Il lavoratore (pubblico) sospeso non ha diritto alla retribuzione

Nelle ipotesi di sospensione cautelare c.d. obbligatoria del pubblico dipendente, causata dall’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti, il lavoratore ha diritto alle retribuzioni medio tempore maturate solo qualora il giudizio penale si concluda con sentenza di proscioglimento o di assoluzione, passata in giudicato, perché il fatto non sussiste o l’impiegato non lo ha commesso.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19676, depositata il 18 settembre 2014. Il caso . La Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava le domande con le quali un ex dipendente di una nota compagnia telefonica all’epoca appena subentrata all’Azienda di Stato per i servizi telefonici richiedeva il pagamento degli assegni retributivi non percepiti durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio, disposto a seguito dell’avvio di un procedimento penale a suo carico concluso con una condanna per falsità ideologica . In particolare, i Giudici di Appello ritenevano sussistere i presupposti per la sospensione obbligatoria del dipendente come previsti dall’art. 91 d.P.R. n. 3/1957 , con conseguente inesistenza del diritto a percepire le relative retribuzioni. Chi non è titolare del diritto deve dirlo subito . Contro tale pronuncia ricorrevano sia il lavoratore che, in via incidentale, la società. Quest’ultima, in particolare, contestava la sentenza impugnata per avere affermato la propria legittimazione passiva, sebbene il ricorrente – già dipendente della suddetta Azienda di Stato – non fosse passato alle sue dipendenze in quanto dimissionario. Motivo che non viene condiviso dalla Cassazione, la quale rileva che la sentenza impugnata dava atto di come la società avesse accettato il contraddittorio non solo in primo grado, ma anche nell’atto di appello. Nemmeno, come sostenuto dalla società, il tema era rilevabile in ogni fase e grado del giudizio in quanto, ritiene la Corte, la questione sollevata non atteneva la legittimazione passiva in senso proprio questa sì, rilevabile in ogni fase e grado del giudizio , bensì la titolarità del rapporto dedotto che, al contrario, non è rilevabile in perpetuo e deve essere tempestivamente eccepita da colui che vi ha interesse. In questo senso, inoltre, la Corte richiama un suo recente precedente Cass. n. 2091/2012 a mente del quale la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, della quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata . Se c’è un reato, la sospensione è sempre obbligatoria . Il ricorrente principale, dal canto suo, lamentava la violazione di legge da parte della sentenza impugnata, per non avere - in estrema sintesi – applicato la disciplina sulla sospensione c.d. facoltativa dal servizio ex art. 96, d.P.R. n. 3/1957 , che garantiva il diritto del dipendente alle retribuzioni maturate durante il periodo di sospensione. Disciplina che tuttavia, secondo l’opinione della Cassazione, non risultava applicabile alla specie. Ed infatti, argomenta la Corte, la sospensione c.d. facoltativa trova applicazione rispetto alla sola fattispecie del procedimento disciplinare a carico del dipendente, mentre la sospensione c.d. obbligatoria viene in rilievo tutte le volte in cui lo stesso dipendente sia sottoposto a procedimento penale. In questo scenario, secondo quanto disposto dalla stessa legge cfr . art. 97 d.P.R. n. 3/1957 , il diritto alle retribuzioni medio tempore maturate sorge solo quando il procedimento penale si concluda con sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l'impiegato non lo ha commesso . La condanna fa perdere il posto e la retribuzione . Ciò premesso, atteso che nel caso di specie il dipendente non solo non era stato assolto con le formule prescritte dalla norma ma, al contrario, era stato addirittura condannato con sentenza passata in giudicato, egli non aveva alcun titolo per richiedere le retribuzioni maturate durante il periodo di sospensione. Sulla base di queste premesse, la Corte afferma quindi il principio per cui il diritto dell’impiegato alla percezione delle somme non percepite durante il periodo di sospensione cautelare riguarda solo la sospensione cautelare disposta a seguito di procedimento disciplinare, mentre non trova applicazione con riferimento alla sospensione cautelare obbligatoria inflitta per effetto del procedimento penale, che condiziona i diritti economici esclusivamente alla revoca della sospensione disposta in conseguenza della sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l’impiegato non lo ha commesso .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 maggio – 18 settembre 2014, n. 19676 Presidente Vidiri – Relatore Buffa Svolgimento del processo 1. Con sentenza 31.5.2007, la Corte d'appello di Roma confermava la sentenza 17.8.2001 del tribunale della, stessa sede, che aveva rigettato la domanda con la quale P.F. aveva richiesto condanna di Telecom s.p.a. già IRITEL, subentrata all'Amministrazione Autonoma Servizi Telefonici al pagamento della somma di oltre L. 48 milioni, a titolo di assegni retributivi non percepiti in periodo di sospensione cautelare dal servizio disposta a seguito di procedimento penale a carico del lavoratore ai sensi dell'art. 91 co. 1 d.P.R. n. 3/57 eccedente il limite massimo previsto. 2. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che sussistessero i presupposti per la sospensione obbligatoria del lavoratore, ancorata secondo le norme anche alla gravità delle accuse, in considerazione delle gravi imputazioni ascritte al lavoratore, confermate poi, seppur in parte, dalla condanna a nove mesi di reclusione per il delitto di falsità ideologica. 3. Ricorre avverso tale sentenza il lavoratore, per cinque motivi. Resiste con controricorso il datore di lavoro, che propone altresì ricorso incidentale per due motivi, illustrati da memoria. Motivi della decisione 4. Il ricorso principale ed incidentale devono essere riuniti in quanto proposti contro la medesima sentenza. 5. Con il primo motivo del ricorso principale, si deduce — ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 91 d.P.R. n. 3/57, per avere la sentenza ritenuto legittima la sospensione obbligatoria dal servizio in ragione della gravità delle accuse mosse al lavoratore, trascurando che la sospensione obbligatoria è prevista solo per il caso di sottoposizione a provvedimento restrittivo della libertà personale, nella specie non ricorrente. 6. Con il secondo motivo del ricorso principale, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. - omessa o insufficiente motivazione della sentenza, per avere trascurato il proscioglimento del lavoratore - con formula il fatto non sussiste - dalla più grave imputazione di corruzione propria e il non luogo a procedere per prescrizione in relazione al reato di frode in pubbliche forniture, e la conseguente impossibilità di applicare anche la sospensione facoltativa dal servizio. 7. Con il terzo motivo del ricorso principale, si rileva — ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell’art. 96 d.P.R. n. 3/57, per avere la sentenza ritenuto inapplicabile la norma al caso di specie in ragione della formula non piena del proscioglimento e della condanna per uno dei reati, sebbene vi fosse stato proscioglimento per i reati più gravi e condanna solo per il reato meno grave, trascurando dunque l'irrilevanza della formula di proscioglimento e, per converso, la rilevanza del titolo del reato. 8. Con il quarto motivo del ricorso principale, si lamenta - ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - errore di diritto nel richiamo all’art. 152 cod. proc. pen., privo di attinenza con la fattispecie, e nel riferimento a più gravi imputazioni senza specificazione di quali fossero i titoli di reato. 9. Con il quinto motivo del ricorso principale, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. - omessa e contraddittoria motivazione in ordine all'esistenza dei presupposti per la sospensione obbligatoria dal servizio, affermati con meri richiami ipotetici. 10. Con il sesto motivo del ricorso principale, si rileva - ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. - omessa e contraddittoria motivazione in ragione della mancata considerazione della sentenza del tribunale di Roma che aveva rigettato le richieste risarcitorie della Telecom nei confronti del lavoratore ed avverso la quale la società aveva fatto acquiescenza, essendo questi chiari indici di non gravità delle accuse. 11. Con il primo motivo del ricorso incidentale, Telecom deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 100 cod. proc. civ. e 4 L. n. 58 del 1992, per avere la sentenza affermato la legittimazione passiva della Telecom sebbene il lavoratore, già dipendente della Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, non era stato assunto alle dipendenze di Intel in quanto dimissionario e di conseguenza non era mai transitato nel regime privatistico, ed anzi era già in quiescenza prima della nascita di Telecom , e sebbene Intel non fosse succeduta ad ASST a titolo universale ma solo in specifici rapporti debitori inerenti beni ceduti. Chiedeva quindi alla corte di dichiarare il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo questo rilevabile in ogni stato e grado del giudizio. 12. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. - omessa motivazione in ordine alla carenza di legittimazione della Telecom. 13. È preliminare l'esame del ricorso incidentale, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente. 14. La corte territoriale, con motivazione chiara, ha rigettato l'eccezione di difetto di legittimazione passiva in quanto la Telecom avrebbe accettato la legittimazione non solo in primo grado, ma anche nell'atto di costituzione in appello a fronte di tale capo di sentenza, il ricorrente incidentale deduce la rilevabilità in ogni stato e grado del giudizio del difetto di legittimazione passiva. 15. La soluzione della questione pone dunque il problema della rilevabilità della questione inerente la legittimazione passiva, problema risolto da questa Corte tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 2091 del 14/02/2012 Sez. 3, Sentenza n. 4796 del 06/03/2006 , con affermazione cui va data continuità, secondo la quale la legitimatio ad causarci , attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, della quale non è consentito alcun esame d'ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata. 16. Nella specie, ove il lavoratore ha proposto nei confronti di Telecom domanda avente ad oggetto diritti derivanti da un rapporto di lavoro con imprese alle quali afferma che Telecom sia succeduta, la questione sollevata non attiene alla vera legittimazione passiva, essendovi invero identità tra la parte costituita in giudizio e quella nei cui confronti è proposta la domanda in relazione al rapporto per come prospettato dalla parte, bensì alla titolarità effettiva del rapporto dedotto, con la conseguenza della non rilevabilità della questione in ogni stato e grado e del suo superamento nella specie in ragione di quanto correttamente affermato dalla corte territoriale. 17. I motivi del ricorso principale sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente. 18. Il ricorrente invoca l'applicazione in suo favore dell’art. 96 co. 2 del d.P.R. n. 3 del 1957, che prevede il diritto dell'impiegato alla corresponsione delle somme non percepite durante il periodo di sospensione cautelare sofferta per un periodo superiore a quello della sospensione della qualifica oggetto della condanna disciplinare. 19. La pretesa è infondata. Infatti, la norma suddetta riguarda esclusivamente la sospensione cautelare disposta a seguito di procedimento disciplinare come indicato chiaramente nella lettera della disposizione , e dunque la sospensione c.d. facoltativa di cui all'art. 92 del d.P.R., mentre non trova applicazione con riferimento alla sospensione cautelare obbligatoria inflitta per effetto di procedimento penale, disciplinata dall'art. 91 che qualifica obbligatoria la sospensione, disposta nei confronti dell'impiegato sottoposto a procedimento penale quando la natura del reato sia particolarmente grave . A tale fattispecie da ultimo indicata si applica invece l'art. 97, secondo il quale Quando la sospensione cautelare sia stata disposta in dipendenza del procedimento penale e questo si concluda con sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l'impiegato non lo ha commesso, la sospensione è revocata e l'impiegato ha diritto a tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità per servici e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario e salva deduzione dell'assegno alimentare eventualmente corrisposto . 20. Nel caso, il lavoratore è stato sottoposto a sospensione obbligatoria, in pendenza di procedimento penale per una pluralità di titoli di reato. Unica tutela spettante al dipendente è, dunque, quella connessa con la revoca della sospensione, alle condizioni previste dall'art. 97 e dunque possibile però solo in relazione ad assoluzione con le formule previste nel caso, la revoca non risulta mai disposta né ricorrevano gli estremi per la stessa, in difetto dell'assoluzione del ricorrente — con le formule richieste dalla norma - da tutti i titoli di reato per i quali è stata disposta la sospensione. 21. Restano invece del tutto irrilevanti gli altri elementi di giudizio invocati dal ricorrente - quali l'assenza di danno, la valutazione comparata degli esisti processuali delle diverse imputazioni in relazione alla loro diversa gravità -, atteso che tali elementi non sono contemplati dalla norma, la quale fa esclusivo riferimento all'assoluzione con le formule indicate, richiedendola implicitamente - in presenza di una sospensione disposta in connessione con una pluralità di imputazioni con esito diverso del relativo procedimento penale - per tutti i procedimenti in relazione ai quali è stata disposta la misura. 22. Può dunque affermarsi il seguente principio il diritto dell'impiegato alla corresponsione delle somme non percepite durante il periodo di sospensione cautelare sofferta per un periodo superiore a quello della sospensione della qualifica oggetto della condanna disciplinare, previsto e disciplinato dall'art. 92 del d.P.R. n. 3/1957, riguarda esclusivamente la sospensione cautelare disposta a seguito di procedimento disciplinare, e dunque la sospensione c.d. facoltativa di cui all’art. 92 del richiamato d.P.R., mentre non trova applicazione con riferimento alla sospensione cautelare obbligatoria inflitta per effetto di procedimento penale, fattispecie alla quale si applica invece l'art. 97, che condiziona i detti diritti economici esclusivamente alla revoca della sospensione disposta in conseguenza della sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l'impiegato non lo ha commesso resta peraltro esclusa, in presenza di una sospensione disposta in connessione con una pluralità di imputazioni con esito diverso del relativo procedimento penale, la possibilità di una valutazione comparata degli esisti processuali delle diverse imputazioni in relazione alla loro diversa gravità, atteso che tali elementi non sono contemplati dalla norma che fa esclusivo riferimento all'assoluzione con le formule indicate, richiedendo implicitamente tale esito processuale per tutti i procedimenti in relazione ai quali è stata disposta la misura. 23. La sentenza impugnata si è attenuta a tale principio e, con motivazione adeguata, ha escluso la fondatezza della pretesa economica del lavoratore in considerazione della natura obbligatoria della sospensione e dell'assenza del presupposto della restitutio di cui all'art. 97 in ragione della condanna del dipendente per uno dei reati ascritti e proscioglimento da altri con formula diversa da quelle considerate dalla disposizione ora detta . 24. Le spese di lite devono essere compensate in ragione della novità della questione. P.Q.M. la Corte riunisce i ricorsi principali, ed incidentale e li rigetta spese compensate.