Contratti a termine in concomitanza con le ferie? Il datore non deve provare le esigenze aziendali

Il CCNL Poste del 1994 ha introdotto un’ipotesi di contratto a termine del tutto autonoma rispetto alla previsione legale l’unico presupposto per la sua operatività è costituito dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 6754, depositata il 2 aprile 2015. Contratto a termine previsto dal CCNL Poste il datore ha l’onere di provare le condizioni che giustificano l’apposizione del termine? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da un dipendente delle Poste Italiane per far dichiarare l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la società datrice nei mesi estivi degli anni 1998 e 2000. I giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, hanno respinto le domande del lavoratore, posto che l’art. 8, CCNL del 26 novembre 1994 riconosceva espressamente la possibilità di stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, oltre che nelle ipotesi già previste dalla normativa vigente, anche in caso di necessità dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre. Con ricorso per cassazione, il dipendente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 230/1962, sostenendo che, a fronte delle contestazioni mosse in merito alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’apposizione del termine al contratto di lavoro, sarebbe stato onere del datore di lavoro provare la loro ricorrenza nella fattispecie in esame. I contratti a termine introdotti dal CCNL Poste non richiedono un collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Suprema Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, formatasi nel vigore dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella sua originaria formulazione Cass., n. 4933/2007 , la quale, con riferimento ad una fattispecie simile a quella in esame, ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali. Tale pronuncia, ad avviso dei giudici di legittimità, era viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva. La violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito aveva negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie ed infatti, in base al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4588/2006, l’art. 23, legge n. 56/1987, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. Per la legittimità del termine, è sufficiente che l’assunzione sia avvenuta in concomitanza con le ferie. Per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva, il precedente richiamato dalla pronuncia in commento aveva rilevato l’erroneità della statuizione del giudice del merito nella parte in cui aveva escluso che l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo potesse contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie. Così facendo, il giudice di merito aveva dimostrato una carenza di indagine sull’intenzione espressa dagli stipulanti, posto che il quadro legislativo di riferimento imponeva l’esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti ed, in particolare, un’indagine sulle ragioni dell’uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l’autorizzazione è concessa pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi . Il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se la necessità di espletamento del servizio facesse riferimento a circostanze oggettive o esprimesse solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell’intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell’uso dell’espressione in concomitanza”. L’unico presupposto per l’operatività del contratto a termine introdotto dal CCNL è costituito, pertanto, dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie Cass., n. 26678/2005 . In applicazione di tali principi, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal dipendente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 dicembre 2014 – 2 aprile 2015, n. 6754 Presidente Lamorgese – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 5/12/07 - 28/4/08 la Corte d'appello di Roma - sezione lavoro rigettò l'impugnazione proposta da I.S. avverso la sentenza del giudice del lavoro dello stesso capoluogo che le aveva respinto la domanda diretta a sentir accertare l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con la società Poste Italiane s.p.a. in relazione ai periodi 1/7 - 30/9/98 e 7/7 - 30/9/2000 per la causale della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, in base all'art. 8 del ccnl 26.11.94. Con tale decisione la Corte territoriale ribadì la legittimità dell'apposizione del termine al suddetto contratto alla luce dell'art. 23 della legge n. 56/87, dell'art. 8 del contratto collettivo del 26 novembre 1994 e dell'accordo attuativo del 27 aprile 1998, compensando, nel contempo, le spese del doppio grado di giudizio. Avverso tale sentenza propone ricorso in cassazione la I. , la quale affida l'impugnazione ad un solo motivo di censura. Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a. che propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un motivo, al cui accoglimento si oppone la ricorrente principale. Motivi della decisione Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c La ricorrente principale censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 230 del 1962 sostenendo che, a fronte delle contestazioni mosse in merito alla sussistenza delle condizioni legittimanti l'apposizione del termine al contratto di lavoro, sarebbe stato onere della datrice di lavoro provare la loro ricorrenza nella fattispecie in esame. A conclusione del motivo la ricorrente formula il quesito di diritto teso ad accertare che viola la suddetta norma il giudice che non dichiari la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove il datore di lavoro convenuto, stante l'eccepita nullità di un termine, non offra le prove dell'obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, limitandosi a riaffermarne la legittimità sulla scorta della negazione apodittica del carattere fraudolento dell'assunzione. Attraverso il ricorso incidentale, proposto dalla società Poste Italiane s.p.a. per vizio di motivazione oltre che per violazione degli artt. 1372, comma 1, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 cod. civ. e 100 c.p.c., ci si duole del mancato accoglimento dell'eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso che era stata sollevata in considerazione del disinteresse alla prosecuzione del rapporto dimostrato dalla lavoratrice per il lungo lasso di tempo di quattro anni intercorso tra la cessazione di fatto del rapporto e la proposizione del ricorso. Osserva la Corte che il ricorso principale della lavoratrice è infondato. Questa Corte intende, infatti, ribadire la propria giurisprudenza, formatasi nel vigore dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. nella sua originaria formulazione cfr., fra le ultime, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933 , la quale, con riferimento ad una fattispecie simile a quella in esame, ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la necessità di uno specifico collegamento fra il singolo contratto e le esigenze aziendali siffatta sentenza, ad avviso della S.C., era infatti viziata da violazione di norme di diritto e da un vizio di interpretazione della normativa collettiva. La violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito aveva negato che l'ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie è stato rilevato in proposito che siffatta pronuncia del giudice del merito si poneva in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588 in base al suddetto principio, infatti, l'art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. Per quanto concerne il vizio di interpretazione della normativa collettiva è stato osservato che la statuizione del giudice del merito, nell'escludere che l'autorizzazione conferita dal contratto collettivo possa contemplare, quale unico presupposto per la sua operatività, l'assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, ha dimostrato una carenza di indagine sull'intenzione espressa dagli stipulanti ed infatti il quadro legislativo di riferimento impone l'esame del significato delle espressioni usate dalle parti stipulanti, ed in particolare un'indagine sulle ragioni dell'uso di una formula diversa da quella della legge, priva di riferimenti alla sostituzione di dipendenti assenti, sostituiti dalla precisazione del periodo per il quale l'autorizzazione è concessa pur potendo le ferie essere fruite in periodi diversi , onde verificare se la necessità di espletamento del servizio faccia riferimento a circostanze oggettive, o esprima solo le ragioni che hanno indotto a prevedere questa ipotesi di assunzione a termine, nell'intento di considerarla sempre sussistente nel periodo stabilito, in correlazione dell'uso dell'espressione in concomitanza inoltre, altre decisioni di questa Suprema Corte cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678 hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l'ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l'autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l'unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall'assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie. Atteso che la sentenza impugnata ha interpretato correttamente la normativa in esame, avendo fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, l'unico motivo del ricorso principale deve essere rigettato. Rimane, di conseguenza, assorbito l'esame del ricorso incidentale che è incentrato sulla deduzione di una causa di estinzione del rapporto che, invece, aveva già avuto il suo epilogo alla scadenza del termine legittimamente apposto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3500,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.