E’ il lavoratore a dover provare il danno professionale

Il prestatore di lavoro che ricorra avverso un ingiusto demansionamento, per il risarcimento del danno professionale, deve indicare in modo specifico il tipo di danno e la prova dei pregiudizi scaturiti da questo. In caso contrario, non si può procedere alla valutazione del danno, atteso che il suddetto danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dall’esistenza di un pregiudizio.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20473, depositata il 29 settembre 2014. Il caso. Il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, condannava l’azienda ospedaliera ad assegnare al ricorrente le mansioni corrispondenti a quelle di appartenenza svolte sino al momento della delibera con la quale gli era stato affidato un diverso incarico inoltre, la condannava al risarcimento del danno alla professionalità. La Corte d’appello, adita dall’azienda, accoglieva il gravame, e in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non dovuto il risarcimento del danno alla professionalità. Ricorreva, allora, in Cassazione il lavoratore, deducendo vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, ritenendola insufficiente e contraddittoria su un fatto decisivo dal momento che la Corte, nell’escludere il danno alla professionalità, non aveva motivato il ricorso alla prova per presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., precludendo al lavoratore la possibilità di far ritenere ragionevolmente provato il lamentato danno professionale. Inoltre, censurava la sentenza poiché riteneva che il lavoratore non avesse assolto l’onere della prova del danno da impoverimento della capacità professionale. Il lavoratore deve indicare il danno e provare i pregiudizi derivanti. I motivi sono infondati. Infatti, il ricorrente non aveva allegato le specifiche circostanze atte a provare il depauperamento del proprio bagaglio professionale. Mentre, è pacifico in sede di legittimità che, se il prestatore di lavoro chieda la condanna del datore per il risarcimento del danno alla professionalità, egli è tenuto ad indicare in modo specifico il tipo di danno e la prova dei pregiudizi scaturiti da questo. Questa prova è la condizione per poter procedere alla valutazione del danno, atteso che il suddetto danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dall’esistenza di un pregiudizio. Infatti, secondo consolidato orientamento, in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale con l’asserito demansionamento, ferma la necessità di evitare, trattandosi di danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale Cass., n. 20980/2009 . La Suprema Corte rigetta, quindi, il ricorso.

Corte di Cassazione, sez Lavoro, sentenza 24 giugno – 29 settembre 2014, n. 20473 Presidente Macioce – Relatore Berrino Svolgimento del processo Il giudice del lavoro del Tribunale di Bari, pronunziando sulla domanda proposta da V.A. nei confronti dell'Azienda Ospedaliera - Policlinico Consorziale di , con sentenza non definitiva del 13.2.2004 condannò quest'ultima ad assegnare al ricorrente le mansioni corrispondenti a quelle di appartenenza svolte sino al momento della comunicazione della delibera n. 573 del 3 maggio 2000, con la quale gli era stato affidato un diverso incarico, nonché al pagamento dell'indennità di esclusività spettante al responsabile di struttura complessa, al risarcimento dei danni alla professionalità nella misura di Euro 76.726,89 e dichiarò il diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico da accertarsi e quantificarsi nel prosieguo della causa. A seguito di impugnazione principale dell'Azienda ospedaliera ed incidentale del lavoratore, con sentenza del 18 - 23/6/2007 la Corte d'appello di Bari ha accolto per quanto di ragione il gravame proposto dalla prima, dichiarando non dovuto al V. la somma di Euro 76.726,89, liquidatagli dal primo giudice a titolo di risarcimento del danno alla professionalità, e confermando nel resto la sentenza di primo grado, mentre ha rigettato l'appello incidentale del dipendente, volto alla rideterminazione del danno da demansionamento. Per la cassazione della sentenza ricorre il V. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c Resiste con controricorso l'Azienda Ospedaliera - Policlinico Consorziale di . Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione dell'impugnata sentenza, ritenendola insufficiente e contraddittoria su un fatto decisivo ed incontroverso, in quanto sostiene che la sua accertata inattività per oltre sei anni di dirigente chimico di 2^ livello, nonché di coordinatore del laboratorio a carattere centralizzato del servizio di ematologia di un prestigioso policlinico universitario non poteva non essere causa di un indubbio danno professionale, mentre la Corte d'appello aveva omesso di motivare il ricorso alla prova per presunzioni di cui all'art. 2729 cod. civ., precludendogli, in tal modo, la possibilità di far ritenere ragionevolmente provato il lamentato danno professionale. Di conseguenza il ricorrente chiede di verificare se, nella valutazione della sussistenza del danno derivante dalla accertata violazione da parte dell'azienda datrice di lavoro degli artt. 2087, 2103 cod. civ., nonché dell'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, il giudice doveva avvalersi anche e soprattutto della prova per presunzioni di cui all'art. 2729 cod. civ., specialmente come nel caso di specie contraddistinto, oltre che dalla privazione del precedente incarico, anche dalla totale e provata inattività che aveva interessato negativamente il suo elevatissimo profilo professionale. 2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4, 32, 35 e 41 della Costituzione, degli artt. 1218, 1226, 2087, 2103, 2697 e 2729 cod. civ., dell'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 112, 113, 115, 116 e 432 c.p.c Il ricorrente assume che la Corte d'appello ha erroneamente ritenuto che egli non aveva assolto l'onere della prova con riferimento al reclamato danno da impoverimento della capacità professionale e da definitiva perdita della posizione lavorativa equivalente a quella posseduta, atteso che dalla violazione, da parte della datrice di lavoro, delle norme imperative di cui in epigrafe, per omessa vigilanza e per attuazione di un comportamento persecutorio nei suoi confronti, discendeva una responsabilità della medesima per danni da considerare globalmente nei loro vari aspetti patrimoniali e morali, per cui la Corte di merito non avrebbe dovuto operare la specificazione dei vari tipi di danno e non avrebbe dovuto pretendere la prova per ogni singola tipologia degli stessi. A conclusione del motivo il ricorrente chiede che si verifichi se, in caso di accertata violazione dell'art. 2087 c.c., con conseguente lesione dei sottostanti precetti costituzionali posti a tutela del lavoratore, il giudice possa quantificare i danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, relativamente al demansionamento, alla dequalificazione, al mobbing, alla perdita di chances , all'immagine e alla dignità, ai sensi degli artt. 1226 cod. civ. e 432 c.p.c Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Entrambi i motivi sono infondati. Orbene, il processo motivazionale seguito dalla Corte d'appello nell'addivenire al convincimento di conferma parziale della sentenza di primo grado, nel senso di escludere il danno alla professionalità tra quelli accertati dal primo giudice, è stato il seguente - il primo giudice aveva liquidato il danno alla professionalità ancorandolo alle allegazioni riflettenti la deduzione del mancato apprendimento ed approfondimento di nuove tecniche ed il lamentato danno d'immagine del professionista messo da parte all'apice della carriera. Tuttavia, il V. non aveva dimostrato di non aver più ricevuto, a causa della perdita della direzione del laboratorio di ematologia, gli incarichi universitari concernenti gli insegnamenti indicati nel ricorso, né aveva allegato specifiche circostanze atte a provare il depauperamento del proprio bagaglio professionale per la lamentata forzata inattività, sicché un danno da perdita di altre ed ulteriori possibilità occupazionali e di guadagno non era, in radice, liquidabile. Doveva, pertanto, ritenersi che il Tribunale aveva liquidato solo il danno da impoverimento della capacità professionale e da definitiva perdita di posizione lavorativa equivalente a quella posseduta. Inoltre, era risultato che il medesimo dipendente era stato in servizio dal 2006 presso il reparto di patologia clinica dell'ospedale di Monopoli, incarico, questo, della stessa importanza di quello precedentemente ricoperto presso il Policlinico di XXXX, per cui non sussisteva il denunziato danno alla professionalità. Rileva la Corte che da tale motivazione si ricava che i giudici d'appello hanno escluso in radice la possibilità di ricorrere al sistema delle presunzioni di cui all'art. 2729 cod. civ., la cui applicazione presupponeva in ogni caso la ricorrenza dei relativi requisiti legali della gravità, della precisione e della concordanza, non ravvisabili, invece, in alcun modo negli elementi istruttori delibati dai giudici di merito del secondo grado. Questi hanno, infatti, evidenziato, con motivazione congrua ed esente da vizi di carattere logico-giuridico, che addirittura i dati desunti dal processo concorrevano nel senso esattamente opposto a quello auspicato dal lavoratore ai fini del reclamato danno alla professionalità. D'altronde, il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno alla professionalità è tenuto ad indicare in maniera specifica il tipo di danno che assume di aver subito ed a fornire la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una sua valutazione, anche eventualmente equitativa, atteso che il suddetto danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio - dall'esistenza di un pregiudizio. Al riguardo è sufficiente ricordare che questa Corte ha già avuto occasione di affermare Cass. Sez. lav. n. 20980 del 30/9/2009 che in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale con l'asserito demansionamento, ferma la necessità di evitare, trattandosi di danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale. Nella specie, la S.C. ha cassato, in parte qua, la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto risarcibile ex se , anche sotto il profilo non patrimoniale, il danno da demansionamento lamentato dal lavoratore, il quale da compiti operativi di responsabilità era stato relegato, per un lungo periodo, all'assolvimento di compiti di studio e consulenza con perdita di potere decisionale . Rimane, quindi, travolta la doglianza, di cui al secondo motivo di censura, attraverso la quale il ricorrente si è lamentato della necessità di dover provare la singola voce del danno alla professionalità, dal momento che la Corte territoriale ha escluso in radice, alla luce della compiuta disamina degli atti istruttori, che un tale tipo di danno sussistesse nella fattispecie. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.