Da risarcire il disabile messo in “stand by”

Il datore deve risarcire il lavoratore disabile, avviato al lavoro, ma, poi, non assunto. Il risarcimento deve comprendere l’intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore subisce durante tutto il periodo di inadempienza del datore stesso. Tale pregiudizio è da determinare in concreto, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore sul complesso delle utilità che lo stesso avrebbe potuto conseguire se fosse stato tempestivamente assunto, spettando al datore provare l’ aliunde perceptum , oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 19529, depositata il 17 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello, in sede di rinvio, condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore della lavoratrice, commisurato alle retribuzioni maturate sino alla sentenza di secondo grado, in relazione al pregiudizio sofferto per la mancata assunzione in seguito al provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro di invalidi ex l. n. 482/1968. I soccombenti, eredi del titolare dell’azienda, ricorrevano in Cassazione, denunciando violazione di legge, dal momento che i Giudici di merito avrebbero dovuto, nel valutare il risarcimento, tener conto anche dell’eventuale condotta colposa del creditore ex art. 1227 c.c. I ricorrenti sostenevano, inoltre, che la lavoratrice, in seguito alla mancata assunzione al lavoro, avrebbe dovuto richiedere di rimanere nella graduatoria per poter essere avviata ad altra occupazione presso diversa azienda. In conclusione, denunciavano la negligenza della donna, sicchè le conseguenza della sua colpevole inerzia dovevano essere valutate a suo carico. Infine, rilevavano che l’eccezione di concorso del fatto colposo del creditore e quella dell’ aliunde perceptum erano rilevabili d’ufficio anche in grado d’appello e in sede di rinvio. L’aliunde perceptum è rilevabile anche in sede di rinvio, solo se Nel decidere, la Cassazione ricorda che l’ aliunde perceptum come fatto sopravvenuto e dedotto nel primo momento utile, è rilevabile anche nel giudizio di rinvio, ove solo in occasione del suo svolgimento ne sia stata possibile la rilevazione e le relative circostanze di fatto siano state ritualmente acquisite nel processo Cass., n. 26626/2013 . Tuttavia, precisa la Corte, non si ritiene che nel caso in esame ricorrano i requisiti e le circostanze riguardanti l’ aliunde perceptum . E’ pacifico in sede di legittimità che il datore, inadempiente all’obbligo di assunzione del lavoratore avviato ai sensi della legge sopracitata, era tenuto a risarcire l’intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore avrebbe subito durante tutto il periodo di inadempienza del datore stesso. Tale pregiudizio, specifica la Corte, è da determinare in concreto, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore sul complesso delle utilità chelo stesso avrebbe potuto conseguire, ove fosse stato tempestivamente assunto, spettando al datore provare l’ aliunde perceptum , oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione Cass., n. 408/2009 . Nel caso di specie, d’altra parte, era stato disposto unicamente per la quantificazione delle retribuzioni spettanti fino alla sentenza di secondo grado. Perciò risultava precluso ogni ulteriore accertamento sull’ aliunde perceptum , rispetto al quale era stato rilevatoil mancato corretto assolvimento degli oneri probatori. La Corte rigetta, quindi, il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 giugno – 17 settembre 2014, n. 19609 Presidente Roselli – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 2.9.2011, la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, condannava R.G. e R.R. , in solido, al risarcimento del danno in favore di A.I. , commisurato alle retribuzioni maturate dal 29.12.1993 sulla base della retribuzione mensile di Euro 706,92 e sino alla sentenza di secondo grado, oltre accessori di legge, in relazione al pregiudizio sofferto dalla predetta per la mancata assunzione in seguito al provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro di invalidi in virtù di quanto previsto dalla legge n. 482/68. Rilevava la Corte che sulla richiesta di prove testimoniali effettuata dalla difesa del R. il Supremo Collegio si era pronunciato dichiarando inammissibile la relativa censura e che le doglianze avanzate in sede di riassunzione dai R. erano inammissibili perché non coerenti con la sede processuale della riassunzione ed estranee al principio enunciato dalla Suprema Corte e sul quale il giudice del merito in riassunzione doveva pronunciarsi. Per la cassazione di tale decisione ricorrono R.G. e R.R. , quali eredi di R.V. , titolare della ditta Alpi, affidando l'impugnazione a tre motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c Resiste, con controricorso, l'A. , che espone ulteriormente le proprie difese nella memoria e deposita note d'udienza di replica alle conclusioni motivate del P.G Motivi della decisione Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano falsa applicazione degli artt. 384, 392 e 394 c.p.c. e violazione dell'art. 1227 c.c., rilevando che in relazione al risarcimento accordato quale conseguenza della accertata violazione delle norme in materia di assunzioni obbligatorie il giudice del merito avrebbe dovuto valutare anche, ai sensi dell'art. 1227 c.c., l'eventuale concorso del fatto colposo del creditore, espressamente eccepito quanto meno per il periodo successivo alla sentenza di primo grado fino a quella di secondo grado, non potendo ritenersi precluse le questioni assorbite nel giudizio di gravame conclusosi con sentenza cassata dalla Suprema Corte. Sostengono che l'A. , in seguito alla mancata assunzione al lavoro quale invalida da parte della impresa Alpi, avrebbe dovuto richiedere di rimanere in graduatoria, dopo la cancellazione dalla stessa, per potere essere avviata ad altra occupazione presso diversa impresa, dovendo le conseguenze della sua colpevole inerzia rimanere a suo carico e non potendo alla stessa riconoscersi il risarcimento del danno per i danni che avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Evidenziano che sia l'eccezione del concorso del fatto colposo del creditore, che quella dell' aliunde perceptum sono rilevabili d'ufficio anche in grado di appello ed in sede di rinvio e che, pertanto, è stato erroneamente applicato il principio di cui all'art. 1227 c.c Con il secondo motivo, rilevano l'omessa pronuncia su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto gli elementi per la riduzione del pregiudizio spettante alla lavoratrice sono stati del tutto ignorati, ivi compresa la circostanza che l'A. , almeno fino al maggio 1997 e fino alla sua elezione al Parlamento nel 2008, ha assunto l'incarico remunerato di delegato del Sindaco di Roma per i problemi dell'handicap, nel novembre 1997 è stata eletta consigliere comunale e dal 1998 ha diretto l'Associazione Nazionale Malati di distrofia muscolare, percependo un reddito largamente superiore alla retribuzione che avrebbe percepito dalla ditta Alpi, sicché alcun mancato guadagno può dalla stessa essere dedotto per il periodo successivo alla sentenza di primo grado. Con il terzo motivo, si dolgono della mancata ammissione dei mezzi di prova, deducendo al riguardo vizio di motivazione ed assumendo che la prova testimoniale richiesta in sede di rinvio ritenuta già oggetto di precedente pronuncia di inammissibilità nella prima sentenza della Suprema Corte non riguardava la questione dell' aliunde perceptum . I tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, attesa la evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l'oggetto. L’ aliunde perceptum , come fatto sopravvenuto dedotto nel primo momento utile, è rilevabile anche nel giudizio di rinvio, ove solo in occasione del suo svolgimento ne sia stata possibile la rilevazione e le relative circostanze di fatto siano state ritualmente acquisite al processo cfr. cfr. Cass. 29 novembre 2013 n. 26828 . È principio pacifico anche quello secondo cui la configurazione del giudizio di rinvio quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e quindi la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, salvo che la necessità di nuove conclusioni sorga dalla stessa sentenza di cassazione, non osta all'esercizio, in sede di rinvio, dei poteri istruttori esercitabili d'ufficio dal giudice del lavoro anche in appello art. 437 cod. proc. civ. , limitatamente ai fatti già allegati dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase processuale antecedente al giudizio di cassazione, in quanto i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitagli di ufficio cfr. Cass. 17 gennaio 1914 n. 900 . Non può tuttavia, alla luce di tale insegnamento, ritenersi che si verta nella situazione che consentiva al giudice di rinvio di valutare circostanze afferenti all' aliunde perceptum e che in relazione a tali circostanze non sussistessero le enunciate preclusioni. Ed invero, come è dato leggere nella sentenza della Cassazione n. 488 del 13.1.2009, è stato evidenziato che inammissibile è pure la censura relativa all'omessa considerazione dei redditi che i ricorrenti assumono percepiti dalla A. quale Presidente all'Associazione Nazionale Malati di Distrofia Muscolare e quale Consigliere comunale di Roma, non risultando alcuna prova in proposito, e neanche in quale atto del giudizio l'azienda avesse dedotto le circostanze e chiesto di provarle . È, pertanto, palese che la prova sulla quale si è già pronunciata il S. C. riguarda non solo la circostanza dell'avviamento al lavoro della A. , che non si sarebbe presentata in azienda dopo il secondo colloquio, quale si evince dalle pagg. 12 e 13 di quella sentenza, ma anche la ulteriore prova, di tutt'altro tenore, non ammessa dal Giudice del rinvio, sui capitoli riguardanti l'incarico di delegato del Sindaco dell'A. dal maggio 1997 al maggio 2008, di Consigliere comunale e di presidente dell'associazione suindicata. Peraltro, anche sulla mancata richiesta di inserimento nella graduatoria per l'avviamento al lavoro dei disabili secondo la legge sulle assunzioni obbligatorie, la Corte di legittimità si è pronunciata rilevando come, sulla scorta dell'orientamento della giurisprudenza della stessa Corte, il datore, inadempiente all'obbligo di assunzione del lavoratore avviato ai sensi della legge menzionata, era tenuto a risarcire l'intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore avesse conseguenzialmente subito durante tutto il periodo in cui si era protratta l'inadempienza del datore medesimo, pregiudizio da determinare in concreto, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso delle utilità salari e stipendi che il lavoratore avrebbe potuto conseguire, ove fosse stato tempestivamente assunto, spettando al datore provare l' aliunde perceptum , oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione, v. sent Cass. 408/09 cit, pagg. 13-14 . Il rinvio è stato disposto unicamente per la quantificazione delle retribuzioni spettanti fino alla sentenza di secondo grado, onde risultava precluso ogni ulteriore accertamento sull' aliunde perceptum , rispetto al quale era stato rilevato il mancato corretto assolvimento degli oneri probatori. Il ricorso, nei termini in cui è stato avanzato è pertanto da rigettare e le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo. Non può accedersi alla richiesta di ulteriore condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in quanto, in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96, primo comma, cod. proc. civ. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’”an e sia del quantum debeatur , o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa, cfr. Cass. 15.4.2013 n. 9080 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.