La clausola oro va in pensione

Per i pensionati degli istituti bancari di diritto pubblico, poi privatizzati, che godevano dei regimi esonerativi contemplati dalla legge n. 55/1958, il regime perequativo delle pensioni c.d. dell’ aggancio al pari grado in servizio o clausola oro è stato definitivamente abolito per effetto dell’art. 1, d.l. n. 23/1977 convertito in legge ex l. n. 41/1978 e non è più stato ripristinato.

Così ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19928/2014, depositata il 22 settembre 2014, ripercorrendo lo stesso iter interpretativo di cui alle sentenze n. 16258/2014 e n. 18563/2014 . Clausola oro” di nome e di fatto. I figli ed eredi di un pensionato di Sicilcassa spa chiedevano il versamento della differenza dei contributi pensionistici che sarebbero spettati alla madre, a titolo di pensione di reversibilità. Il diritto vantato si fondava su una particolare disciplina dettata per regolare i trattamenti pensionistici elargiti ai dipendenti di istituti di credito di diritto pubblico, poi privatizzati, riguardo ai quali vigevano regimi diversi da quello oggi ordinario e c.d. AGO assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti del lavoratore dipendente . I contributi pensionistici diversi dall’AGO venivano denominati esclusivi o esonerativi e si caratterizzavano per la previsione di clausole di perequazione automatica, volte ad adeguare le pensioni all’andamento dei salari dei colleghi ancora in servizio presso gli istituti di provenienza. Nel linguaggio politico-sindacale, tali clausole venivano comunemente chiamate aggancio al pari grado in servizio”, in virtù del loro funzionamento o clausola oro”, in quanto particolarmente vantaggiosa per coloro ai quali veniva applicata. In altri termini, la clausola oro” estendeva ai pensionati i miglioramenti contrattuali dei lavoratori ancora in servizio. Dagli anni Settanta ad oggi la disciplina della clausola oro” ha subito numerose modifiche contribuendo a confondere un quadro giuridico già molto articolato. Uniformità dei sistemi pensionistici. La coesistenza tra il regime penionistico AGO e quelli esonerativi ed esclusivi è durata fino all’entrata in vigore del d.l. n. 942/1977, convertito in legge n. 41/1978, il quale - in un’ottica di uniformità dei sistemi pensionistici esistenti - ha esteso il regime pensionisto AGO a tutte le altre gestioni, tra cui, ovviamente, anche i sistemi esonerativi ed esclusivi. L’estensione dell’AGO ha, di fatto, eliminato i regimi perequativi, facendo venire meno la clausola oro”. La ratio di una simile scelta legislativa è chiara eliminare le rilevanti disparità tra le varie categorie di pensionati. Da qui, i numerosi contenziosi, tra cui quello che ha dato origine alla sentenza in commento. Vi sono infatti pensionati che, sino alla fine degli anni Settanta, hanno ricevuto una pensione calcolata attraverso la clausola oro”, pensione che poi è stata inevitabilemente ridotta a causa dell’eliminazione della clausola stessa Per valutare la legittimità di una simile riduzione dei contributi pensionistici o comunque di un simile mutamento in pejus degli stessi, la Corte di Cassazione considera che - il d.l. 942/1977, convertito in legge ex l. 41/1978 ha abolito il regime della clausola oro”, che non è più stato ripristinato - con l’abolizione della clausola oro”, il regime pensionistico AGO è stato esteso ai regimi esonerativi, con il benestare della Corte Costituzionale sent. 349/1985 che ha definitivamente abolito non sospeso il regime della clausola oro” - un orientamento consolidato della stessa Corte di Cassazione aveva già affermato l’irrilevanza della prevalenza del trattamento pensionistico anteriore e più favorevole, sui sopravvenuti nuovi regimi pensionistici, nei casi in cui il trattamento pensionistico più favorevole era venuto meno per abrogazione. In considerazione di ciò, la Corte conferma l’abolizione della clausola oro” ad opera della l. 41/1978, con la conseguenza che essa non può più trovare applicazione dopo l’entrata in vigore della predetta legge, nemmeno nel caso in cui la clausola costituisse il regime più favorevole per il dipendente. Infatti, la disposizione che consente ai pensionati di istituti bancari privatizzati di mantenere il trattamento pensionistico di miglior favore l. 218/1990 riguarda solo ed eslusivamente i regimi pensionistici esistenti alla data della sua entrata in vigore e non anche a quelli ormai aboliti, quale è il regime della clausola oro”, abolito ex l. 41/1978. I pesionati dorati” possono, quindi, godere del loro privilegio limitatamente ai contributi pensionistici maturati sino al 1978, mentre quelli successivi verranno calcolati sulla base del regime AGO, in un’ottica di armonizzazione del sistema pensionistico che non comporti discriminazioni tra i lavoratori a riposo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 giugno – 22 settembre 2014, n. 19928 Presidente Roselli – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 5 giugno 2013, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha ammesso al passivo della liquidazione coatta amministrativa della Sicilcassa Spa, il credito vantato da F.C.M.T. e F.G.M. , quali eredi di L.T. , titolare della pensione di reversibilità del coniuge F.S. , dipendente della banca deceduto il 3 giugno 1995, per la somma di Euro 4.006,50, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di mancata perequazione del trattamento del Fondo Integrativo Pensioni FIP che avrebbe dovuto essere erogato ai sensi dell'art. 5 del Regolamento di detto Fondo per il periodo ottobre 1995 - settembre 1997. 2.- Il ricorso della Sicilcassa ha domandato la cassazione della sentenza per tre motivi, illustrati da memoria. Hanno resistito con controricorso le intimate. Motivi della decisione 1.- I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati con il primo motivo di ricorso si denuncia errata applicazione del principio di salvezza del diritto quesito alla materia della perequazione automatica in violazione dell'art. 1, comma 55, legge n. 243 del 2004 con il secondo mezzo di impugnazione si sostiene violazione delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ed in particolare di cui all'art. 1363 c.c., con riguardo alla persistente operatività della clausola oro, come disciplinata dall'art. 5, lett. b del regolamento FIP nonché insufficiente ed erronea motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. con l'ultima critica si denuncia falsa applicazione dell'art. 429, 3 comma, c.p.c. al credito relativo alla contribuzione versata al Fondo. 2.- I motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente data la loro connessione - sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 3.- Per una migliore comprensione delle questioni da esaminare va, in primo luogo, precisato che il diritto fatto valere in giudizio dall'originaria parte attrice si fonda sulla particolare disciplina che, in passato, era stata dettata per regolare i trattamenti di pensione elargiti ai dipendenti di istituti di credito di diritto pubblico poi privatizzati, riguardo ai quali vigevano regimi diversi da quello proprio dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti d'ora in poi AGO , che per questa ragione venivano denominati esclusivi o esonerativi e che si caratterizzavano per la presenza di clausole di perequazione automatica volte ad adeguare le pensioni all'andamento dei salari dei colleghi in servizio presso gli istituti di provenienza. In particolare, all'epoca, per i dipendenti del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia erano previste forme di previdenza esclusive, risalenti alla disposizione di cui all'art. 11, allegato T, all'art. 39 della legge 8 agosto 1895 n. 486, in forza della quale il trattamento pensionistico veniva erogato agli interessati direttamente dagli enti datori di lavoro, mentre agli altri istituti bancari di diritto pubblico - tra i quali rientrava la Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane SICILCASSA - si applicavano regimi esonerativi, contemplati dalla legge 20 febbraio 1958 n. 55, in base ai quali il trattamento veniva elargito da Casse o Fondi di previdenza appositamente creati dai datori di lavoro e sottoposti alla vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il cui statuto era approvato con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Sia i pensionati appartenenti ai regimi esclusivi sia quelli appartenenti ai regimi esonerativi usufruivano del suddetto meccanismo - che veniva identificato, nel linguaggio politico - sindacale del settore, con le espressioni aggancio al pari grado in servizio oppure clausola-oro - in base al quale era stabilita l'estensione ai pensionati dei miglioramenti contrattuali dei lavoratori in servizio. 4.- Tale sistema non venne modificato dalla legge 30 aprile 1969 n. 153, la quale introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento la cosiddetta perequazione automatica, disponendo che le pensioni venissero aumentate, con effetto dal 1 gennaio di ciascun anno, in misura percentuale pari all'incremento dell'indice del costo della vita calcolato dall'ISTAT ai fini della scala mobile della retribuzione ai lavoratori dell'industria art. 19 . Infatti, la suddetta normativa riguardava soltanto l'AGO e pertanto non comprendeva le gestioni speciali, sostitutive o esonerative, alle quali continuava ad applicarsi, anche in tema di perequazione, la disciplina propria di ciascuna di esse. Anche la modifica, in senso peggiorativo, del suddetto sistema di perequazione della pensioni, introdotta dall'art. 10 della legge 3 giugno 1975 n. 160 originariamente non si applicava alle gestioni speciali, che pertanto restavano ancora soggette ai rispettivi ordinamenti. 5.- La situazione è rimasta invariata fino al momento dell'entrata in vigore del d.l. 23 dicembre 1977 n. 942, convertito in l. 27 gennaio 1978 n. 41, il quale, con l'art. 1, primo comma, eliminate le condizioni di particolare favore, ha esteso la disciplina della perequazione, dettata per il trattamento di pensione erogato nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, a tutte le numerose gestioni che, al pari della suddetta forma esonerativa, prevedevano un diverso regime come quelle denominate sostitutive o integrative, anche se istituite in gestioni speciali presso l'INPS . Questo risultato, di pressoché integrale generalizzazione del regime perequativo dei trattamenti di pensione, è stato perseguito allo scopo di eliminare le rilevanti disparità che a quel tempo esistevano fra le varie categorie di pensionati in questo senso v. Corte cost. 17 dicembre 1985 n. 349, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale delle suddette norme uniformatrici , non potendosi nemmeno ipotizzare l'esistenza di diritti quesiti all'integrità dell'ammontare della pensione. Ed invero, come più volte ha argomentato la Corte costituzionale, deve essere riconosciuta la legittimità di interventi legislativi riduttivi dei trattamenti pensionistici purché sussista l'elemento della ragionevolezza - che ricorre, fra l'altro, quando vi sia carenza di risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa - con la conseguenza che, non sussistendo alcun diritto alla intangibilità del trattamento pensionistico, nell'ammontare elargito al momento in cui ha avuto inizio l'iscrizione ad un determinato regime, deve essere esclusa l'esistenza di diritti quesiti in capo ai soggetti posti in stato di quiescenza, dato che, viceversa, il mantenimento dell'originario meccanismo di perequazione del trattamento si porrebbe in contrasto, attesa l'ingiustificata diversità di trattamento che deriverebbe tra i pensionati, con il principio di eguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione cfr. Corte cost. 27 luglio 1995 n. 409, Corte cost. 26 luglio 1995 n. 390, Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240 . Sulla base di questi rilievi da parte della Sezione Lavoro della Corte è stato più volte affermato il principio secondo cui dal momento dell'entrata in vigore del suddetto decreto legge n. 942 del 1977, convertito nella l. n. 41 del 1978, il regime vigente nell'assicurazione generale obbligatoria è stato applicato anche al trattamento pensionistico erogato dalle gestioni sostitutive o integrative nonché dalle Casse di previdenza istituite presso gli enti di credito aventi a quel tempo natura pubblica c.d. forme esonerative , con la conseguente eliminazione del più favorevole meccanismo di adeguamento, senza che in contrario potesse rilevare, da un lato, l'anteriorità di tale più favorevole trattamento assicurato dalle gestioni in senso lato denominate speciali e, dall'altro, l'essere il trattamento stesso improntato al criterio del collegamento con la dinamica salariale per il personale in servizio cfr., fra le tante sentenze, per quanto concerne i fondi speciali di previdenza istituiti presso l'INPS, Cass. 18 luglio 1987 n. 6349 e Cass. 27 ottobre 1988 n. 5827 nonché, riguardo alle forme esonerative, Cass. 29 novembre 1988 n. 6450, Cass. 8 giugno 1991 n. 6523, Cass. 22 agosto 1991 n. 9017 e Cass. 10 luglio 1998 n. 6767, in motivazione . L'orientamento è stato avallato da Cass. SS.UU. 7 agosto 2001, n. 10888 cui si è uniformata, sul punto, la successiva giurisprudenza, vedi per tutte Cass. SS.UU. 20 settembre 2001, n. 11904, n. 11905 e n. 11906 ove è stato anche sottolineato che con la suddetta normativa del 1977 è stato definitivamente abolito - e non, quindi, sospeso, come sostenuto dai pensionati - il meccanismo perequativo previsto dalle forme esonerative e sostituito con quello generale, meno favorevole , che non è più stato successivamente ripristinato da un altro provvedimento normativo avente pari grado nella gerarchia delle fonti del diritto e, per ciò solo, idoneo a ripristinare la suddetta condizione di favore. Nella stessa sentenza le Sezioni unite hanno anche escluso che su tale assetto avesse spiegato efficacia la normativa successivamente emanata e contenuta nella legge 30 luglio 1990 n. 218 e nel d.lgs. 20 novembre 1990 n. 357, con la quale sono stati privatizzati gli istituti di credito di diritto pubblico ed è stato in pari tempo consentito ai pensionati di tali istituti di mantenere il trattamento di miglior favore, precisando che tale riconoscimento ha riguardato quei regimi ancora in vigore - che da tale ultima normativa sono stati trasformati in integrativi - ma non quelli che erano stati ormai soppressi. Pertanto, con l'art. 1 del d.l. n. 942 del 1977, conv. nella l. n. 41 del 1978, è venuta meno per i regimi esonerativi la base giuridica su cui trovavano fondamento le clausole statutarie che contemplavano il sistema perequativo dell'”aggancio al pari grado di servizio” quale quello in controversia. 6.- Val la pena evidenziare che il testé citato provvedimento legislativo non ha interessato i due - eccezionali - regimi esclusivi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, poiché si riteneva che i relativi trattamenti pensionistici costituissero, più che una vera e propria pensione, una sorta di retribuzione, sia pure differita vedi, per tutte Cass. 7 aprile 1992, n. 4219 . Viceversa, la vicenda dei pensionati del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia - anche con riguardo al regime perequativo in oggetto - spesso si è sovrapposta e confusa con quella - differente - dei dipendenti di istituti in regime esonerativo e, a volte, tali due distinte situazioni sono state accomunate nell'interpretazione dei molteplici interventi legislativi susseguitisi nel tempo nonché delle pronunce delle Corti superiori. In particolare nella presente controversia non può essere utilmente invocata la sentenza 10 febbraio 2012 della Corte Europea dei diritti dell'uomo, sul caso Arras e altri e/Italia, la quale, in contrario avviso con Corte cost. n. 362 del 2008, ha ritenuto che la legge retroattiva sopravvenuta di cui all'art. 1, comma 55, della l. n. 234 del 2004 abbia violato l'art. 6 della CEDU, stabilendo che i pensionati del Banco di Napoli non avrebbero potuto più avvalersi del sistema di perequazione aziendale che faceva riferimento al sistema della c.d. clausola-oro a partire dal 1992, sicché essi avrebbero dovuto perdere il diritto alla anzidetta perequazione aziendale anche nel periodo tra il 1994 e il dicembre 1997. È invece pacifico che, a partire dal 1 gennaio 1998, sono stati soppressi tutti i sistemi di perequazione aziendale con l'art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Questa norma ha esplicitato in modo univoco la volontà legislativa di abolire definitivamente le clausole di aggancio al pari grado in servizio e la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che essa trova applicazione generalizzata nei confronti di tutti i lavoratori, sia attivi che pensionati, ed anche ai Fondi integrativi privati, e non solo a quelli ex esclusivi o ex esonerativi, ove ancora operativi, essendo il frutto di una ragionevole scelta di armonizzazione dei diversi sistemi vedi, per tutte Cass. 11 maggio 2002, n. 6804 Cass. 20 agosto 2003, n. 12254 Cass. 22 novembre 2006, n. 24777 . 7.- Alla stregua delle esposte argomentazioni il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio. Quanto alle spese processuali, si reputa che sussistano giusti motivi per una integrale compensazione delle spese dell'intero processo, in considerazione della peculiarità fattuale della controversia e della complessità delle questioni trattate. 8.- Ai sensi dell'art. 384, primo comma, cod. proc. civ. si ritiene opportuno enunciare il seguente principio di diritto Per i pensionati degli istituti bancali di diritto pubblico poi privatizzati che godevano dei regimi esonerativi contemplati dalla legge 20 febbraio 1958 n. 55, per effetto dell'1 del d.l. 23 dicembre 1977, n. 942 convertito dalla legge 27 febbraio 1978, n. 41 è stato definitivamente abolito il regime perequativo delle pensioni c.d. dello aggancio al pari grado in servizio conosciuto anche come clausola-oro , che non é stato più ripristinato. Pertanto, su tale assetto normativo - considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 349 del 1985 - non ha spiegato alcuna efficacia la normativa con la quale sono stati privatizzati gli istituti di credito di diritto pubblico, contenuta nella legge 30 luglio 1990 n. 218 e nel d.lgs. 20 novembre 1990 n. 357. Infatti, la disposizione ivi prevista con la quale è stato consentito ai pensionati di tali istituti di mantenere il trattamento di miglior favore ha riguardato quei regimi particolari che, all'epoca, erano ancora in vigore - e che da tale ultima normativa sono stati trasformati in integrativi - ma non quelli che erano stati ormai soppressi . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell'intero processo.