‘No’ del dipendente alla richiesta aziendale di una prestazione aggiuntiva: licenziamento illegittimo

Nessun dubbio sulla condotta del lavoratore, che si è rifiutato di soddisfare la pretesa dell’azienda. Ma, tenendo conto delle motivazioni di tale scelta, la sanzione adottata, ossia la rottura del rapporto di lavoro, pare eccessiva.

Richiesta chiara dell’azienda, che chiede al lavoratore una prestazione aggiuntiva. Altrettanto chiaro il rifiuto opposto dal dipendente, rifiuto legato, da un lato, alla tempistica della domanda, e, dall’altro, al ‘blocco’ deciso a livello sindacale. Condotta discutibile, quella del lavoratore, certo, ma essa non può dare il ‘la’ al provvedimento estremo, ossia il licenziamento, deciso dall’azienda Cass., sent. n. 26741/14, Sezione Lavoro, depositata il 18 dicembre . Rifiuto. A sorpresa già i giudici di merito hanno sancito la illegittimità del licenziamento deciso dall’azienda – ‘Poste Italiane’, per la precisione – nei confronti del dipendente, finito sotto accusa per avere rifiutato di eseguire la prestazione cosiddetta aggiuntiva . Eppure, è stato riconosciuto che la società aveva ragione di pretendere l’adempimento degli obblighi assunti con l’accordo del 2004, e di lamentare, a causa del comportamento del lavoratore, quantomeno un pregiudizio alla regolarità del servizio . Ma, spiegano i giudici, non sono stati provati, in concreto, i gravi danni lamentati dall’azienda. Eppoi, viene aggiunto, il lavoratore aveva esposto sufficienti giustificazioni del suo rifiuto, a fronte di una richiesta intempestiva , e, comunque, tale rifiuto non era avvenuto ad iniziativa del lavoratore, ma era stato deciso in sede sindacale, con ovvie ripercussioni sui rapporti dei singoli non iscritti alle associazioni aderenti all’accordo . Sanzione eccessiva. E ora la visione tracciata in primo grado, e ripresa in secondo grado, viene fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, ritengono privo di fondamento il ricorso proposto da ‘Poste Italiane’, e confermano, quindi, la illegittimità del licenziamento adottato nei confronti del dipendente. Anche nel contesto del ‘Palazzaccio’ viene ribadito che, nonostante le proteste dell’azienda, non vi era alcuna ipotesi di recidiva plurima a carico del lavoratore, ‘protagonista’ di quattro precedenti disciplinari , soprattutto perché due delle sanzioni più gravi erano state annullate, e soltanto l’ultima era ancora sub iudice . Allo stesso tempo, viene ribadita la correttezza dell’operato dei giudici di merito, i quali hanno legittimamente valutato la gravità della condotta del lavoratore ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva . E, a questo proposito, è emerso che la parte datoriale non aveva indicato i gravi danni subiti , mentre il lavoratore aveva esposto sufficienti giustificazioni del suo rifiuto , peraltro deciso in sede sindacale . Tutto ciò, spiegano, in chiusura, i giudici della Cassazione, ha portato a concludere che non vi era alcuna proporzionalità nella sanzione decisa dall’azienda. Vittoria piena e definitiva, quindi, per il lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 novembre – 18 dicembre 2014, n. 26741 Presidente Stile – Relatore Bandini Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 7.7-20.9.2011, confermò la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento irrogato dalla Poste Italiane spa a R.L., per essersi quest'ultimo rifiutato di eseguire la prestazione cosiddetta aggiuntiva. A sostegno del decisum la Corte territoriale, per ciò che ancora qui rileva, ritenne quanto segue - la Società aveva ragione di pretendere l'adempimento degli obblighi assunti con l'accordo del 2004 e di lamentare, a causa del comportamento dei lavoratore, quantomeno un pregiudizio alla regolarità dei servizio, ma non aveva indicato i gravi danni subiti, come prevede la norma contrattuale per irrogare la sanzione espulsiva - andava considerato, al fine di valutare la proporzionalità della sanzione, che il lavoratore aveva esposto sufficienti giustificazioni dei suo rifiuto, a fronte di una richiesta intempestiva - il lavoratore altre volte era stato sanzionato per analoghe mancanze, ma almeno due sanzioni, su quattro richiamate nella lettera di licenziamento, erano state annullate per vizio formale, il che aveva impedito al giudice di entrare nel merito in particolare, erano state annullate le sanzioni più gravi della sospensione per 10 giorni, mentre l'ultima dei 3.1.2008 era ancora sub iudice - al licenziamento può ricorrersi solo come ultima ratio, quando sia prevedibile che altre sanzioni non sortirebbero l'effetto di ricostituire il rapporto di fiducia tra le parti nella specie, si poteva invece ragionevolmente ritenere che il rapporto potesse ancora continuare nel reciproco interesse, con l'adozione di una sanzione conservativa il rifiuto della prestazione aggiuntiva non era avvenuto, infatti, ad iniziativa del lavoratore, ma era stato deciso in sede sindacale, con ovvie ripercussioni sui rapporti dei singoli non iscritti alle associazioni aderenti all'accordo. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria. L'intimato R.L. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge e di CCNL, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che al lavoratore erano state in precedenza inflitte quattro sanzioni disciplinari conservative per fatti analoghi e che quelle annullate lo erano state per vizi formali la recidiva richiamata nella nota di contestazione rendeva quindi legittimo il licenziamento. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge e di CCNL, nonché vizio di motivazione, la ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto, in considerazione dei comportamento complessivo tenuto dal lavoratore, ritenere la legittimità del licenziamento, posto che detto comportamento appariva intenzionale, negligente e produttivo di disturbo e disagio nel regolare svolgimento dell'attività lavorativa, essendo per contro irrilevante, oltre che non vero, che il fatto fosse stato deciso in sede sindacale. I due motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. 2. L'art. 56 CCNL, richiamato dalla ricorrente, prevede l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso per la recidiva plurima, nell'anno, nelle mancanze previste nel precedente gruppo . Osserva la Corte che i fatti precedentemente sanzionati disciplinarmente non possono costituire recidiva laddove i relativi provvedimenti sanzionatori siano stati annullati né rileva che l'annullamento sia avvenuto per vizi formali, poiché anche tale tipologia di vizi impedisce di ritenere che il potere disciplinare sia stato ritualmente esercitato, sì da far ricomprendere la sanzione irrogata nell'ambito della recidiva. Nel caso di specie erano stati contestati quattro precedenti disciplinari ma uno non era infraannuale, mentre due delle sanzioni più gravi erano state annullate e soltanto l'ultima, quella del 31.1.2008, era ancora sub iudice dal che discende il difetto della richiesta recidiva plurima, nell'anno . Peraltro, anche a prescindere dalle pur assorbenti considerazioni che precedono, va considerato che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di osservare che la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in successive mancanze disciplinari, come ipotesi di giustificato motivo di licenziamento, non esclude il potere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell'accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva, quale naturale conseguenza delle norme di cui agli artt. 3 legge n. 604/66, 7 legge n. 300/70 e 2119 cc, in base ai quali è sancito il principio che la sanzione irrogata deve essere sempre proporzionata al comportamento posto in essere con la conseguenza che la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento, non esclude il potere-dovere del giudice di valutare la gravità dell'addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8098/1992 14041/2002 24132/2007 . Ciò che la Corte territoriale ha puntualmente fatto, evidenziando, in particolare, che - la parte datoriale non aveva indicato i gravi danni subiti, come richiesto dal già ricordato art. 56 CCNL c per irregolarità, trascuratezza o negligenza, ovvero per inosservanza di leggi o di regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni alla Società o a terzi, o anche con gravi danni alle persone ai fini dell'irrogazione della sanzione espulsiva tale accertamento deve ritenersi ormai irretrattabile, siccome non oggetto di specifica doglianza - il lavoratore aveva esposto sufficienti giustificazioni del suo rifiuto, a fronte di una richiesta intempestiva e anche tale accertamento fattuale non è stato specificamente impugnato - il rifiuto della prestazione aggiuntiva era stato deciso in sede sindacale tale circostanza, apoditticamente negata dalla ricorrente, di per sé non ha evidentemente efficacia scriminante, ma costituisce un elemento di giudizio che deve essere considerato nell'ambito di una valutazione complessiva della proporzionalità della sanzione inflitta. Ne discende che la Corte territoriale ha fatto corretto uso del proprio potere-dovere di valutare la proporzionalità della sanzione, escludendola in base ad un coerente e lineare iter argomentativo, condivisibile e non scalfito dalle censure svolte. I motivi all'esame vanno pertanto disattesi. 3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 4.100,00 quattromilacento , di cui euro 4.000,00 quattromila per compenso, oltre spese generali e accessori come per legge.