Sanzionabile lo sciopero di mansioni

Il rifiuto di eseguire una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore, non costituisce l’esercizio legittimo del diritto di sciopero e può, quindi, configurare una responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23672, depositata il 6 novembre 2014, ritiene quindi sanzionabile il c.d. sciopero di mansioni. Incrociare le braccia La controversia nasce da un procedimento per condotta antisindacale ex art. 28 Statuto dei Lavoratori. Il sindacato dei portalettere della Provincia di Pavia ricorreva contro Poste Italiane spa, poiché queste ultime avevano sanzionato disciplinarmente alcuni portalettere che si erano rifiutati di sostituire i colleghi assenti. Il CCNL applicabile prevede che i portalettere lavorino per un massimo di 36 ore alla settimana, oltre le quali il lavoro diventa straordinario. Tuttavia, la società datrice di lavoro ha la facoltà di chiedere che i portalettere smaltiscano la corrispondenza dei colleghi assenti per un massimo di 2 ore al giorno. Alcuni portalettere si rifiutavano di svolgere tale sostituzione, deducendo che la stessa dovesse essere considerata lavoro straordinario e, quindi, retribuita come tale e non meno come, invece, accadeva. Poste Italiane riteneva illegittimo il rifiuto e comminava la relativa sanzione disciplinare. Il sindacato, quindi, ricorreva ex art. 28 S.L., poiché è vietato sanzionare lo sciopero, ai sensi dell’art. 40 Cost Bisogna, quindi, capire se il rifiuto di sostituire un collega assente può essere considerato sciopero. Cosa significa sciopero? Non esiste una definizione legislativa di sciopero. Il concetto, quindi, è stato elaborato tenendo conto della storia e della prassi delle relazioni industriali. Di fatto, esso si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. La mancata esecuzione si deve estendere per un lasso di tempo significativo almeno una giornata lavorativa o parte di essa, sempre che non si scenda sotto la c.d. minima unità tecnico-temporale , oltre la quale l’astensione perde significato. In quest’ottica, la giurisprudenza ha qualificato la mancata prestazione del lavoro straordinario entro la nozione di sciopero, poiché l’astensione ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore. Diverso è il c.d. sciopero di mansioni”. Ipotesi non riconducibile allo sciopero, poiché il rifiuto di rendere la prestazione, per un dato periodo di tempo, non è integrale, ma riguarda solo alcuni compiti affidati al lavoratore. Ebbene, sia la Corte territoriale sia la Corte di Cassazione hanno ricondotto il rifiuto di sostituire i colleghi allo sciopero di mansioni. Le ragioni di tale interpretazione sono due innanzitutto la sostituzione è un obbligo previsto dal CCNL e dal contratto individuale e non è riconducibile al lavoro straordinario in secondo luogo, il rifiuto di sostituzione configura un’astensione parziale dall’attività lavorativa. Ne consegue che il rifiuto rappresenta una violazione di un obbligo contrattuale, legittimamente sanzionabile dal datore di lavoro, sia dal punto di vista disciplinare sia per responsabilità contrattuale del lavoratore . Non vi è, quindi, nessuna condotta antisindacale. Tutt’al più, sarebbe stato onere del lavoratore provare che le ore di sostituzione superavano le due previste contrattualmente, risolvendosi, quindi, in lavoro straordinario. In tal caso, forse, il rifiuto di procedere alla sostituzione avrebbe potuto configurare un’astensione dal lavoro straordinario e, quindi, uno sciopero.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 6 novembre 2014, n. 23672 Presidente Macioce – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo Con l'accordo sindacale del 29 luglio 2004 Poste italiane s.p.a. e le Organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL stabilivano che l'agente di recapito portalettere , titolare di una zona ricompresa all'interno di un' area territoriale costituita dall'accorpamento di un numero di zone da 4 a 7, di massima 6 , avrebbe fatto parte di un team , costituito da tutti gli agenti assegnati alle zone che compongono l'area territoriale. Si prevedeva poi che i portalettere facenti parte di questo team fossero tenuti a sostituire gli agenti titolari di altre zone dell'area territoriale in caso di loro assenza dal servizio, entro un limite individuale mensile di 10 ore e con il limite giornaliero di 2 ore. Per tali sostituzioni veniva previsto un importo complessivo pari a 35 Euro, da ripartire tra coloro che partecipavano alla sostituzione dell'agente assente. 11 COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente alla CUB di Pavia e provincia, chiedeva al giudice del lavoro del Tribunale di Voghera di dichiarare antisindacale il comportamento di Poste italiane spa consistente nell'applicazione di sanzioni disciplinari ad alcuni portalettere che, in adesione ad un' astensione dal lavoro proclamata contro detto accordo collettivo 29 luglio 2004, si erano rifiutati di eseguire le prestazioni accessorie ogni prestazione accessoria comunque denominata a partire dal 25 ottobre 2005 per 27 giorni, astensione proseguita per periodi successivi. Il giudice del lavoro con decreto emesso ai sensi dell'art. 28 Stat. Lav. accoglieva il ricorso. Poste italiane s.p.a. proponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale. Proponeva quindi appello, che veniva accolto dalla Corte d'Appello di Milano con la sentenza n. 27112008, che respingeva la domanda proposta e compensava tra le parti le spese processuali. Il COBAS PT, Coordinamento di base dei delegati P.T., aderente alla CUB di Pavia e provincia Poste italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi Poste italiane s.p.a. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione I. Sintesi dei motivi del ricorso 1. Con il primo motivo la parte ricorrente addebita alla sentenza impugnata la violazione c/o con falsa applicazione dell'art. 40 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 28 della L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14 della L. n. 146 del 1990 per non avere considerato antisindacale l'esercizio del potere disciplinare da parte di Poste italiane senza tener presente che in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali deve considerarsi sciopero qualunque riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio dei diritti degli utenti e che tale nozione vale anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o considerato aggiuntivo, e senza tener presente inoltre che l'esercizio del potere disciplinare relativo all'astensione dal lavoro collettivo è di esclusiva competenza della Commissione di garanzia. 2. Con il secondo motivo di ricorso addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato, in violazione do con falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. in relazione all'accordo collettivo 29 luglio 2004, che laddove - come nella specie - l'accordo collettivo contenga una disposizione in base alla quale il dipendente è tenuto a sostituire oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero. 3. Con il terzo motivo di ricorso addebita alla sentenza impugnata di avere inadeguatamente valutato il fatto controverso e decisivo consistente nella reale natura della realizzata astensione dal lavoro. II. Esame dei motivi del ricorso 1. I primi due motivi, che devono essere esaminati congiuntamente perché connessi, non sono fondati. 1.1. La prima questione da affrontare, in ordine logico e sistematico, è quella di stabilire se l'astensione dal lavoro oggetto di questa controversia rientri o meno nel concetto di sciopero. Questa Corte si è già pronunciata sulla questione Cass. Sez. L, n. 23538 del 2013, n. 12979 del 2011, n. 12977 del 2011, n. 9715 del 2011, n. 548 del 2011 ed ha avallato l'opzione interpretativa che ha ritenuto che la prestazione del portalettere è commisurata sul piano della durata al tempo stimato necessario per il recapito in un determinata area territoriale, secondo criteri puramente statistici di stima della corrispondenza destinata all'area medesima. Pertanto, la stessa è suscettibile di una durata giornaliera e settimanale inferiore o superiore a quella stimata, in ragione del carico di corrispondenza da recapitare, variabile da giorno a giorno, da settimana a settimana, da mese a mese_ In ragione di ciò, con l'accordo 29 luglio 2004, necessariamente vincolante per tutti i dipendenti della società, indipendentemente dalli iscrizione ai sindacati stipulanti - in quanto non contenga disposizioni sostanzialmente e globalmente peggiorative per talune categorie di essi - in quanto destinato a regolare uniformemente indivisibili interessi collettivi di tutti i lavoratori Cass. n. 12647 del 2004 , le parti firmatarie del CCNL hanno previsto che l'orario di lavoro giornaliero possa essere di mezz'ora superiore o inferiore alle sei ore, e che, fermo restando le 36 ore settimanali, oltre le quali il lavoro diventa straordinario, la società datrice di lavoro ha il potere di chiedere, con il limite di due ore giornaliere e di dieci ore mensili, che i portalettere smaltiscano, ripartendosela, anche la corrispondenza delle zone non coperte da colleghi assenti. 1.2. Assume quindi in tal senso rilievo l'onere del lavoratore di provare la circostanza che la prestazione lavorativa in questione costituisse lavoro straordinario, ulteriore rispetto alle 36 ore settimanali, prova che incombeva sul lavoratore e che nel caso non è stata fornita . 1.3. Dovendosi dare continuità a tale orientamento, in assenza di valide argomentazioni che impongano di discostarsene, ne consegue che correttamente la Corte d'Appello di Milano ha ritenuto illegittimo il rifiuto di una parte della prestazione dovuta e conseguentemente legittime le contestazioni disciplinari da parte del datore di lavoro, a fronte dell'impossibilità di scorporare dall'orario di lavoro il tempo corrispondente alla prestazione accessoria negata con riduzione della retribuzione. 1.4. Le stesse sentenze richiamate cui adde la n. 20270 del 2011 hanno infatti chiarito che non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita minima unità tecnico temporale , al di sotto della quale l'attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, riportò entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario Cass., n. 2480 del 1976, in cui l' astensione ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. È il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza Cass., n. 2214 del 1986 . 1.5. Tanto premesso, questa Corte, nel condividere la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata ritiene che il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo non è astensione dal lavoro straordinario, ne' astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del cd. sciopero delle mansioni, perché, all'interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l'omissione concerne uno specifico di tali obblighi. 1.6. II riconoscimento di un premio, collegato al raggiungimento dell'obiettivo - smaltimento del corriere - non intendeva poi compensare una prestazione lavorativa di maggior durata, rispetto all'orario di lavoro ordinario, bensì una prestazione che, pur svolgendosi interamente in detto orario, assumeva necessariamente maggiore intensità e gravosità, ricomprendendo - seppure in parte - il lavoro di competenza di altro lavoratore assente. 1.7. II rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore, non costituisce quindi esercizio legittimo del diritto di sciopero e può configurare una responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente. In conseguenza di ciò, il comportamento tenuto dal datore di lavoro non poteva integrare un comportamento antisindacale. 2 La seconda questione da affrontare concerne il rapporto con le determinazioni della Commissione di garanzia. 2.1. Anche sul punto questa Corte si è già pronunciata nelle sentenze sopra richiamate, ed ha condivisibilmente affermato che la delibera della Commissione di garanzia del 7 marzo 2002 non si occupa delle astensioni contro l'accordo sulle aree territoriali, che del resto è del 2004, bensì in generai li scioperi dei dipendenti delle Poste. 2.2. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti . Ed aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro straordinario. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l'utenza, siano o non siano qualificabili come sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall'art. 40 Cost AI contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l'esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni prima esaminate. L'intervento della Commissione di garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, né, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro Cass. Sez. L, n. 20270 del 2011 . 2.3. Né tali conclusioni sono contraddette dal passo riportato della lettera del 21.2.2006 di risposta alle richieste di Cobas CUB, considerato che la funzione della Commissione di garanzia è prevista dalla legge ed è quella di valutare l'idoneità dello sciopero a tutelare adeguatamente gli interessi degli utenti artt. 12 e 13 L. 146190 . 3. II terzo motivo proposto è inammissibile, perché non corredato dal momento di sintesi del fatto controverso e decisivo richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. operante catione temporis in relazione alla data di pubblicazione della sentenza gravata nell'interpretazione consolidata di questa Corte, neppure risultando dall'esposizione quali sarebbero le specifiche risultanze di fatto asseritamente ignorate o travisate dalla Corte di merito. III. Conclusioni In conclusione, l'intero ricorso dev' essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.