Il diritto alla salute non può essere sacrificato o compromesso

Il diritto alla salute, che si esplica anche nella scelta di terapie migliorative delle condizioni di vita del paziente, non può essere sacrificato o compromesso dalla discrezionalità amministrativa.

Il principio di efficacia ed appropriatezza della terapia – la cui sussistenza nel caso di specie è indubbiamente stata accertata - non può essere eluso dalla mera carenza di evidenze scientifiche disponibili , posto che le evidenze scientifiche possono venire in rilievo allorquando sia stato scientificamente provata l’inefficacia della cura in questione e non già quando, come nella specie, essa sia solo dubbia. Ad affermarlo è la sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 7279 del 10 aprile 2015. Il caso. La Corte di Cassazione si è occupata di decidere il delicato caso di una paziente che aveva scelto di sottoporsi ad una terapia sanitaria non convenzionale”, sul presupposto che la stessa - pur non essendovi esaustive dimostrazioni scientifiche in merito alla sua efficacia – comportava notevoli benefici alla salute e, più in generale, alle proprie condizioni di vita. Si trattava, dunque, di stabilire se la scelta soggettiva della paziente in merito alla terapia cui sottoporsi potesse prevalere sulle cure standard” offerte dal servizio sanitario nazionale. In particolare, il Tribunale di Padova aveva condannato la AUSL ad erogare gratuitamente tale terapia, accordando alla paziente il diritto alla scelta del terapista e garantendo l’erogazione della terapia per la durata necessaria della cura . In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Venezia aveva limitato in 3 anni la durata della terapia. La AUSL ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, d.lgs. n. 502/92, con riferimento al requisito della necessità che la prestazione sanitaria richiesta offra evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, essendo escluse le prestazioni sanitarie la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili. Il principio di efficacia ed appropriatezza della terapia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla AUSL, sul presupposto che nel caso di specie la terapia scelta dalla paziente rispettava i requisiti di legge in tema di appropriatezza ed efficacia delle cure sanitarie, di tal che tale terapia doveva essere preferita a quella proposta dal servizio sanitario nazionale. Sul punto, osserva la Suprema Corte che il giudice d’appello ha accertato che rispetto alla terapia offerta dal S.S.N. che aveva comportato solo un lieve miglioramento della tetraplegia di cui era affetta la paziente, senza consentirle alcuna possibilità di effettuare spostamenti di alcun tipo in posizione eretta, con conseguente necessità di essere assistita completamente per tutte le attività quotidiane il trattamento scelto dalla assistita aveva comportato un concreto miglioramento delle sue condizioni, con possibilità di deambulare e di attendere a elementari ma significative necessità quotidiane quali lavarsi o utilizzare le posate nonché di dedicarsi ad alcune attività lavorative. Pertanto, posto che la dimensione primaria e costituzionalmente garantita del diritto alla salute non può essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi condizionanti in tal senso il diritto all’assistenza, e considerato altresì la Corte territoriale aveva verificato anche tramite c.t.u. che in esito a tale trattamento la condizioni dell’assistita erano indiscutibilmente migliorate, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso proposto dalla AUSL.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 dicembre 2014 – 10 aprile 2015, numero 7279 Presidente Vidiri – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo L’AUSL numero omissis impugnava la sentenza numero 1040/2006 del locale Tribunale, con la quale, in accoglimento della domanda proposta nei suoi confronti da T.G. , l'azienda appellante era stata condannata ad erogare gratuitamente alla ricorrente la terapia Dikul R.I.C. , da effettuarsi presso il Centro Giusti di Firenze nonché presso il suo domicilio, con terapista scelto dall'assistita e per la durata necessaria della cura. Si costituiva ritualmente la T. , chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza appellata. Espletata c.t.u. medico-legale, la Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 6 aprile 2011, accoglieva parzialmente il gravame, determinando in tre anni la durata ulteriore della cura, compensando le spese del grado. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la a.u.s.l., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria. Resiste la T. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, cui resiste la a.u.s.l. con controricorso. Motivi della decisione Debbono pregiudizialmente riunirsi i ricorsi proposti avverso la medesima sentenza. 1.- Ragioni di priorità logica impongono di esaminare dapprima l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dalla controricorrente. Essa invero sostiene che la notifica, effettuata dal procuratore a mezzo del servizio postale, pervenne alla T. solo dopo il trascorrere dell'anno, a nulla rilevando in tale caso che l'atto fosse stato consegnato all'ufficio postale dal procuratore nei termini. L'eccezione è infondata, avendo questa Corte più volte chiarito che in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio, derivante dalla sentenza numero 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell'ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall'ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi dell'art. 1 della legge numero 53 del 1994, essendo irrilevante la diversità soggettiva dell'autore della notificazione con l'unica differenza che alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell'avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l'Ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall'art. 83 cod. proc. civ. alla data dell'avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della legge numero 53 del 1994 ex aliis, Cass. numero l7749/09, numero 7007/12, numero 7324/12, numero 7405/12, numero 4242/13 . Venendo al merito si osserva. 2.- Con il primo motivo la a.u.s.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.lgs numero 502/92, come modificato dal d.lgs. numero 229/99, con riferimento al requisito della necessità che la prestazione sanitaria richiesta offra evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta in particolare la violazione del comma 7 del citato art. 1, laddove stabilisce che sono posti a carico del servizio sanitario nazionale le prestazioni sanitarie che presentano evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute , escludendo specificamente le prestazioni sanitarie la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili , laddove il c.t.u. nominato in grado di appello aveva affermato che allo stato attuale delle conoscenze il metodo RIC non è un sistema supportato da esaustive dimostrazioni scientifiche , pur avendo accertato che tale terapia aveva in concreto dimostrato sensibili effetti positivi sulle condizioni di salute dell'assistita. Evidenzia la a.s.l. che l'individuale miglioramento delle condizioni di salute del paziente non può essere riconnesso con certezza al metodo utilizzato in assenza di evidenze scientifiche, con giudizio da effettuarsi ex ante e non, come nella specie, ex post. 3.- Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia in ordine alla circostanza che il trattamento offerto dal s.s.numero costituisse una valida alternativa rispetto a quello richiesto, e che quest'ultimo non soddisfacesse il principio dell'economicità dell'impiego delle risorse pubbliche art. 360, comma 1, numero 5 c.p.c. . 4.- Con il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 2697 c.c. per non avere l'assistita idoneamente provato i fatti posti a fondamento della domanda, e cioè che il ricorso alla terapia RIC comportasse un vantaggio rispetto alle prestazioni offerte dal s.s.numero e ciò anche al fine di soddisfare il principio di economicità nell'impiego delle risorse. 5. I motivi, che per la loro connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono in parte inammissibili e per il resto infondati. Essi infatti censurano accertamenti di fatto rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito, nella specie avvalsosi anche di nuova c.t.u. medico legale, oltre a quella disposta dal Tribunale e dello stesso segno, senza indicare chiaramente quali siano stati gli errori di valutazione compiuti dal giudice di appello, rimettendo così alla Corte un riesame in fatto delle circostanze in questione. Al riguardo è dunque sufficiente osservare che il giudice di appello ha accertato che rispetto alla terapia offerta dal s.s.numero che comportò solo un lieve miglioramento della tetraplegia da cui era affetta la T. , senza alcuna possibilità di effettuare spostamenti di alcun tipo in posizione eretta, con conseguente necessità di essere assistita completamente per tutte le attività quotidiane , il trattamento XRIC comportò in concreto un deciso miglioramento delle condizioni dell'assistita, con possibilità di deambulare per diverse decine di minuti con l'ausilio di deambulatore, e poi soltanto di stampelle canadesi”, accrescendo le capacità motorie nei vari trasferimenti posturali, riuscendo anche a lavarsi da sola e ad utilizzare le posate, potendo attualmente dedicarsi anche a talune attività lavorative e di svago, con indubbio miglioramento delle condizioni funzionali e di vita. 5.1- Deve allora considerarsi che questa Corte ha già osservato, in controversie del tutto analoghe e definite in senso favorevole all'assistito Cass. numero 17541/11 Cass. numero 24033/13 , che la dimensione primaria e costituzionalmente garantita del diritto alla salute non può essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi comunque disapplicabili ai sensi della L. 20 marzo 1865, numero 2248, art. 5, ali. E , condizionanti in tal senso il diritto all'assistenza cfr. per tutte Cass., Sez. Unumero 24 giugno 2005 numero 13548 Cass., Sez. Unumero 30 maggio 2005 numero 11334 . Ciò premesso, la sussistenza o meno del diritto all'erogazione della prestazione richiesta da parte del Servizio Sanitario Nazionale deve essere accertata in relazione ai presupposti stabiliti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, numero 502, art. 1 nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, numero 229, art. 1 , con cui si stabilisce al comma 2 che il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dalla L. 23 dicembre 1978, numero 833, artt. 1 e 2, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell'economicità nell'impiego delle risorse . Il comma 7 dello stesso articolo così dispone Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che a non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2 b non soddisfano il principio dell'efficacia e dell'appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate c in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell1 economicità nell'impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell'assistenza . La Corte territoriale ha affermato, con apprezzamento adeguato e logicamente motivato, anche attraverso nuova c.t.u. medico legale, che la terapia denominata Dikul o RIC risponde nella fattispecie a questi requisiti. Infatti, si è affermato in sentenza che la terapia in questione ha mirato, da una parte, a favorire il recupero motorio nei distretti muscolari deficitari della T. , la quale a seguito di un grave infortunio stradale nel 23.4.00 ebbe a riportare un grave quadro neurologico con compromissione spinale, e, dall'altra, a sviluppare strategie motorie compensazione col risultato di aumentare la sua autonomia funzionale. È stato, poi, verificato che prima del trattamento di cui si discute, allorquando l'assistita usufruiva unicamente delle prestazioni erogate dal s.s.numero requisito sub e del citato comma 7 , la T. non era in grado di assumere la stazione eretta e di deambulare in alcun modo, mentre in esito alla terapia Dikul la medesima ha acquisito una apprezzabile possibilità di deambulare con tutori e deambulatore e, di conseguenza, la sua posizione eretta è mantenuta con accresciuto controllo del tronco. In conclusione, la Corte ha potuto riscontrare che in esito al trattamento de quo, le condizioni dell'assistita sono indiscutibilmente migliorate rispetto ai trattamenti forniti dal s.s.numero requisito sub c , ed in assoluto requisiti sub a e b , e che tale miglioramento restava subordinato alla prosecuzione della terapia sempre requisito sub b . Ne consegue che la sentenza impugnata sfugge alle critiche mossele per quanto riguarda gli accertamenti di merito condotti in forza di dati oggettivi e conclusi con valutazioni immuni da vizi di natura logico - giuridica. 5.2 - La vantazione espressa dal giudice di merito corrisponde, peraltro, ad una corretta applicazione del principio di appropriatezza fissato dalla legge, in relazione al quale deve essere operato anche il giudizio di efficacia, anch'esso accertato dal giudice d'appello. Infatti, questa Corte ha già avuto modo di stabilire Cass. sez. lav. 24.4.08 numero 10692 che in tema di erogazione da parte del s.s.numero di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, il relativo diritto, allorquando siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi ed irreversibili, deve essere accertato sulla base dei presupposti richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, numero 502, art. 1, nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, numero 229, art. 1, applicabile ratione temporis . In base al principio di efficacia enunciato da tale normativa, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere posti a confronto con l'incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare in particolare - in relazione ai limiti temporali del recupero delle capacità funzionali - la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell'impegno terapeutico. 5.3 - Alla luce dei rilievi fin qui esposti deve concludersi, tenendo conto del diritto primario e costituzionalmente tutelato alla salute, che il principio di efficacia ed appropriatezza della terapia previsto dall'art. 7, comma 1, lett. b del d.lgs. numero 229/99 , indubbiamente accertato nella specie, non può essere eluso dalla mera carenza di evidenze scientifiche disponibili e ciò sia per l'equivalenza, nella stessa lettera della legge dei due precetti, disgiunti infatti dalla locuzione ovvero , sia in quanto le evidenze scientifiche possono venire in rilievo allorquando sia stato scientificamente provata l'inefficacia della cura in questione, e non già quando, come nella specie, essa sia solo dubbia. Il ricorso principale va dunque rigettato. 6.- Risulta quindi assorbito il ricorso incidentale, diretto a censurare la limitazione a tre anni del finanziamento pubblico della terapia, dichiaratamente subordinato all'accoglimento del ricorso principale. 7.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi rigetta il principale e dichiara assorbito l'incidentale. Condanna la a.u.s.l. omissis al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro.3.500,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.