore successivamente alla formazione del giudicato medesimo. Certo, l’interpretazione autentica farà leggere il giudicato sotto un’altra luce, rendendolo erroneo” agli occhi di chi l’ha subito, ma ciò non toglie il valore irrevocabile del giudicato e la sua forza espansiva. Il regime di perequazione automatica resta, quindi, un diritto dei lavoratori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 marzo – 24 aprile 2015, n. 8441 Presidente Curzio – Relatore Arienzo Svolgimento del processo La Corte d'appello di Napoli, con sentenza dell’11.6.2010, rigettava il gravame proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Napoli che, in accoglimento della domanda proposta da D.R. e da altri litisconsorti, tutti ex dipendenti del Banco di Napoli e collocati in quiescenza con decorrenza anteriore al 31/12/1990, aveva condannato la Intesa Sanpaolo s.p.a. al pagamento in favore dei suddetti delle differenze economiche sul trattamento pensionistico per il periodo dal gennaio 1994 al 15.6.2003 e per gli importi indicati in ricorso. Il diritto dei ricorrenti traeva titolo da una precedente sentenza di primo grado, che aveva loro riconosciuto il diritto di conservare il sistema di perequazione automatica delle pensioni, come disciplinato anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. 30/12/1992, n. 503. Tale sentenza era stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Napoli successivamente le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 9024/2001, avevano cassato con rinvio la sentenza d'appello, riconoscendo tuttavia il diritto dei pensionati al mantenimento del regime perequativo aziendale, ove cessati dal servizio prima del 31.12.1990 e limitatamente al periodo 1.1.1994-26.7.1996. La Corte d'Appello di Napoli, nel giudizio di rinvio, aveva riconosciuto il diritto dei pensionati a conservare il suddetto regime perequativo aziendale relativamente al periodo 1.1.1994-26.7.1996, condannando per l'effetto la Sanpaolo Imi spa incorporante del Banco di Napoli spa alla corresponsione dei relativi aumenti di pensione. L'ulteriore impugnazione era stata rigettata da questa Corte, con sentenza 19937/2004, con conseguente formazione del giudicato. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre Intesa Sanpaolo s.p.a. quale incorporante di Sanpaolo Imi s.p.a. , prospettando un unico motivo di ricorso, illustrato da memoria. Resistono con controricorso D.R. , E.G. , S.M.S. , quale erede di M.C. , C.C. , G.C. , G.F. , quali eredi di G.G. , V.R. , B.F. e B.M. quali eredi di B.A. , che hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. In via preliminare, deve darsi atto che la notificazione del ricorso per cassazione non si è perfezionata nei confronti di uno degli eredi di Ba.Gi. , come peraltro la stessa ricorrente ha rilevato nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., con cui ha chiesto il rinvio della causa a nuovo ruolo per provvedere alla rinnovazione di tale notificazione. Ritiene tuttavia il Collegio di dover disattendere la richiesta, condividendo i principi già espressi da questa Corte, che qui si richiamano. Si è invero affermato che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ. di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Si è quindi ritenuto che, in caso di ricorso per cassazione inammissibile o infondato come è quello in esame, alla luce delle considerazioni che seguono , appare superflua la fissazione del termine per la rinnovazione della notifica ai fini dell'integrazione del contraddittorio, pur potendone sussistere i presupposti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione e senza un concreto beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti Cass., ord., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6826 Cass. 8 febbraio 2010, n. 2723 Cass., 17 giugno 2013, n. 15106 . Nella specie va ritenuto superfluo, per quanto detto, disporre la rinotifica del ricorso a Ba.Gi. , erede di ba.gi. , come richiesto dalla ricorrente e rinviare a tal fine la causa a nuovo ruolo. 2- Con unico articolato motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2099 c.c. in relazione agli artt. 9 e 11 d.lgs. n. 503/92, come interpretati autenticamente dall'art. 1 comma 55 legge n. 243/04 a riguardo la società ricorrente deduce che, per il periodo successivo a quello su cui si è formato il precedente giudicato in sostanza dall'agosto 1996 in poi deve trovare applicazione la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1 comma 55 legge n. 243/04, in forza della quale, come chiarito da consolidata giurisprudenza di legittimità, il sistema di perequazione automatica aziendale è abrogato, per tutti i pensionati ante e posi 31.12.1990 , a far data dal gennaio 1994 conseguentemente — prosegue il ricorso - in relazione al diritto di conservare, successivamente al luglio 1996, gli aumenti perequativi ottenuti in virtù del sistema previgente, non venendo in rilievo il principio di intangibilità del giudicato né il divieto di bis in idem, la pretesa azionata avrebbe dovuto essere decisa alla luce di tale norma di interpretazione autentica e non già in base alla regula iuris affermata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9024/2001, come sostituita ab origine dalla normativa di interpretazione autentica ciò si spiega — conclude il ricorso - in quanto il diritto alla conservazione dell'assegno perequativo non è parte integrante del giudicato, bensì un diritto conseguente che permane, rebus sic stantibus , solo insieme con il permanere della relativa fonte costitutiva. 3- Il ricorso è infondato, dovendosi dare continuità - in particolare - all'indirizzo già espresso da questa S.C. con le sentenze n. 19825/11 e n. 20975/09. A tal fine si premetta che sul problema della perequazione automatica delle pensioni integrative del personale del Banco di Napoli si è formata una giurisprudenza costante, sulla base della quale i lavoratori collocati a riposo prima del 31.12.90 conservano il diritto all'integrazione, diritto che sopravvive alla legge n. 421/1992 ed al dlg.s. n. 503/1992. Tale regime perequativo termina il 26.7.1996 in tal senso cfr, ex aliis, Cass. n. 9023 e 9024 del 2001, cui la giurisprudenza successiva si è uniformata, con giudicato formatosi anche in relazione agli odierni intimati il che è pacifico inter partes . Successivamente al consolidarsi della giurisprudenza di questa S.C. è intervenuto l'art. 1 co. 55 legge n. 243/2004, che ha stabilito che la normativa sopra richiamata deve intendersi nel senso che la perequazione automatica delle pensioni, come prevista dall'art. 11 d.lgs. n. 503/1992, si applica al complessivo trattamento percepito dai pensionati di cui all'art. 3 d.lgs. n. 357/1990. La suddetta norma di interpretazione autentica ha superato il vaglio di legittimità costituzionale v. Corte cost. n. 362/2008 sotto diversi profili sollecitato da questa stessa Corte Suprema, sicché è da escludersi una pur limitata sopravvivenza del sistema di perequazione automatica. Tuttavia tale norma di interpretazione autentica non è idonea a rimuovere gli effetti del giudicato né essa dispone espressamente la caducazione dei giudicati già formatisi e dei loro effetti futuri nulla di tutto ciò si legge nel cit. art. 1 co. 55 legge n. 243/04 . Si tenga presente che il giudicato, proprio perché destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipa della stessa natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Come insegna costante giurisprudenza di questa S.C., qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto accertato e risolto, pur ove il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo e ciò riguarda anche i rapporti di durata Cass. S.U. 16.6.2006 n. 13916 conf. Cass. 4.12.2006 n. 25681 Cass. 22.4.09 n. 9512 , come quelli dedotti nell'odierna controversia. Sempre in virtù di antica e costante giurisprudenza, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che ne costituiscono il contenuto come nel caso di specie , sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo. Pertanto, quest'ultimo produce effetti anche nel tempo successivo alla propria emanazione, con l'unico limite di fatti nuovi che modifichino il contenuto materiale del rapporto o il relativo regolamento pattizio cfr. Cass. 16.8.2004 n. 15931 Cass. n. 19426/2003 Cass. n. 16959/2003 Cass. n. 3230/2001 Cass. n. 15178/2000 Cass. n. 9548/97 . Nel caso di specie non solo non vi è alcun fatto nuovo che abbia modificato il contenuto materiale del rapporto o il relativo regolamento pattizio tale non essendo il summenzionato art. 1 co. 55 legge n. 243/04, che - proprio perché di mera interpretazione - non ha alcuna attitudine innovativa , ma la retroattività di una norma di interpretazione autentica incontra il limite del giudicato, limite connaturato all'ordinamento in quanto posto a custodia di quel principio di separazione dei poteri che costituisce cardine indefettibile di ogni democrazia costituzionale. Una diversa opzione ricostruttiva sarebbe costituzionalmente impraticabile per lesione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. letto in chiave a quello di certezza del diritto , del principio di separazione dei poteri artt. 101 cpv. e 104 co. 1 Cost. e dell'art. 117 Cost. attraverso la norma interposta dell'ari 1 prot. Protocollo aggiuntivo n. 1 alla CEDU come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo la quale i diritti pensionistici costituiscono un bene ai sensi, appunto, dell’art. 1 del Protocollo n. 1 aggiuntivo alla Convenzione si vedano, ad esempio, le sentenze della Corte EDU Lakieevie e altri c. Montenegro e Serbia Grudié c. Serbia PejZiò e. Serbia Stefanetti e altri c. Italia . Sempre avuto riguardo alla sopravvenienza di una normativa incidente sulla disciplina in base alla quale il giudicato si è formato, deve considerarsi che il fondamento del giudicato sostanziale - che si realizza quando la decisione, oltre ad essere passata formalmente in giudicato art. 324 c.p.c. , incide sul diritto fatto valere art. 2909 c.c. e che risponde al generale principio della certezza del diritto - è quello di rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate per le quali è stata individuata ed applicata la corrispondente regula iuris ai successivi mutamenti della normativa di riferimento, anche con riguardo allo ius superveniens che contenga norme retroattive. Ne consegue, con riferimento ai limiti cronologici del giudicato sostanziale, che la sopravvenienza di una legge interpretativa che contraddica l'interpretazione recepita nella sentenza irrevocabile la rende erronea , ma non ne compromette il valore, che è indipendente dall'esattezza della statuizione con essa resa. Infatti un giudicato - e ciò è dirimente - per quanto in ipotesi erroneo , resta pur sempre giudicato, con tutta la propria capacità espansiva nei successivi rapporti fra le medesime parti, nei limiti oggettivi sopra ricordati. Pertanto, sebbene l'intangibilità del giudicato riguardi solo quanto sia stato oggetto del giudicato stesso, con esclusione di quanto non fosse deducibile nel giudizio in cui esso si è formato, tale non deducibilità non può ricollegarsi alla mera sopravvenienza di una norma che, senza introdurre una nuova azione, si sia limitata ad interpretare autenticamente una disposizione precedente cfr, ex aliis, Cass. n. 1583/2010 Cass. n. 18339/2003 Cass. n. 4630/2000 Cass. n. 12701/1995 Cass. 8797/1995 . Del resto, l'intangibilità del giudicato sostanziale non solo prevale sullo ius superveniens e sulle norme di interpretazione autentica, ma impedisce la caducazione, ab origine , delle norme su cui il giudicato si fonda per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale delle stesse, costituendo - appunto - il giudicato, al pari di altre situazioni giuridiche consolidate in conseguenza di eventi che l'ordinamento giuridico riconosca idonei a produrre tale effetto, uno dei limiti che incontra l'efficacia retroattiva della decisione di illegittimità costituzionale cfr., fra le numerose in tal senso, Cass. n. 4766/1999 Cass. n. 7057/1997 Cass. n. 891/1996 Cass. n. 1860/1983 Cass. S.U. n. 1707/1963 . L'applicazione di tali principi al caso in oggetto fa sì che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1, comma 55, legge n. 243/04, che non contiene previsione alcuna di caducazione dei giudicati sostanziali già formatisi, non è suscettibile di incidere, nel caso concreto, in relazione alle situazioni giuridiche già oggetto di sentenza definitiva passata in giudicato. Né può ritenersi che tale norma di interpretazione autentica venga ad incidere sugli effetti futuri del giudicato sostanziate, posto che, giusta l'interpretazione resane dalla giurisprudenza di questa Corte cfr, e pluribus, Cass. n. 16206/2009 Cass. n. 22700/2006 , la stessa non introduce una nuova disciplina della normativa di riferimento, destinata ad esplicare la propria efficacia sui rapporti giuridici di durata a cui si applica conformemente alla propria natura interpretativa, essa individua soltanto la corretta portata precettiva della normativa già esistente, la stessa, cioè, sulla base della quale si è formato il giudicato sostanziale. Ne consegue che quest'ultimo ha cristallizzato il maturato pensionistico per il periodo considerato, che resta insensibile, anche nei suoi effetti, alla successiva norma di interpretazione autentica contenuta nel cit. art. 1 co. 55 legge n. 243/04 e che, pertanto, deve essere riconosciuto nella sua entità con le eventuali variazioni legate alla dinamica perequativa legale, non essendo più applicabile quella aziendale anche per i ratei successivi cfr. tra le tante, Cass., n. 20975/2009 10825/2011 e, da ultimo, Cass. 5708/2015, 5705/2015, Cass. 5704/2015, Cass. 5248/2015 Cass. 6006/2015, alla cui motivazione ci si riporta . 4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di Intesa Sanpaolo S.p.A Non è dovuta pronuncia sulle spese relativamente agli intimati che non hanno espletato attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti delle parti costituite, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%. Nulla per spese nei confronti delle parti rimaste intimate.