Il CCNL non può stabilire quello che vuole

Secondo i principi generali, deve essere dichiarata nulla la clausola del contratto collettivo che si ponga in contrasto con una norma imperativa di legge.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25680 depositata il 4 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Bologna accoglieva le domande di taluni lavoratori, assunti con un contratto di lavoro subordinato part-time a comando o a chiamata disciplinato dalla previgente l. n. 863/1984, riconoscendo loro il diritto ad una integrazione retributiva in ragione della facoltà contrattualmente concessa al datore di lavoro ed effettivamente esercitata di richiedere prestazioni a chiamata con breve o addirittura inesistente preavviso. Ad avviso dei Giudici di merito, risultava irrilevante che tale facoltà fosse ammessa dal CCNL all’epoca applicato, poiché in contrasto con il principio di specifica determinazione della collocazione temporale della prestazione part-time previsto dall’art. 5 l. n. 863/1994. Sulla base di tali considerazioni, i Giudici di merito condannavano il datore di lavoro al versamento di un importo - determinato in via equitativa - pari ad un quarto della differenza tra la retribuzione percepita e quella spettante in caso di lavoro prestato in regime di tempo pieno, nei limiti della prescrizione quinquennale calcolata in estrema sintesi a ritroso dal momento di entrata in vigore della nuova disciplina collettiva ex art. 3 del d.lgs. n. 61/2000. Neanche il CCNL può derogare ad una norma imperativa di legge. Contro tale sentenza la società ricorreva alla Corte di Cassazione lamentando, con un primo motivo, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che i lavoratori non avevano mai richiesto la declaratoria di parziale nullità del CCNL applicato al rapporto, evidente antecedente logico delle statuizioni successive. Motivo che tuttavia viene dichiarato inammissibile dalla Cassazione e, comunque, infondato, in quanto i Giudici di merito avevano condivisibilmente rilevato la scrutinabilità della questione incidenter tantum quale presupposto logico giuridico della decisione . Anche in passato nel part-time doveva essere puntualmente indicata la collocazione dell’orario. Con un secondo motivo, la società rilevava come l’art. 5 della previgente l. n. 863/1984 richiedesse solo l’indicazione della durata complessiva della prestazione part-time, senza alcuna necessità di precisarne la collocazione nell’arco del giorno, settimana e mese considerato. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, richiamando un suo precedente Cass. n. 2691/1997 , afferma che le c.d. clausole elastiche”, che consentono al datore di lavoro di richiedere a comando” la prestazione lavorativa dedotta in un contratto part-time sono illegittime, atteso che l’esigenza della previa pattuizione della riduzione di orario comporta che, se le parti concordano per un orario inferiore a quello ordinario, di tale orario deve essere determinata la collocazione nell’arco della giornata, della settimana o del mese. Da tale violazione discendeva il diritto al risarcimento del danno. Con un ultimo motivo la società lamentava la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata riconosciuto l’integrazione del trattamento economico in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova dell’effettiva ricorrenza del danno che la legittima . Motivo che, ancora una volta, non viene condiviso dalla Corte la quale, richiamandosi allo stesso suesposto precedente, afferma che dall’accertata illegittimità di tali clausole elastiche non consegue l’invalidità del contratto part-time ma solo l’integrazione del trattamento economico, atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, tenendo conto della maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato . Alla luce di questo principio, la Corte prospetta quindi – ponendosi a nostro avviso in contrasto con i principi stabiliti dalla Cass. SS.UU. n. 26975/2008 e dalla giurisprudenza successiva - l’emergere, a prescindere da qualsiasi onere probatorio, di un danno in re ipsa , dato dalla maggiore penosità della prestazione lavorativa ed in sé e per sé idoneo a legittimare il riconoscimento dell’integrazione economica, che deve essere solo quantificata sulla base di un giudizio equitativo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 ottobre – 4 dicembre 2014, n. 25680 Presidente Nobile – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza dell'11 maggio 2012, la Corte di Appello di Bologna confermava la decisione del Tribunale di Bologna che accoglieva i distinti ricorsi, successivamente riuniti, proposti da C.M. più altri 14 avverso Autostrade per l'Italia S.p.A., cui tutti erano legati da un rapporto di lavoro a tempo parziale, riconoscendo in favore dei lavoratori, sul presupposto del ritenuto contrasto del CCNL del 1995, applicato per rinvio recato dai singoli contratti di lavoro che, in una percentuale massima del 50%, ammetteva l'azienda alla richiesta di prestazioni a chiamata con breve o a volte inesistente preavviso, con il principio di specifica determinazione della collocazione temporale della prestazione ex art. 5 l. n. 863/1994, il diritto a conseguire una integrazione retributiva che, chiesta dai lavoratori in via equitativa e quantificata nella metà della differenza tra la retribuzione percepita e quella spettante in caso di lavoro prestato in regime di tempo pieno, il Tribunale determinava nella metà del richiesto e ciò nei limiti della eccepita prescrizione estintiva quinquennale calcolata a ritroso dalla data dell'espletamento del tentativo di conciliazione con termine finale individuato intorno agli anni 2000/2001 in relazione sia alla cessazione del rapporto part-time sia al subentro di una nuova disciplina collettiva ex art. 3 d. lgs. n. 61/2000. La Corte territoriale respingeva le censure di cui all'appello principale dell'Autostrade per l'Italia S.p.A. escludendo in via preliminare l'eccepito vizio di ultrapetizione per aver ritenuto la questione relativa alla nullità per contrasto con norme imperative della disciplina collettiva espressamente sollevato nel ricorso introduttivo e, comunque, scrutinabile incidenter tantum quale presupposto logico-giuridico della decisione ribadendo poi la contrarietà al disposto dell'art. 5 l. n. 863/1984 della disciplina collettiva all'epoca vigente tanto in linea di principio quanto in concreto all'esito dell'accertamento delle modalità di esecuzione della prestazione a chiamata infine ritenendo sufficiente l'assolvimento dell'onere della prova della ricorrenza del danno in relazione all'an, desumibile dall'accertamento istruttorio delle modalità della prestazione a chiamata, stante l'impossibilità di determinare il danno medesimo nel quantum, da ritenersi, pertanto, tenuto conto dei parametri posti a base della valutazione, correttamente liquidato in via equitativa, considerazione questa su cui la Corte fondava altresì il rigetto dell'appello incidentale pure proposto dai lavoratori. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Autostrade per l'Italia S.p.A., affidando l'impugnazione a quattro motivi, cui resistono, con controricorso i lavoratori in epigrafe. Motivi della decisione Va innanzitutto preso in esame il quarto motivo proposto dalla ricorrente Autostrade per l'Italia S.p.A., inteso a censurare la decisione della Corte territoriale per non aver, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., disposto la riforma della sentenza di primo grado stante l'assenza nell'atto introduttivo del giudizio di conclusioni in ordine alla declaratoria di nullità parziale del contratto individuale di lavoro, pronunciamento che costituisce l'antecedente logico delle statuizioni successive. Il motivo è inammissibile per non aver la ricorrente, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, fornito la prova del presupposto di fatto su cui fonda il motivo medesimo, ovvero l'omissione nelle conclusioni del ricorso introduttivo della domanda relativa alla pronunzia dichiarativa della nullità parziale del contratto inter partes, dato qui meramente affermato dalla ricorrente ma espressamente negato dalla Corte territoriale che, del resto, a riguardo correttamente rileva altresì la scrutinabilità della questione incidenter tantum quale presupposto logico giuridico della decisione, come la questione medesima sembra essere qualificata nella sentenza di questa Corte, la n. 11121 del 26 ottobre 1995, peraltro citata a contrario dalla difesa della ricorrente a sostegno della censura avanzata, essendo stata in quel caso la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato rilevata in relazione all'omessa pronunzia del giudice del gravame in ordine alla domanda, viceversa puntualmente svolta, avente ad oggetto la declaratoria di nullità parziale del contratto individuale di lavoro. Ciò posto, va premesso all'esame degli ulteriori motivi di ricorso il rilievo per cui ivi non si ravvisa impugnazione alcuna del pronunciamento della Corte territoriale in ordine alla qualificazione del contratto inter partes come part-time a comando o a chiamata , dovendo perciò ritenersi formato sul punto un giudicato interno da cui è necessario prendere le mosse ai fini del giudizio. Conseguentemente il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 l. n. 863/1984, lamentando l'ammissibilità alla stregua della predetta norma di clausole che nell'indicare la durata complessiva della prestazione part-time dedotta in contratto, tuttavia non ne precisino la collocazione nell'arco temporale, giorno, settimana, mese, considerato, deve ritenersi infondato. Ciò alla luce dell'orientamento accolto da questa Corte nella sentenza n. 2691 del 26 marzo 1997 e richiamato puntualmente dalla Corte territoriale secondo cui Le cosiddette clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di richiedere a comando la prestazione lavorativa dedotta in un contratto di part-time sono illegittime, atteso che l'esigenza della previa pattuizione bilaterale della riduzione di orario comporta - stante la ratio dell'art. 5 L. n. 863 del 1984 - che, se le parti concordano per un orario giornaliero inferiore a quello ordinario, di tale orario deve essere determinata la collocazione nell'arco della giornata e che, se parimenti le parti convengono che l'attività lavorativa debba svolgersi solo in alcuni giorni della settimana o del mese, anche la distribuzione di tali giornate lavorative sia previamente stabilita Orientamento questo che non trova smentita nel principio di diritto espresso da questa Corte nella sentenza n. 20989/2010 cui si appella la difesa della Società ricorrente per non essersi questa avveduta di come in quella decisione sia rimasta impregiudicata, per la ritenuta inammissibilità delle censure sul punto in quella sede avanzate, la questione della qualificazione del contratto come part-time a comando o a chiamata , qui, viceversa, secondo quanto detto, in questo senso coperta da giudicato. Parimenti infondati risultano il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi qui congiuntamente afferendo il secondo motivo con cui si denuncia l'omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, al capo della sentenza che si assume avere ad oggetto la statuizione relativa alla spettanza dell'integrazione del trattamento economico quale effetto automatico di una condizione pregiudizievole considerata come in sé connaturata al tipo di prestazione richiesta ed essendo il terzo motivo sostanzialmente speculare al secondo, atteso che con esso si censura sotto la rubrica violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. il riconoscimento dell'integrazione del trattamento economico in difetto dell'assolvimento dell'onere della prova dell'effettiva ricorrenza del danno che la legittima. Depone in tal senso l'ulteriore principio di diritto espresso nella medesima sentenza sopra richiamata n. 2691/1997, secondo cui Dall'accertata illegittimità di tali clausole elastiche non consegue l'invalidità del contratto part-time, né la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l'integrazione del trattamento economico ex art. 36 Cost. e 2099, comma 2, c.c. , atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore, pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, tenendo conto della maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato a tal fine rilevano le difficoltà di programmazione di altra attività, l'esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto ali 'intera prestazione . In effetti il principio di diritto sopra richiamato prospetta, nell'ipotesi del part-time a comando o a chiamata, l'emergere, a prescindere da qualsiasi onere probatorio, di un danno in re ipsa, dato dalla maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato e in sé idoneo a legittimare il riconoscimento dell'integrazione economica che va solo quantificata sulla base di un giudizio equitativo ai cui fini rilevano le difficoltà di programmazione di altra attività, l'esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all'intera prestazione . Sennonché la motivazione dell'impugnata sentenza rivela come nel caso de quo il danno derivato ai lavoratori dal comportamento solutorio loro imposto dal datore sia stato non solo allegato e provato ma altresì valutato dalla Corte territoriale alla stregua dei predetti criteri, riflettendo essa motivazione un iter logico di individuazione e determinazione del danno riferito appunto alla percentuale delle prestazioni a comando accertata nella misura del 50%, alla rilevazione dell'esistenza di un breve preavviso, all'incidenza riduttiva delle difficoltà di programmazione di altra attività della circostanza per cui all'eventuale rifiuto della chiamata non era riconnessa alcuna reazione di natura disciplinare. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare ai contro-ricorrenti le spese liquidate in Euro 100 per esborsi e Euro 8.000,00 per compensi oltre spese generali e accessori di legge con attribuzione all'avv. Gian Pietro Dall'Ara.