Atti di libidine su un’alunna, accuse pesanti su un bidello: condanna penale e licenziamento

‘Sigillata’, in via definitiva, la scelta della scuola. Irrilevanti le contestazioni dell’ex dipendente, di fronte alla condotta dell’istituto, che, a procedimento penale in corso, aveva evitato di ricorrere alla sospensione cautelare.

Condotta abominevole, quella addebitata a un collaboratore scolastico egli è accusato di atti di libidine compiuti ai danni di un’alunna. Di fronte a tale contestazione, la scuola prende tempo, scegliendo la strada meno traumatica niente sospensione cautelare, bensì mansioni diverse affidate, temporaneamente, al dipendente. Tutto ciò in attesa del decisum a chiusura del procedimento penale Poi, però, una volta messa ‘nero su bianco’ la condanna – con sentenza irrevocabile –, scatta la misura tranchant nei confronti del collaboratore scolastico, licenziato in tronco Cassazione, sentenza n. 24948, sez. Lavoro, depositata oggi . A casa. Già per i giudici di merito la linea d’azione della scuola è stata coerente. Di conseguenza, è da valutare come legittimo il licenziamento deciso nei confronti del collaboratore . Punto di svolta, come detto, la sentenza irrevocabile di condanna per il reato di violenza sessuale emessa a carico dell’uomo. Quest’ultimo, difatti, è stato ritenuto responsabile di atti di libidine nei confronti di un’alunna, costretta all’interno di un bagno della scuola . Secondo il collaboratore scolastico, però, i giudici hanno errato perché si sono limitati a rilevare la gravità della sua condotta, senza tener conto delle conseguenze che aveva avuto il comportamento tenuto dal datore di lavoro dalla data della contestazione disciplinare sino al licenziamento , ossia assenza di sospensione cautelare, adibizione provvisoria a diverse mansioni e rassegnazione alle mansioni precedenti . Tale obiezione, però, è valutata come risibile. Innanzitutto, non sono contestati, evidenziano i giudici della Cassazione, i gravi fatti accertati in sede penale . In più, viene aggiunto, è nella facoltà del datore di lavoro la possibilità di sospendere o meno il dipendente – in questo caso adibito ad altre mansioni – per poi procedere al provvedimento disciplinare una volta intervenuta la sentenza penale definitiva di condanna . Nessuna contestazione è possibile, quindi, rispetto alle scelte compiute dall’istituto scolastico ciò conduce a ritenere assolutamente legittimo il licenziamento nei confronti del dipendente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 24 novembre 2014, n. 24948 Presidente Macioce – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo La Corte d'appello di Ancona, con sentenza depositata il 7 febbraio 2011, confermava la sentenza n. 573\09 del Tribunale di Ascoli Piceno con cui venne respinta la domanda proposta da G.T., collaboratore scolastico, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento adottato dal'amministrazione scolastica dopo la conclusione dei procedimento penale instaurato a carico dei dipendente, con sentenza irrevocabile di condanna per il reato previsto e punito dall'articolo 609 bis c.p., secondo cui Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali 1 abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento dei fatto 2 traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi . Per la cassazione propone ricorso il risi, affidato ad unico motivo. Resiste il Ministero con controricorso, mentre l'Ufficio scolastico regionale per le Marche è rimasto intimato. Motivi della decisione 1.-Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 L. n. 604\66, in combinato disposto con l'articolo 2119 c.c. articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. laddove il giudice di seconde cure, confermando la decisione di primo grado, limitandosi a rilevare la gravità della mancanza attribuita al dipendente, non tenne conto delle conseguenze che, nel caso concreto al vaglio della Giustizia, aveva avuto il comportamento tenuto dal datore di lavoro dalla data della contestazione disciplinare sino al licenziamento assenza di sospensione cautelare, adibizione provvisoria a diverse mansioni, per poi essere riassegnate a quelle precedenti . Il motivo, così come proposto, è infondato, non risultando contestati i gravi fatti addebitati ed accertati in sede penale riportati nella sentenza di primo grado atti di libidine nei confronti di una alunna, costretta all'interno di un bagno della scuola . Il ricorrente non chiarisce peraltro, in contrasto col principio dell'autosufficienza, i tempi della vicenda data della contestazione, data della sentenza penale di condanna, etc. , essendo nella facoltà ma non nell'obbligo, nel regime antecedente il d.lgs. n. 150\09 del datore quella di sospendere o meno il dipendente nella specie peraltro nelle more adibito ad altre mansioni , per poi procedere al provvedimento disciplinare una volta intervenuta sentenza penale definitiva di condanna nella specie non è sottoposta alla Corte alcuna questione di decadenza . Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.