Disoccupazione involontaria: le ex municipalizzate devono pagare i contributi

Le società a capitale misto aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici.

Lo ha confermato la Cassazione – Sez. Lav., con la sentenza n. 25387, depositata il 1° dicembre 2014. Le ex municipalizzate sono esonerate dal pagamento dei contributi per l’integrazione salariale? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da due società di gestione di servizi pubblici locali avverso la cartella esattoriale con la quale era stato loro ingiunto il pagamento dei contributi per CIGS, CIGO e mobilità. In particolare, le opponenti hanno rilevato che, in base alla normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, detti enti, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni, sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati art. 35, l. n. 448/2001 . Pertanto, le opponenti hanno sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che tali società dovessero essere annoverate nell’ambito delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate , esonerate, in forza dell’art. 3, d.lgs. C.P.S. n. 869/1947, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria. All’esito del giudizio di merito, la cartella esattoriale impugnata è stata confermata. Le ex municipalizzate sono società private a tutti gli effetti. La pronuncia in commento conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto ed, in particolare, le società per azioni a prevalente capitale pubblico aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione dei servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico Cass., n. 13721/2014 . L’obbligo contributivo a carico delle ex municipalizzate garantisce la concorrenza. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico ad esempio, Cass., n. 27513/2013 . Obbligo contributivo la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio è irrilevante. La pronuncia in commento ha, altresì, chiarito che, in difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti la tipologia di impresa a cui appartengono le opponenti, è sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus , accertare se alla stessa debba essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa, da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano, l’invocata esenzione contributiva.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 ottobre – 1 dicembre 2014, n. 25387 Presidente Curzio – Relatore Pagetta Fatto e diritto La Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, confermava la cartella esattoriale opposta da IREN ENERGIA già IRIDE ENERGIA s.p.a. e IREN s.p.a. già IRIDE s.p.a. , cartella con la quale alle dette società era stato ingiunto il pagamento dei contributi per CIGS e CIGO e mobilità. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso IREN ENERGIA s.p.a. e IREN s.p.a. sulla base di cinque motivi. L'INPS, anche quale procuratore speciale di S.C.CI. s.p.a, ha depositato tempestivo controricorso. Equitalia Nomos s.p.a. è rimasta intimata. Con il primo motivo le società ricorrenti, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO. Ricostruita la evoluzione normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al disposto dell'art. 35 l. n. 448 del 2001 detti enti, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, hanno sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che esse ricorrenti dovessero essere annoverate nell'ambito delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate , esonerate, in base al disposto dell'art. 3 decreto CPS n. 869 del 1947, all'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni degli operai dell'industria. Hanno quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche di esse società, che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della assoluta dominanza dell'ente pubblico, dell'assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si prestavano ad essere inquadrate, come invece avvenuto nella decisione impugnata, nell'ambito della normale società per azioni di diritto comune. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 16, commi 1 e 2 l. n. 223 del 1991 nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere affermato la sussistenza dell'obbligo al contributo di mobilità. Hanno richiamato le argomentazioni svolte a sostegno del primo motivo in merito alla presenza di capitale pubblico, alla dominanza dell'ente pubblico, alla natura del servizio espletato, per sostenere che esse ricorrenti non rientravano nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale di cui all'art. 16 l. n. 223 del 1991 ed erano pertanto sottratte alla contribuzione per mobilità. Con il terzo motivo, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere ritenuto dovuta la contribuzione per disoccupazione involontaria. Richiamate le argomentazioni spese ad illustrazione dei motivi precedenti in ordine alla presenza maggioritaria di capitale pubblico, alla peculiarità dell'oggetto sociale rappresentato dalla gestione di un pubblico servizio, all'assoggettamento al controllo pubblico - anche della Corte dei Conti - hanno sostenuto che esse società erano riconducibili alla categoria dell'azienda pubblica o esercente pubblici servizi, esonerate, in base al disposto dell'art. 40 n. 2 r.dl. n. 1827 del 1945, all'obbligo della contribuzione per disoccupazione involontaria. L'insussistenza dell'obbligo contributivo per la disoccupazione involontaria risultava, altresì confermata anche dalla l. n. 133 del 2008, art. 20, comma 2, che ricomprende, in una nozione unitaria le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate ed a capitale misto , sancendo il venire meno della pretesa contributiva per il periodo anteriore al 1 gennaio 2009. Con il quarto motivo, deducendo violazione di plurime norme di diritto nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere escluso che nei confronti di esse ricorrenti potesse trovare applicazione l'esonero della contribuzione ottenuto, con D.M. n. 25338 del 1998, che aveva riconosciuto la sussistenza della stabilità di impiego, da AEM - l'azienda municipalizzata dalla quale esse erano derivate. Dunque, sia ex art. 2112 c.c., sia per applicazione del CCNL Elettrici/Federelettrica, avendo il personale mantenuto il medesimo trattamento da CCNL, e il medesimo trattamento INPDAP, sussisteva la stabilità dell'impiego per l'esenzione contributiva. Con il quinto motivo deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 116, commi 8 e 15 l. n. 388 del 2000, hanno censurato la decisione perché atteso il contrasto interpretativo le sanzioni aggiuntive avrebbero dovuto essere applicate nella misura ridotta prevista per tale ipotesi dal comma 15 dell'art. 116 cit Il primo ed il secondo motivo, esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono manifestamente infondati. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte cfr., tra le altre, Cass. n. 14847/2009, n. 5816/2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513/2013, n. 14089 e n. 13721/2014 in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l'esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione - pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. È stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all'obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Cass. n. 20818/12013, Cass. 27513/2013 . Le argomentazioni delle odierni ricorrenti ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati, ai quali pertanto va data continuità. Il terzo e quarto motivo di ricorso, sono anch'essi manifestamente infondati. In numerose pronunzie, questa Corte, richiamata la normativa di riferimento, all'epoca costituita dall'art. 40 RDL n. 1827 del 1935 e dall'art. 36 dpr n. 818 del 1957, ha affermato che dalla coordinata lettura di tali norme si evince che - anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi l'esenzione dall'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita la stabilità d'impiego - anche in relazione ai personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi detta stabilità d'impiego, ove non risultante da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico, deve essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di lavoro, con decorrenza dalla data di tale domanda. In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti la tipologia d'impresa cui appartengono le ricorrenti diviene quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus , accertare se alla stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa, da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano , l'invocata esenzione contributiva. Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla contrattazione collettiva di diritto comune fra le norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico , l'eventuale stabilità d'impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di per sé condurre all'esenzione contributiva in difetto di domanda di accertamento al riguardo da parte del datore di lavoro e di conseguente riconoscimento di detta stabilità da parte dell'Autorità amministrativa competente. ex plurimis Cass. n. 18455/2014, n. 28022/2014, n. 20139/2014 n. 24524/ 2013 .In merito poi al riconoscimento amministrativo della stabilità di impiego si rileva che nel caso di specie le ricorrenti non deducono di avere inoltrato la domanda, né tanto meno, che sia stata riconosciuta nei loro confronti la stabilità d'impiego dei dipendenti. Sostengono invece, di essere subentrate , in quanto società derivate, nell'esonero contributivo a suo tempo accordato all'azienda municipalizzata AEM. L'assunto non può essere condiviso, sia perché l'azienda municipalizzata AEM, oggi non più esistente, era un soggetto giuridico diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e, afortoori, dalle altre società che da quest'ultima sono state scorporate sia perché, essendo stata la valutazione della sussistenza della stabilità d'impiego per i dipendenti dell'azienda municipalizzata AEM necessariamente resa in relazione alle disposizioni vigenti all'epoca 1 riconoscimento invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che, secondo l'assunto della parte ricorrente, regolano il rapporto d'impiego dei dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni cfr. altresì, sul punto, ex plurimis , Cass. n. 13721/2014, n. 28022/12013, n. 24524/2013 . Non avendo, anche in questo caso, parte ricorrente offerto argomenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di legittimità nelle pronunce sopra richiamate la decisione di appello sul punto deve essere confermata. Il quinto motivo è anch'esso da respingere Si premette che parte ricorrente, nel censurare la decisione di appello in ordine alla mancata applicazione delle sanzioni in misura ridotta, si è limitata a dedurre che il contrasto di orientamenti giustificava tale riduzione ai sensi dell'art. 116 comma 15 L. n. 388 del 2000 non ha allegato di avere provveduto all'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Formulato in questi termini il motivo si rivela inidoneo a validamente censurare la statuizione del giudice di appello atteso che, secondo quanto già affermato da questa Corte Cass. n. 27513/2013 il citato comma 15, pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, in caso di ritardato o omesso pagamento dei contributi derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza , 1 Xl'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna le società ricorrenti, in solido, alla rifusione in favore dell'INPS delle spese di lite che si liquidano in Euro 7290,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettizzate al 15%, oltre accessori di legge.