Dalla Cassazione nuove istruzioni sulla formulazione dei quesiti di diritto

Il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla Corte di Cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

A ribadirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26108, depositata il 11 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava le domande con cui un giornalista richiedeva l’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso con il locale Comune, in relazione alla decennale attività di redazione di articoli sul periodico comunale di informazione dei cittadini. Ad avviso della Corte, non erano ravvisabili i presupposti di un rapporto di lavoro subordinato in quanto mancavano, nella prestazione del ricorrente, quegli elementi di creatività, ricerca e selezione delle notizie, tipici della rivendicata qualifica di redattore. Non basta un punto interrogativo per rendere valido il quesito di diritto. Contro tale pronuncia il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando due distinti motivi di impugnazione accompagnati da altrettanti quesiti di diritto uno dei quali, in via esemplificativa, recitava quanto segue dica la Corte se vi è stata violazione dell’art. 45 [ ] in quanto la cessazione della condotta illecita derivante dal fatto di avere dissimulato un rapporto di lavoro autonomo con un rapporto di natura subordinata del Comune di Perugia si è verificata successivamente al discrimine temporale del 30/6/98 . Quesiti che tuttavia non vengono ritenuti adeguati dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, dichiara inammissibile il ricorso. In particolare, la Corte ribadisce come il ricorso sia inammissibile tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia quanto che sia destinato a risolversi nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma . Il quesito deve investire la ratio decidendi. Al contrario, prosegue la Corte, il quesito deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto non risultando invece ammissibile un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presupponga la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice . Le istruzioni operative. Fatta questa premessa, la Corte spiega inoltre come una corretta formulazione del quesito richieda necessariamente che il ricorrente i dapprima indichi la fattispecie concreta ii dopodiché rapporti tale fattispecie ad uno schema normativo tipico ed infine iii formuli, in forma interrogativa e non assertiva, il principio giuridico di cui chiede l’affermazione. Il ricorso era comunque infondato anche nel merito . Chiarita l’inammissibilità del ricorso, dal punto di vista formale, incidenter tantum la Cassazione rileva come quest’ultimo sia infondato anche da un punto di vista sostanziale. Ed infatti, ad avviso della Corte, del tutto coerente risultava la motivazione dei Giudici di Appello, per i quali l’espletamento di alcune attività giornalistiche secondo modalità predeterminate i.e. durante taluni orari, con presenza ai Consigli Comunali e disponibilità per le conferenze stampa sarebbero state necessarie anche nell’ambito di un rapporto di lavoro autonomo, in quanto finalizzate all’espletamento della prestazione concordata. Ciò in quanto, secondo l’opinione condivisibilmente espressa dalla Corte di merito, anche per la prestazione di lavoro autonomo il lavoratore deve rispondere del suo operato, ed è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore, mentre manca l’inserimento stabile nell’organizzazione del datore di lavoro e la soggezione al potere disciplinare e gerarchico .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre – 11 dicembre 2014, numero 26108 Presidente Stile – Relatore Lorito Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Perugia, con sentenza depositata in data 8 aprile 2008, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande tutte proposte nei confronti del Comune di Perugia da B.C. ed intese a conseguire il riconoscimento della intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato in relazione alla attività di redazione di articoli sul periodico comunale di informazione dei cittadini espletata negli anni 1989-1999, oltre alla corresponsione delle differenze retributive spettanti ed alla regolarizzazione della propria posizione contributiva presso l'INPGI. La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, dopo avere escluso che oggetto della domanda fosse stato il riconoscimento di un rapporto di pubblico impiego, poneva a fondamento della decisione il rilievo che nello specifico non erano ravvisabili i presupposti per la configurabilità di un rapporto di lavoro di diritto privato con un ente pubblico, all'uopo facendo richiamo ai dieta giurisprudenziali alla cui stregua un rapporto di lavoro subordinato di diritto privato è possibile solo allorché le prestazioni del lavoratore siano inserite in una organizzazione separata ed autonoma, gestita con criteri di imprenditorialità. Aggiungeva che il quadro istruttorie delineato in prime cure, non aveva denunciato elementi significativi della ascrivibilità della attività di lavoro prestata dal B. , all'ambito della locatio operarum . Essa rispondeva infatti, più propriamente, ai canoni tipici di una collaborazione libero-professionale per prestazione d'opera intellettuale, mancando nella prestazione resa dal B. , ai fini del riconoscimento della rivendicata qualifica di redattore, gli elementi indefettibili di creatività, ricerca e selezione della notizia. Avverso tale sentenza il B. ricorre in cassazione sulla base di due censure trasfuse in quesiti di diritto e resistite con controricorso dal Comune che ha spiegato ricorso incidentale affidato a due motivi illustrati da quesiti di diritto. L'Inpgi a propria volta, ha depositato controricorso. Motivi della decisione Devono essere riuniti i ricorsi ex articolo 335 c.p.c., siccome proposti avverso la medesima decisione. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 45 comma 17 d.lgsl. numero 80 del 1998. Si lamenta che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare che il rapporto dedotto in lite sarebbe di natura privatistica in quanto inserito nel contesto di una struttura dell'ente territoriale separata ed autonoma, estranea ai fini istituzionali e gestita con criteri di imprenditorialità. L'attività gestita dal Comune, nella prospettazione del ricorrente, era infatti volta non solo alla redazione di comunicati stampa, ma anche di servizi giornalistici di commento alle sedute del consiglio comunale, ed era da considerarsi potenzialmente produttiva di un profitto. Si censura, inoltre la pronuncia della Corte distrettuale, laddove ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ai fatti verificatisi successivamente al 30/6/98, tralasciando di considerare che la dissimulazione del rapporto di lavoro di natura subordinata intercorso fra le parti, con un rapporto di natura autonoma, integrava una condotta illecita che si era protratta anche oltre il limite temporale descritto, radicando pienamente in relazione all'intero periodo di esplicazione del rapporto, la cognizione del giudice ordinario. Vengono formulati i seguenti quesiti a Dica la Corte se il Comune di Perugia ha posto in essere una organizzazione di natura imprenditoriale, nella quale ha operato il B. , che è una struttura distinta ed autonoma e che non è direttamente finalizzata ai fini istituzionali dell'Ente e che pertanto ha operato quale soggetto di diritto privato b Dica la Corte se vi è stata violazione dell'articolo 45 comma 11 del d.lgsl. numero 80 del 1998 in quanto la cessazione della condotta illecita derivante dal fatto di avere dissimulato un rapporto di lavoro autonomo con un rapporto di natura subordinata del Comune di Perugia si è verificata successivamente al discrimine temporale del 30/6/98. Con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 - 116 c.p.comma e dell'articolo 2094 c.comma in relazione all'articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c Si duole il ricorrente della esegesi del compendio probatorio raccolto in prime cure disposta dalla Corte distrettuale, la quale era pervenuta al diniego di riconoscimento di uno stabile inserimento nell'assetto organizzativo aziendale, sottovalutando quegli indici di subordinazione che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato in tema di prestazione resa nel settore giornalistico, alla cui stregua rappresenta un elemento caratteristico della natura subordinata del rapporto, la circostanza che i servizi vengano dal lavoratore predisposti con continuità e regolarità, che la prestazione venga resa nell'osservanza di un orario di lavoro, che il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell'editore per osservarne le istruzioni anche negli intervalli fra una prestazione e l'altra. Il quesito è articolato nei seguenti termini dica la Corte se vi è stata violazione e falsa applicazione dell'articolo 2095 del codice civile . I motivi, da trattarsi congiuntamente per la stretta connessione che li qualifica sul piano logico-giuridico, sono privi di pregio. Innanzitutto s'impone l'evidenza della inammissibilità dei quesiti, che non rispondono alle regole indicate in tema, dalla costante giurisprudenza di legittimità. Questa Corte ha infatti avuto più volte modo di affermare vedi fra le altre, Cass. 23-9-13 numero 21672 che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell'articolo 366 bis cod. procomma civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla corte di cassazione l'enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia Cass. 25-3-2009, numero 7197 , quanto che sia destinato a risolversi Cass. 19-2-2009, numero 4044 nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma. Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato Cass. ss. uu. 2-12-2008, numero 28536 che deve ritenersi inammissibile per violazione dell'articolo 366 bis cod. procomma civ. il ricorso per cassazione nel quale l'illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presupponga la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice . La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva, che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non assertiva, il principio giuridico di cui chiede l'affermazione onde, va ribadita l'inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva come nella specie in una generica istanza di decisione sull'esistenza delle violazioni di legge denunziate nei motivi. Le censure presentano, comunque, ulteriori profili di inammissibilità ove si consideri che in violazione del principio di autosufficienza, non viene richiamato il tenore degli atti e delle deposizioni testimoniali di cui si lamenta l'erronea esegesi da parte dei giudici del gravame. La parte che denunci in sede di legittimità la mancata valutazione da parte del giudice di merito, di prove documentali o testimoniali ha, infatti, l'onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto della risultanza processuale il cui omesso esame è censurato, e ciò al fine di rendere possibile alla Corte di Cassazione, sulla base del solo ricorso e senza necessità di indagini integrative non consentite, di valutare la pertinenza e la decisività di quelle risultanze in tali termini, vedi Cass. 21-10-03 numero 15751 cui adde Cass. 30-7-10 numero 17915, Cass. 31-7-12 numero 13677 . Diversamente, il ricorrente si è limitato a fare generico riferimento alle prove documentali ed alle risultanze delle prove testimoniali per affermare il proprio stabile inserimento nell'assetto organizzativo aziendale, corredato dal richiamo ai principi generali elaborati in sede di legittimità in tema di definizione del vincolo di subordinazione con riguardo al lavoro giornalistico, senza richiamare minimamente il tenore degli atti e delle deposizioni testimoniali la cui corretta lettura da parte della Corte di merito, ha criticato. La censura si presenta altresì priva di pregio, laddove tende a pervenire ad una rivisitazione del quadro probatorio delineato nel giudizio di merito, come ricostruito dalla Corte distrettuale. Occorre rimarcare che il vizio denunciato concerne esclusivamente la motivazione in fatto, in quanto la norma che lo regola, il punto numero 5 dell'articolo 360, comma 1, c.p.c., nella versione di testo applicabile al presente giudizio, consente il ricorso per cassazione solo per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio . Per consolidato orientamento di questa Corte vedi di recente, Cass. 8-4-14 numero 8004 la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione in termini, da ultimo, Cass. SS.UU. numero 24148 del 2013 . Invero, il motivo di ricorso ex articolo 360, co. 1, numero 5, e. p. e, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l'attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge tra numerose altre Cass. SS.UU. numero 5802 del 1998, Cass. numero 18119 del 2008, Cass. numero 8004 del 2014 . In ogni caso, è noto che per considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame al fine di confutarle o condividerle tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse tra le tante Cass. numero 2272 del 2007, Cass. numero 3668 del 2013 . Inoltre con la riforma del giudizio di cassazione operata con la legge numero 40 del 2009, che ha sostituito il concetto di punto decisivo della controversia con quello di fatto controverso e decisivo il legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di legittimità, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito così Cass. numero 18368 del 2013 . Alla stregua dei consolidati e condivisi principi esposti il motivo di doglianza deve essere respinto, avendo la Corte territoriale reso, sulla scorta del compendio probatorio acquisito in primo grado, una motivazione perfettamente comprensibile e coerente con le risultanze processuali esaminate. I giudici del gravame hanno infatti osservato che l'espletamento di alcune attività giornalistiche in taluni orari, la presenza ai Consigli Comunali, la disponibilità per le conferenze stampa, sarebbero stati elementi necessari, diversamente dalla tesi sostenuta dal B. e recepita dal giudice di prima istanza, anche per un rapporto di collaborazione professionale quale quello stipulato fra le parti, perché finalizzate all'espletamento della prestazione concordata. Anche per la prestazione professionale, invero, - si sostiene in motivazione - il prestatore deve rispondere del suo operato, ed è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore, mentre manca l'inserimento stabile nell'organizzazione del datore di lavoro, la soggezione al potere disciplinare e gerarchico che poi il sindaco i politici, i gruppi consiliari volessero verificare il comunicato o il pezzo redatto dal B. prima della pubblicazione, non è espressione del controllo datoriale, ma è proprio della natura di comunicato, più che di articolo giornalistico, del prodotto pubblicato . Si tratta di motivazione congrua ed esente da vizi logici sicché, tenuto conto del ricordato ambito della facoltà di controllo consentita al riguardo in sede di legittimità, la decisione impugnata non resta scalfita dalle censure che le sono state mosse. Infine, esigenze di completezza motivazionale, inducono a rimarcare la irrilevanza della censura di violazione di legge sollevata dal ricorrente in relazione alla statuizione con la quale la Corte distrettuale ha affermato che la domanda non potrebbe essere esaminata che per il periodo successivo al 30/6/98. La Corte, infatti, dopo aver recisamente escluso la natura pubblicistica del rapporto, ha formulato, solo in via di mera ipotesi, la scrutinabilità della questione unicamente in relazione al descritto lasso temporale, alla stregua della disposizione transitoria di cui all'articolo 45 comma 17 d.lgsl. numero 80/98. Dal canto suo il Comune, con il primo motivo di ricorso, stigmatizza l'impugnata decisione in punto di omessa declaratoria di inammissibilità della prospettazione da parte del B. , intervenuta solo in grado di appello, in ordine allo svolgimento della propria attività presso una struttura separata ed autonoma dell'ente. La novità della prospettazione inerente ai dati fattuali che definivano il rapporto, ritualmente eccepita in sede di note difensive, era stata del tutto trascurata dai giudici del gravame i quali avevano proceduto alla disamina, nel merito, delle difese al riguardo articolate dalla controparte. Premesso che, diversamente da quanto argomentato da parte del B. in sede di note ex articolo 378 c.p.c., il controricorso si palesa del tutto ammissibile perché corredato dal decreto autorizzativo del sindaco intervenuto in data 25/6/08 anteriormente alla notifica del ricorso incidentale, si osserva che la censura si palesa privo di pregio alla luce del condiviso orientamento espresso da questa Corte in base al quale, posto che anche se qualificato come condizionato, il ricorso incidentale deve essere giustificato dalla soccombenza - non ricorrendo altrimenti l'interesse processuale a proporre ricorso per Cassazione - è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perché non esaminate o ritenute assorbite vedi, fra le altre, Cass. 20-12-12 numero 23548 . Con il secondo motivo di doglianza, l'ente territoriale censura il regime di compensazione delle spese disposto dalla Corte territoriale, nonostante fosse stato integralmente vittorioso nel giudizio di appello. Anche tale censura appare priva di pregio ove si ponga riferimento al costante orientamento di questa Corte in base al quale, nel sistema di regolamento delle spese previgente alla novella di cui all'articolo 2 l. 263 del 28 dicembre 2005, trova applicazione il principio alla cui stregua la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge che si verificherebbe nell'ipotesi in cui contrariamente al divieto stabilito dall'articolo 91 c.p.comma le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell'opportunità della compensazione, rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della sussistenza dei giusti motivi. In tal caso non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purché le ragioni giustificatrici siano desumibili dal complesso motivazionale adottato a sostegno della statuizione di merito cfr. Cass. S.U. 30 luglio 2008 numero 20598 . La decisione non è, quindi, sindacabile salvo i casi in cui sia accompagnata da ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito vedi Cass. 17 luglio 2007 numero 15882 . In tale prospettiva, la impugnata decisione, in quanto coerente con i gli enunciati e condivisi principi, si presenta immune dalle formulate censure. In definitiva entrambi i ricorsi devono essere respinti. Infine, il governo delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della compensazione, tenuto conto della situazione di reciproca soccombenza fra le parti. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.