La lavoratrice accetta la fotocopia dello scontrino per il “reso”: licenziata per giusta causa

L’accettazione, da parte della lavoratrice, di una fotocopia dello scontrino in luogo dell’originale ai fini della realizzazione dell’operazione di reso” configura un comportamento che, in quanto posto in essere in violazione di precise disposizioni aziendali, concernenti specifiche modalità operative la cui finalità è quella di evitare azioni truffaldine nei confronti dell’azienda, integra di per sé, per la sua gravità, giusta causa di licenziamento.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6869, depositata il 3 aprile 2015. Il fatto. Una lavoratrice ricorre in Cassazione contro la decisione della Corte d’appello di Ancora con la quale, in riforma della sentenza di prime cure, veniva rigettata la sua domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento a lei intimato dalla società datrice di lavoro. Criteri per valutare la legittimità di un licenziamento per giusta causa. Il Collegio ricorda come la giurisprudenza di legittimità è conforme ormai nel precisare che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve avere il carattere della grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, è necessario che il giudice valuti da un lato la gravità dei fatti addebitati alla lavoratrice, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale dall’altro la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta. Dovrà così stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del lavoratore sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare del licenziamento. La giusta causa del licenziamento nel caso in esame. Nel caso di specie, il Collegio ritiene che la motivazione della sentenza impugnata sia sufficiente e priva di vizi logici, essendo stata presa in coerenza con i principi sopra richiamati. Infatti, la Corte territoriale ha correttamente osservato che l’accettazione, da parte della lavoratrice, di una fotocopia dello scontrino in luogo dell’originale ai fini della realizzazione dell’operazione di reso” configura un comportamento che, in quanto posto in essere in violazione di precise disposizioni aziendali, concernenti specifiche modalità operative la cui finalità è quella di evitare azioni truffaldine nei confronti dell’azienda, integra di per sé, per la sua gravità, giusta causa di licenziamento. Inoltre, è stato precisato che il comportamento della lavoratrice ha natura dolosa, in quanto la truffa posta in essere nei confronti della società presupponeva necessariamente l’accettazione della fotocopia della scontrino. La Corte d’appello, dunque, ha correttamente osservato che l’accettazione della fotocopia dello scontrino è stata ammessa dalla lavoratrice stessa in sede di risposta alla lettera di contestazione degli addebiti, giungendo, poi, a valutare la gravità di tale comportamento in riferimento alla violazione di regole concernenti le specifiche modalità operative obbligatorie. Cadono, pertanto, le doglianze della lavoratrice ricorrente volte a dimostrare il vizio di motivazione per contraddittorietà o insufficienza. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 novembre 2014 – 3 aprile 2015, n. 6869 Presidente Roselli – Relatore Di Cerbo Svolgimento del processo 1. La Corte d'appello di Ancona, in riforma della sentenza di prime cure, ha rigettato la domanda, proposta da B.A.M. nei confronti di Auchan s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato alla ricorrente in data 8 maggio 2007. 2. La Corte territoriale ha affermato la sussistenza della giusta causa di licenziamento avendo ritenuto provato il comportamento addebitato alla lavoratrice. In base alla contestazione la B. , dipendente della Auchan s.p.a. dal 1993 ed adibita, a partire dal 2002, al servizio post vendita dell'ipermercato di Ancona, avrebbe indotto la società a pagare indebitamente la somma di Euro 639,99 a titolo di reso di un articolo un cellulare Nokia 8800 soltanto apparentemente restituito da un cliente. La Corte territoriale ha ritenuto in primo luogo provata la circostanza che la lavoratrice aveva basato la procedura di pagamento sulla base di una fotocopia rivelatasi falsa dello scontrino ciò in violazione di obblighi precisi che impongono la presenza dell'originale . Ha inoltre osservato che il successo dell'operazione truffaldina, posto in essere da altri, presupponeva necessariamente l'accettazione della fotocopia. Da ciò ha dedotto che la lavoratrice aveva prestato un concorso indispensabile al successo della truffa. 3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.A.M. affidato a tre motivi. La Auchan s.p.a. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 4. Col primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione deducendo l'omessa valutazione delle risultanze testimoniali concernenti l'accettazione dello scontrino in fotocopia. Sottolinea, in particolare, che non era stata provata la preordinazione di tale comportamento ad una operazione illecita. Deduce che la sola accettazione dello scontrino in copia non è di per sé sufficiente a giustificare il licenziamento. Ed infatti il provvedimento espulsivo era stato motivato con la preordinazione dell'accettazione dello scontrino ad una operazione illecita. 5. Col secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione alla affermata sussistenza di un comportamento doloso. Deduce che sul punto non era stata fornita dal datore di lavoro idonea prova. 6. Col terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della rilevante gravità del fatto ai fini del giudizio di proporzionalità tra l'addebito contestato e la sanzione adottata. 7. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente per il nesso che le connota, essendo calibrate sulla contestata motivazione che sorregge la pronuncia di legittimità del licenziamento, sono prive di pregio. 8. Va premesso che, in linea di principio, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la legittimità di un licenziamento per giusta causa, la giurisprudenza di questa Corte cfr., ad esempio, Cass. 26 aprile 2012 n. 6498 ha precisato che, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare 9. La Corte territoriale ha motivato la propria statuizione concernente la legittimità del licenziamento in esame in coerenza con i suddetti principi essa ha infatti osservato, da un lato, che l'accettazione, da parte della lavoratrice, di una fotocopia dello scontrino in luogo dell'originale ai fini della realizzazione dell'operazione di reso costituisce un comportamento, che, in quanto posto in essere in violazione di precise e cogenti disposizioni aziendali, concernenti specifiche modalità operative la cui finalità è, evidentemente, quella di evitare azioni truffatine nei confronti dell'azienda, integra di per sé, per la sua gravità, giusta causa di licenziamento dall'altro, che il comportamento della lavoratrice ha natura dolosa, in quanto la truffa posta in essere nei confronti della società presupponeva necessariamente l'accettazione della fotocopia dello scontrino che in sede istruttoria è emerso essere stata falsificata . 10. Tale motivazione, per quanto redatta in termini succinti, appare sufficiente e priva di vizi logici essa resiste pertanto agevolmente alle censure formulate dalla ricorrente. 11. Ed infatti la Corte ha correttamente osservato che l'accettazione dello scontrino in fotocopia, e non già in originale, è stata esplicitamente ammessa dalla lavoratrice in sede di risposta alla lettera di contestazione degli addebiti. Altrettanto correttamente è stata valutata la gravità di tale comportamento che costituisce violazione di regole concernenti le specifiche modalità operative obbligatorie. Per quanto riguarda la natura dolosa di tale comportamento, essa è stata basata su un ragionamento logico -deduttivo che evidenzia il carattere strumentale di tale attività in relazione al buon esito della truffa. 12. Cadono pertanto le censure tese a dimostrare il vizio di motivazione per contraddittorietà o insufficienza della stessa. Ed infatti l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, privo di errori logici o giuridici. In particolare anche il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso, che si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, è istituzionalmente rimesso al giudice di merito. 13. Ancora, mette conto rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr. ex plurimis, Cass. 16 ottobre 2013 n. 23530 , il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Tutto ciò non ricorre nella sentenza impugnata. Deve sottolinearsi che la deduzione di un vizio di motivazione di una sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. 14. Per quanto concerne, infine, la doglianza concernente la valutazione delle prove, deve ricordarsi che spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge , mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito cfr., ad esempio, Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e Cass. 27 luglio 2008 n. 2049 . 15. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato. 16.Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4000 quattromila per compensi professionali, oltre spese generali e accessori di legge.