CIGS illegittima: il datore di lavoro risarcisca e versi i contributi

Ove il datore di lavoro sospenda illegittimamente il rapporto e collochi i dipendenti in cassa integrazione guadagni, questi hanno diritto ad ottenere la retribuzione piena e non già il minore importo delle integrazioni salariali pertanto, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in dipendenza della suddetta illegittimità costituisce retribuzione imponibile ai fini contributivi e tributari.

Questa è la regola precisata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25240/14, depositata il 27 novembre 2014. L’INPS mette il naso nelle CIGS illegittime. Un gruppo di lavoratori lamentava di essere stato illegittimamente collocato in CIGS ed otteneva il risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni piene, maturate durante l’intero periodo di sospensione del rapporto di lavoro. Risarciti i lavoratori, l’INPS chiedeva alla società datrice di lavoro di versare i contributi previdenziali relativi alle retribuzioni pagate a titolo di risarcimento del danno. La controversia tra l’INPS e la società giungeva sino alla Corte di Cassazione, chiamata a valutare diversi aspetti della lite. Cinque anni di prescrizione dei crediti INPS. In via preliminare la Corte di Cassazione sgombra il campo dagli equivoci dovuti alla prescrizione dei crediti previdenziali, vantati dagli enti. La questione è particolarmente delicata poiché i contributi richiesti dall’INPS riguardano gli anni dal 1992 al 1995, interessati proprio dalla riforma della l. n. 335/1995 che ha ridotto la prescrizione da dieci a cinque anni. In ogni caso, la Suprema Corte precisa che la prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi, dovuti sia dai lavoratori che dai datori di lavoro, è di cinque anni, a partire dall’entrata in vigore della l. n. 335/1995, vale a dire il 17 agosto 1995. Tutti i crediti relativi al periodo antecedente all’entrata in vigore della legge, si prescrivono in dieci anni, ma a condizione che siano intervenuti atti interruttivi dell’ente, come, ad esempio, l’invio di avvisi di addebito e di cartelle. Qualora l’ente non si sia attivato con atti interruttivi, la legge regola la disciplina transitoria in modo molto dettagliato, pertanto in nessun caso troverà applicazione l’art. 252 disp. att. c.c La natura del risarcimento mediante retribuzione. A fronte dell’illegittimo collocamento in CIGS, il datore di lavoro ha risarcito i lavoratori versando loro le mensilità globali di fatto piene maturate durante la sospensione del rapporto di lavoro. Si badi che non è sufficiente risarcire i lavoratori mediante la corresponsione dell’integrazione salariale, quantificata nella differenza tra l’importo ridotto della retribuzione cassa integrazione e la retribuzione piena, prevista contrattualmente. Detto ciò, è quindi necessario comprendere se il risarcimento abbia natura puramente riparatoria e risarcitoria o meno. Nel primo caso, infatti, le retribuzioni potrebbero essere corrisposte al netto dei contributi, rappresentando soltanto una misura per quantificare il risarcimento. La Suprema Corte, invece, propende per la natura contributiva del risarcimento con conseguente onere del datore di lavoro di versare allo Stato anche i contributi previdenziali e fiscali relativi alle retribuzioni corrisposte a titolo di risarcimento. Non indicare i contributi da versare è evasione. Severamente, la Corte di Cassazione precisa che, non solo le retribuzioni versate a titolo di risarcimento devono essere onerate dai contributi previdenziali e fiscali, ma, qualora il datore di lavoro non presentasse il famigerato modello DM/10, recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare, incorrerebbe nel reato di evasione fiscale e non nella mera omissione contributiva. In quest’ultimo caso, vi sarebbe una sanzione più mite, una sanzione una tantum, il cui pagamento può essere evitato effettuando spontaneamente la denuncia della situazione debitoria.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 maggio – 27 novembre 2014, numero 25240 Presidente Stile – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo La Corte d'appello di Genova, in riforma della sentenza non definitiva e di quella definitiva del Tribunale, ha respinto l'opposizione proposta dalla soc ILVA avverso la cartella esattoriale notificata dall'Esatri su istanza dell'Inps per il pagamento di contributi e somme aggiuntive, relative al periodo 1/6/92 - 31/5/95, derivanti dall'illegittima collocazione in CIGS di 25 lavoratori. La Corte territoriale ha riferito che la pretesa dell'Inps traeva origine dalla sentenza del Tribunale di Genova che, decidendo il ricorso di 25 lavoratori, aveva dichiarato l'illegittimità della loro collocazione in CIGS con condanna della società datrice di lavoro a pagare il risarcimento del danno quantificato, per ciascun lavoratore,con sentenza definitiva. Con riferimento all'eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall'opponente la Corte d'appello ha rilevato che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, il nuovo termine di prescrizione quinquennale introdotto dall'art. 3, commi 3 e 9, della L. numero 335/1995, pur applicandosi alle prescrizioni in corso, cominciava a decorrere dal 1 gennaio 1996. Ha rilevato che la nuova norma non aveva introdotto deroghe all'art. 252 disp. Att. cc che nella fattispecie la notifica della cartella era avvenuta in data 2/10/2002, preceduta dalla notifica del verbale di accertamento in data 8/7/99 che pertanto la prescrizione era stata validamente interrotta alla data indicata e quindi prima del decorso del nuovo termine prescrizionale essendo il residuo termine prescrizionale, secondo il previgente termine di 10 anni, alla data dell'1/1/96 superiore ai 5 anni. La Corte territoriale ha poi affermato la natura retributiva e non risarcitoria delle somme riconosciute dal Tribunale ai lavoratori illegittimamente posti in CIGS,sulle quali erano dovuti i contributi. Ha poi rilevato che la società non aveva riproposto le contestazioni relative alla base di calcolo delle retribuzioni sulle quali istituto aveva operato la quantificazione dei contributi ed ha pertanto ritenuto che la relativa eccezione doveva intendersi abbandonata ai sensi dell'articolo 436 c.p.c Circa le sanzioni la Corte ha ritenuto che non potesse trovare applicazione la disciplina prevedente sanzioni meno gravi di cui alla legge numero 388 del 2000 in quanto il nuovo sistema sanzionatorio risultava applicabile qualora si fosse trattato di violazioni antecedentemente commesse per le quali alla data del 30 settembre 2000 i contributi fossero stati interamente versati e che nella fattispecie ciò non era avvenuto. La Corte ha affermato, inoltre, che la società era tenuta al pagamento dell'una tantum di cui all'articolo 1, comma 217 lettera B, della legge numero 662 del 1996 ravvisando l'ipotesi dell'evasione contributiva e non della omissione contributiva. Ha rilevato infatti che nella fattispecie la rettifica dei modelli DM ad opera della società ed il relativo e parziale pagamento del debito contributivo era avvenuto non solo a distanza di anni rispetto alla sua maturazione,ma solo all'esito dell'accertamento dell'ufficio ispettivo dell'istituto di cui al verbale del 28 giugno 1999 e dopo la notifica di esso avendo la società omesso ogni spontaneo adempimento pur dopo la sentenza del tribunale di Genova del 1998 che già attestava l'illegittimità del collocamento in cassa integrazione e la sussistenza del debito verso l'istituto. Avverso la sentenza ricorre la società formulando 4 motivi. Resiste l'Inps, in proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS spa, con controricorso. La soc Esatri è rimasta intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 3, commi 9 e 10, della L. numero 335/1995, dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 252 delle disposizioni di attuazione al c.c. Censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il nuovo termine di prescrizione quinquennale introdotto dall'art. 9, comma 3, della L. numero 335/119, pur applicandosi alle prescrizioni in corso, cominciava a decorrere dall'1/1/96 e che nella specie non si fosse maturata alcuna prescrizione dei contributi richiesti in quanto l'Istituto aveva interrotto il termine con la notifica del verbale in data 8/7/99. La censura è fondata. L'art. 3, commi 9 e 10, della L. numero 335/1995 stabilisce che 9. Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati a dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, numero 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, numero 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti b cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria. 10. I termini di prescrizione di cui al comma 9 si applicano anche alle contribuzioni relative a periodo precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente . . La nuova norma ha, dunque, abbreviato i termini di prescrizione anche per i contributi relativi a periodi precedenti la sua entrata in vigore. Essa, tuttavia, nell'abbreviare i termini di prescrizione con efficacia dall'1/1/96, detta anche una speciale disciplina transitoria. In particolare ha stabilito che il precedente termine decennale resta in vigore,con riferimento a quei contributi maturati anteriormente all'entrata in vigore della legge, nel caso in cui siano stati compiuti atti interruttivi dell'INPS entro il 31/12/1995. In sostanza per i contributi che alla data di entrata in vigore della legge il termine di prescrizione quinquennale sia già decorso permane il termine decennale se l'atto interruttivo dell'Istituto intervenga entro il 31/12/95. Per i contributi anteriori alla data di entrata in vigore della nuova norma ma in ordine ai quali la prescrizione quinquennale non si sia ancora maturata, l'atto interruttivo dell'Istituto deve intervenire entro 5 anni dalla scadenza stessa dei contributi. Sulle numerose difficoltà interpretative della norma si vedano, in particolare, tra le tante, Cass. SSUU n 6173/2008 e la recente Cass. SSUU numero 15296/2014. Con la prima si è precisato che in tema di prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, ai sensi dell'art. 3, commi 9 e 10, della legge numero 335 del 1995, il termine di prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti l'entrata in vigore della legge 17 agosto 1995 resta decennale nel caso di atti interruttivi compiuti dall'INPS nel periodo tra la data suddetta ed il 31 dicembre 1995, i quali - tenuto conto dell'intento del legislatore di realizzare un effetto annuncio idoneo ad evitare la prescrizione dei vecchi crediti - valgono a sottrarre a prescrizione i contributi maturati nel decennio precedente l'atto interruttivo dalla data di questo inizia a decorrere un nuovo termine decennale di prescrizione . Con la seconda questa Corte ha affermato, con riferimento all'ipotesi di denuncia della lavoratore, che in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, ai contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e datori di lavoro, relativi a periodi anteriori all'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, numero 335 che ha ridotto il termine prescrizionale da dieci a cinque anni e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio dalla scadenza, il precedente termine decennale di prescrizione può operare solo nel caso in cui la denuncia prevista dall'art. 3, comma 9, della legge numero 335 del 1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dallo loro scadenza . La citata sentenza ha rilevato che Dal complesso meccanismo prefigurato dalla legge si evince, quindi, che la denuncia deve necessariamente intervenire entro il quinquennio dalla data di scadenza dei contributi, occorrendo pur sempre che il credito contributivo esista ancora e non si sia già estinto per il maturare del quinquennio dalla sua scadenza. In particolare, poi, con riferimento ai contributi relativi a periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge, mentre per quelli per i quali il quinquennio dalla scadenza si era integralmente maturato prima della detta data, la denuncia del lavoratore deve intervenire comunque entro il 31-12-1995 in parallelo con quanto previsto per gli atti interruttivi dell'ente previdenziale e valendo anche per il lavoratore l'effetto annuncio , per quelli, invece, per i quali il quinquennio dalla scadenza non si era integralmente maturato come nel caso in esame il termine decennale può operare solo mediante una denuncia intervenuta nel corso del quinquennio dalla data della loro scadenza . Tale pronuncia è stata emessa in relazione all'ipotesi della denuncia del lavoratore ma analoghe valutazioni valgono per gli atti interruttivi dell'Inps che devono intervenire nel termine di 5 anni dalla scadenza dei contributi. Con la sentenza in esame le SSUU hanno anche precisato che va esclusa l'applicabilità della regola generale di cui all'art. 252 disp. att. c.c., e ciò in dissenso con la precedente sentenza delle SSUU del 2008 citata in ragione della presenza della apposita norma speciale transitoria dettata dal legislatore del 1995. Nella fattispecie in esame i contributi si riferiscono al periodo 1/6/92 - 31/5/95. Il primo atto interattivo è, secondo la Corte, la notifica del verbale di accertamento in data 8/7/99 a cui ha fatto seguito la notifica della cartella in data 2/10/2002. In accoglimento del primo motivo del ricorso devono ritenersi prescritti i contributi fino all'8/7/94. Con il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 46, comma 1, dpr numero 917/A/1986. La ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha escluso la natura risarcitoria delle somme riconosciute ai 25 lavoratori per i quali il Tribunale aveva dichiarato l'illegittimità della loro collocazione in CIGS ed aveva ritenuto dovuti i contributi sulla retribuzione piena ad essi dovuta. La censura è infondata. Questa Corte cfr Cass. numero 17136/2005 ha affermato che ove il datore di lavoro sospenda illegittimamente il rapporto e collochi i dipendenti in cassa integrazione guadagni questi hanno diritto ad ottenere la retribuzione piena e non già il minore importo delle integrazioni salariali pertanto, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in dipendenza della suddetta illegittimità costituisce retribuzione imponibile ai fini contributivi stante l'ampia nozione della stessa ai sensi dell'art. 12, legge numero 153 del 1969, applicabile ratione temporis e tributari in considerazione della previsione di cui all'art. 6, comma secondo, d.P.R. numero 917 del 1986, secondo cui le indennità a titolo di risarcimento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli perduti . Il collegio intende dare continuità a detti principi, né la ricorrente ha formulato argomentazioni che consentano di superare quanto già sostenuto da questa Corte. Con il terzo motivo la società denuncia vizio di motivazione in ordine alla circostanza che i contributi dovuti dalla Società dovevano essere calcolati con riferimento alle somme effettivamente riconosciute dal Tribunale ai 25 lavoratori. Osserva che invece l'Inps aveva quantificato i contributi sulle somme risultanti dal verbale dell'ispettorato dell'Inps in data 28 giugno 1999 e cioè quando ancora la pronuncia di quantificazione da parte del Tribunale non era intervenuta e che pertanto le somme prese a parametro nel verbale ispettivo erano superiori a quelle riconosciute poi nella sentenza. Il motivo è inammissibile. La Corte d'appello ha affermato che la società non aveva riproposto in sede di appello le contestazioni sul quantum relativamente alla base di calcolo delle retribuzioni sulle quali l'istituto ha operato la quantificazione del proprio credito. Con riferimento a tale affermazione della Corte la ricorrente non ha formulato specifiche censure. Tanto premesso, è noto che, secondo il consolidato orientamento cfr Cass. SSUU n 7931/2013 di questa Corte, dal momento che il ricorso per Cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque, condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa cfr ex plurimis, le sentenze n 389 e 13070 del 2007, 3386 e 22753 del 2011, 2108 del 2012 . Come emerge dal motivo del ricorso prima esposto la ricorrente ha omesso di formulare una specifica censura circa l'affermazione della Corte territoriale provvedendo ad indicare dove e quando, contrariamente a quanto affermato dal giudice, le contestazioni erano state svolte. Sulla base di tali considerazioni il vizio denunciato non risulta decisivo ai fini dell'accoglimento della domanda. Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza in ordine alla misura delle sanzioni. Afferma che dovevano essere applicate le sanzioni meno gravi previste dalla legge numero 388 del 2000 atteso che i contributi come dovuti in conseguenza della sentenza di quantificazione del risarcimento riconosciuto ai lavoratori erano stati completamente versati in data 13 dicembre 1999 e che la società non avrebbe potuto procedere alla regolarizzazione contributiva dopo la prima sentenza non definitiva del tribunale di Genova che aveva riconosciuto l'illegittimità del collocamento in cassa integrazione ma ancora non aveva quantificato le somme dovute. Censura altresì la sentenza per aver ritenuto dovuta dalla società l'una tantum prevista dall'articolo 1, comma 217 lettera b, della legge numero 662 del 1996. Non si era verificata, infatti, l'evasione contributiva ma soltanto un'omissione. Anche tale censura è infondata. La Corte territoriale ha rilevato che l'art. 116, comma 18, l. numero 388/2000, nel suo tenore letterale, condizionava inequivocabilmente l'applicazione della normativa previgente L. numero 662/1996 alla circostanza che sussistesse un'obbligazione contributiva alla data del 30/9/2000 anche se posteriormente emersa e accertata con la conseguenza che il nuovo regime sanzionatorio di cui alla legge numero 388 risultava applicabile, in caso di violazioni antecedentemente commesse, solo nel caso in cui il credito per contributi fosse stato già interamente soddisfatto alla data del 30/9/2000 e che ciò non era avvenuto nella fattispecie. La Corte territoriale ha, dunque, escluso che la ricorrente avesse provveduto a corrispondere prima del 30/9/2000 i contributi dovuti. A fronte di tale affermazione la società non indica dove e quando nel corso del giudizio di merito avesse affermato e documentato, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, l'avvenuto pagamento dei contributi. Essa si limita a produrre in questo grado una lettera dalla quale si dovrebbe desumere l'avvenuto pagamento dei contributi richiesti dall'Inps, ma tale produzione è del tutto inammissibile nel giudizio di legittimità considerato che la società non precisa di averla prodotta tempestivamente nel corso del giudizio di merito limitandosi ad indicare un all. 8 senza ulteriori indicazioni, né specifica in quale atto del giudizio di merito ha esposto quanto ora affermato non essendo sufficiente la mera produzione di un documento. Quanto alla sanzione una tantum prevista dall'art. 1, comma 217 lett. B della L. numero 662/1996 la Corte d'appello, riformando la sentenza del Tribunale sul punto, ha ritenuto verificata l'ipotesi dell'evasione contributiva. Ha rilevato che la rettifica dei modelli DM 10 ed il relativo parziale pagamento del debito era avvenuto non solo a distanza di anni ma solo all'esito dell'accertamento dell'ufficio operato con verbale del 28/6/99 e dopo la notifica di esso avendo la società omesso ogni spontaneo adempimento pur dopo la sentenza del Tribunale del 9/12/98 che già attestava l'illegittimità del collocamento in CIGS e la sussistenza del debito verso l’INPS sia a titolo di anticipazioni sia di contributi con la conseguenza che sono dovute le somme aggiuntive e l'una tantum. La Corte territoriale si è uniformata ai principi affermati da questa Corte cfr sent. numero 4808/2005,n 9126/2007 secondo cui In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, la mancata presentazione del modello DM/10 recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare configura la fattispecie della evasione - e non già della semplice omissione - contributiva, ricadente nella previsione della L. numero 662 del 1996, art. 1, comma 217, lettera b , che commina una sanzione una tantum il cui pagamento alla stregua della modifica apportata alla predetta L. numero 449 del 1997, art. 59, comma 217 può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente prima, cioè, di contestazioni o richieste da parte dell'ente e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia poi effettuato entro trenta giorni dalla denuncia c.d. ravvedimento operoso , senza che, in subiecta materia, spieghi influenza l'entrata in vigore della L. numero 388 del 2000, art. 116, commi 8 ss. configurante la fattispecie dell'evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro , attesane la indiscutibile inapplicabilità alle vicende precedenti alla sua entrata in vigore . Per le considerazioni che precedono va accolto il primo motivo del ricorso dovendo invece essere rigettati gli altri motivi. La sentenza impugnata deve,pertanto, essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione, per la determinazione delle somme dovute tenuto conto dei periodi contributivi non ancora prescritti. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali relative al presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione.