Pugno di ferro della Cassazione contro le condizioni di lavoro indecorose

La mancata percezione del disvalore umano e sociale delle condizioni di lavoro e di vita imposte al dipendente straniero comporta la violazione dell’impegno internazionale assunto dalla Repubblica Italiana, con la ratifica della Convenzione dell’OIL del 1975, per la quale ogni Stato contraente garantisce parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti tra i lavoratori stranieri e quelli italiani, nonché una violazione dell’art. 3 Cost., dell’art 14 CEDU e degli artt. 15 e 21 Carta di Nizza.

Questa è la netta posizione della Corte di Cassazione in tema di condizioni di lavoro indecorose, espressa con la sentenza n. 21300, depositata il 9 ottobre 2014. La vita oltre la stalla. Condizioni di lavoro disumane per un operaio di stalla, straniero, costretto a lavorare oltre sedici ore al giorno, compresi i festivi, con una sola ora di pausa per il pranzo e con il divieto di allontanarsi dalla stalla, tanto che, dopo sei anni di fatiche, l’operaio non conosceva cosa vi fosse fuori dalla fattoria. Finché un giorno, stanco dei soprusi, ricorreva avanti il Giudice del Lavoro onde ottenere il pagamento delle differenze contributive, assistenziali e retributive, per lavoro ordinario, straordinario, tredicesima mensilità e TFR. Le istanze dell’operaio venivano accolte nei primi due gradi di giudizio sulla base - condivisa anche dalla Cassazione - di irrinunciabili principi di rango costituzionale, quali, ad esempio, il diritto ad una retribuzione congrua che assicuri una vita libera e decorosa, la parità di trattamento tra lavoratori italiani e stranieri, nonché il più generale rispetto per la dignità umana. Come quantificare un’equa retribuzione. Uno dei motivi di ricorso in Cassazione promossi dal datore di lavoro atteneva la violazione dell’art. 36 Cost. retribuzione congrua, durata massima della giornata lavorativa e diritto al riposo settimanale , in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c. corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato . Secondo il datore di lavoro, infatti, la sentenza della Corte territoriale peccava per ultra petita , poiché non si era limitata a quantificare il dovuto in base al minimo costituzionale , ma si era spinta a considerare voci extra, quali ad esempio, l’EDR e l’indennità integrativa provinciale, entrambe riconducibili al CCNL applicabile. La Corte di Cassazione conferma la correttezza della sentenza di secondo grado, precisando che nell’adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art 36 Cost., il giudice può ben assumere a parametro il contratto collettivo applicabile, anche nel caso in cui il datore di lavoro non aderisca a nessuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto. Questo perché è proprio il contratto collettivo - nella sua parte applicabile erga omnes - a dettare le tutele minime per i lavoratori. Per quanto riguarda i contributi previdenziali, la Suprema Corte ricorda l’ormai affermato principio per cui l’interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno, subito a causa del mancato versamento dei contributi, sussiste ancor prima del momento in cui gli stessi contributi devono essere erogati dagli enti previdenziali. Infatti, il lavoratore può avanzare una domanda di condanna generica ammissibile anche nel rito del lavoro onde far accertare la potenzialità dell’omissione contributiva a provocare un danno salva poi, la facoltà di esperire l’azione risarcitoria anche in forma specifica al raggiungimento dell’età pensionabile, quando cioè si avvera la condizione necessaria per procedere al versamento dei contributi previdenziali. Condizioni di lavoro disumane. La Suprema Corte sottolinea come le durissime condizioni di lavoro imposte all’operaio straniero non fossero mai state contestate e, quindi, fossero pacifiche. Ebbene, la mancata percezione del disvalore delle condizioni di lavoro imposte all’operaio comporta - tra l’altro - il venir meno ad un obbligo internazionale assunto dall’Italia nell’ambito della Convenzione dell’OIL del 24.06.1975, per cui tutti gli Stati contraenti garantiscono parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti tra i lavoratori che sono cittadini dello Stato contraente e quelli stranieri. Un simile accordo internazionale comporta un impegno concreto e quotidiano da parte dei datori di lavoro che operano negli Stati contraenti, Italia compresa, tanto più che l’imposizione di condizioni di lavoro indecorose dà luogo a pesantissime violazioni di principi di rango Costituzionale e sovracostituzionale. Nello specifico violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., violazione del principio di non discriminazione ex art. 14 CEDU e violazione del principio di libertà professionale e del diritto di lavorare, così come espressi dagli artt. 15 e 21 della Carta di Nizza. Gravissimo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 maggio – 9 ottobre 2014, n. 21300 Presidente Stile – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata depositata il 28 febbraio 2008 accoglie, per quanto di ragione, l'appello proposto da Q.F. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 31 marzo 2003 e, in riforma di tale sentenza, condanna C.P. a 1 pagare al F. la somma di euro 74.044,50 oltre accessori di legge a titolo di differenze retributive per lavoro ordinario, straordinario, tredicesima mensilità e TFR, con esclusione della quattordicesima mensilità, in applicazione dell'art. 36 Cost. 2 regolarizzare la posizione contributiva e assicurativa del lavoratore, in relazione alle suindicate differente retributive 3 pagare le spese giudiziali del doppio grado di merito del giudizio. La Corte d'appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che a data la tardiva costituzione del P. nel giudizio di primo grado, con le consequenziali decadenze processuali verificatesi anche per le richieste istruttorie, deve dichiararsi, in primo luogo, inammissibile ex art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., la produzione di documenti effettuata dallo stesso per la prima volta in appello b sono fondate le argomentazioni dell'appellante, già esposte in primo grado, sulla riferibilità delle mansioni svolte - di operaio di stalla - al CCNL dei braccianti agricoli, prodotto in giudizio, in quanto si tratta di compiti agevolmente inquadrabili nella figura-base di operaio comune c d'altra parte, il P. ha sostenuto di aver sempre applicato al rapporto lavorativo in oggetto un non meglio identificato contratto collettivo del settore zootecnico, che peraltro non ha mai prodotto, anche dopo un esplicito invito in tal senso all'udienza del 7 ottobre 2004 d nel merito, dall'esame delle risultanze della ampia prova testimoniale espletata, coordinato con quanto si desume in via induttiva dalle dichiarazioni rese dallo stesso P. al Servizio Ispezione del Lavoro della DPL Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia, è stato accertato che il ricorrente ha lavorato alle dipendenze del P. dal luglio 1994 al 24 luglio 2000, con un orario giornaliero riferito anche ai giorni festivi di almeno 16 ore per giorno con un'ora di pausa per il pranzo, senza fruire di ferie e senza che gli fosse concesso di allontanarsi mai dal posto di lavoro tanto che neppure conosceva la città di Foggia , che si occupava della stalla e delle mucche, per tutto ciò che serviva e per la determinazione delle differenze retributive dovute, a fronte delle buste paga prodotte dal datore di lavoro, l'interessato ha provato di aver riscosso per l'intero periodo la somma di lire 40.000 al giorno, pari a lire 1.200.000 mensili, su questa base si perviene alla somma totale suindicata, tenendo conto del conteggio analitico allegato al ricorso introduttivo e mai specificamente contestato, predisposto dal F. prendendo come riferimento i compensi previsti per gli operai comuni dal citato CCNL, applicabili come parametri ex art. 36 Cost. e, per questo, con esclusione della quattordicesima mensilità f pertanto, come richiesto dall'interessato, il P. è obbligato a regolarizzare la posizione contributiva e assicurativa del lavoratore, in relazione alle suindicate differente retributive g non spetta, invece, l'indennità di mancato preavviso perché il lavoratore non ha fornito alcuna prova specifica idonea a smentire la genuinità della dichiarazione di dimissioni a sua firma prodotta dalla controparte. 2.- Il ricorso di C. P. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi Q. F. non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Deve essere preliminarmente precisato che al presente ricorso si applicano ratione temporis le prescrizioni di cui all'art. art. 366-bis cod. proc. civ. I - Sintesi dei motivi di ricorso 1.- Il ricorso è articolato in cinque motivi, di cui i primi quattro proposti con riguardo all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., rispettivamente per a violazione degli artt. 112 e 329 cod. proc. civ. e dell'art. 2099 cod. civ. per avere la Corte d'appello, con illogica e apodittica motivazione, ritenuto che l'accertamento effettuato dal primo giudice a proposito dell'applicazione del contratto collettivo per i dipendenti da allevatori, consorzi ed enti zootecnici non era coperto dal giudicato interno, visto che il lavoratore aveva contestato solo la applicabilità in astratto del suindicato contratto, ma non aveva espressamente l'accertamento giudiziale contenuto nella sentenza di primo grado in merito alla effettiva applicazione da parte del P. del suddetto contratto primo motivo b violazione dell'art. 2697 cod. civ. e motivazione illogica per avere la Corte territoriale condannato il P. al pagamento delle differenze retributive determinate ex art. 36 Cost., sulla base del contratto collettivo scelto dal lavoratore e in assenza di allegazione e prova dell'inadeguatezza in concreto della retribuzione corrisposta sulla base di un contratto collettivo non depositato secondo motivo c violazione e mancata applicazione dell'art. 36 Cost. e motivazione illogica e apodittica, per avere la Corte barese determinato la retribuzione ex art. 36 Cost. senza effettuare la dovuta valutazione di equità e proporzionalità della retribuzione percepita e sulla base dei conteggi del lavoratore, considerati non contestati dal datore di lavoro, benché questi avesse contestato la stessa applicabilità, nella specie, del CCNL sulla cui base erano stati elaborati i conteggi terzo motivo d violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 36 Cost. per avere il Giudice d'appello, con motivazione illogica, apodittica e contraddittoria, condannato il P. al pagamento di differenze retributive non equivalenti al minimo costituzionale , ma comprendenti voci, quali l'E.D.R. e l'indennità integrativa provinciale indebitamente incluse nella base di calcolo della retribuzione nonché lo straordinario calcolato con le maggiorazioni previste dal CCNL `quarto motivo 2.- Con il quinto motivo si denuncia, violazione dell'art. 24 Cost. e dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte barese condannato, genericamente, il P. al versamento dei contributi in favore dell'INPS - terzo estraneo al giudizio, nei confronti del quale il P. non ha quindi esercitato il proprio diritto di difesa - in relazione alle accertate differenze retributive, mentre l'interessato aveva sempre chiesto - sia in primo sia in secondo grado - che tale condanna fosse limitata al periodo escluso dalla verifica dell'Ispettorato di Foggia e cioè dal luglio 1994 al 19 marzo 1996 . III - Esame delle censure 2.- I primi quattro motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. Posto che il ricorrente non contesta lo svolgimento dei fatti come riportato nella sentenza impugnata, va rilevato che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione dei motivi, tutte le censure con essi proposte si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica - che renderebbero la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione - bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito. A ciò va aggiunto che le censure medesime sono prospettate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all'esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all'art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e all'ari. 369, n. 4, cod. proc. civ. di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza ex art. 366, n. 6, cit. nonché di individuare in quale sede processuale sono stati prodotti, con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, onde renderne possibile l'esame vedi, per tutte Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698 Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726 Cass. 8 aprile 2013, n. 8569 . In applicazione di tale principio è jus receptum che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l'onere, per il principio di specificità del motivi del ricorso, a pena di inammissibilità, di precisare in quale atto difensivo o verbale di udienza l'ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perché, pur configurando la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , non essendo tale vizio rilevabile d'ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli vedi, fra le tante Cass. 17 gennaio 2007, n. 978 Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730 Cass. SU 24 luglio 2013, n. 17931 Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553 . 3.- E di quest'ultimo principio il ricorrente non ha tenuto conto, neppure con riguardo al quinto motivo, che, quindi, va anch'esso respinto. 4.- A ciò è da aggiungere, per completezza, che la decisione assunta con la sentenza impugnata rappresenta una corretta applicazione degli indirizzi giurisprudenziali di questa Corte con riguardo alle questioni trattate, che risulta effettuata sulla base di congrue valutazioni delle risultanze probatorie dal Giudice di appello adeguatamente motivate, attraverso l'adozione a sostegno della decisione di un iter logico-argomentativo chiaramente individuabile e che non presenta alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. 5.- In particolare, per quel che riguarda l'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost. - a fronte di una motivazione molto ben argomentata e conforme al consolidato principio secondo cui il giudice può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto vedi, per tutte Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138 - il ricorrente sostiene che sarebbero stati inclusi nel calcolo compensi che non avrebbero dovuto esservi compresi, ma non offre alcuna dimostrazione di tale asserzione. D'altra parte, per quanto riguarda il quinto motivo, il ricorrente dimentica l'altrettanto consolidato principio affermato da questa Corte - cui la Corte d'appello si è attenuta - secondo cui nel caso di omissione contributiva, sussiste l'interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l'erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del lavoro, per accertare la potenzialità dell'omissione contributiva a provocare danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell'evento dannoso coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il raggiungimento dell'età pensionabile , l'azione risarcitoria ex art. 2116, secondo comma, cod. civ., oppure quella diversa, in forma specifica, ex art. 13 della legge 12 agosto 1962 n. 1338 vedi, per tutte Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630 . 6.- Da ultimo, e sullo sfondo, il ricorrente, nelle sue molteplici argomentazioni, non prende proprio in considerazione le condizioni di lavoro che egli ha imposto al F., la cui descrizione, come effettuata nella sentenza impugnata, è pacifica tra le parti, nel senso che il ricorrente ha lavorato alle dipendenze del P. dal luglio 1994 al 24 luglio 2000, con un orario giornaliero riferito anche ai giorni festivi di almeno 16 ore per giorno con un'ora di pausa per il pranzo, senza fruire di ferie e senza che gli fosse concesso di allontanarsi mai dal posto di lavoro tanto che neppure conosceva la città di Foggia , che si occupava della stalla e delle mucche, per tutto ciò che serviva. La mancata percezione del disvalore umano e sociale della condizione di lavoro e di vita imposta al dipendente comporta anche la omessa considerazione dell'impegno, risultante dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero secondo cui ai lavoratori stranieri la Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce . parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani e anche del fatto che questo impegno - che è del nostro Paese e quindi di tutti i datori di lavoro che vi operano - trova la sua base, oltre che nell'art. 3 della Costituzione, nell'art. 14 della CEDU oltre che negli artt. 15, comma 3, e 21 della Carta dei diritti fondamentali UE, come rispettivamente interpretate dalle Corti di Strasburgo e Lussemburgo. Tali principi, sia pure implicitamente, sono stati invece presi in considerazione dalla Corte barese, la cui sentenza, da questo punto di vista, risulta ineccepibile. IV - Conclusioni 7.- In sintesi, il ricorso va respinto. Nulla si dispone per le spese del presente giudizio di legittimità, essendo Q.F. rimasto intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.