Il foro competente è come la “pagliuzza corta”: si può pescare tra più opzioni

In una controversia riguardante la presunta illegittimità di un licenziamento, il datore di lavoro non può eccepire l’incompetenza territoriale di un tribunale, se in quel territorio si trova una dipendenza a cui era addetto il lavoratore.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19495, depositata il 16 settembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del tribunale di Caltagirone, che aveva dichiarato l’illegittimità di un dipendente e condannato i datori di lavoro a pagare le differenze retributive, oltre all’indennità per l’illegittimità. I datori di lavoro ricorrevano in Cassazione, contestando ai giudici d’appello il rigetto dell’eccezione di incompetenza per territorio. Il tribunale da adire doveva essere quello di Ragusa, dove era sorto il rapporto ed era ubicata la sede dell’azienda, anziché quello di Caltagirone, dove si trovava la dipendenza dell’azienda in cui lavorava il dipendente. Il lavoratore, autista alle dipendenze di una ditta di trasporti postali, si recava quotidianamente nella sede dei locali dell’ufficio postale di Caltagirone per prelevare la corrispondenza da consegnare e ricevere istruzioni e retribuzioni. Tuttavia, in tale ufficio postale non esisteva alcun nucleo di beni aziendali necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa. Un nucleo dovrebbe essere caratterizzato da una propria individualità tecnico-economica preordinata al raggiungimento dei fini aziendali, mentre, in questo caso, secondo i ricorrenti, il dipendente si recava lì solo per prelevare i pacchi che distribuiva nei territori limitrofi in assenza di istruzioni da parte dei datori di lavoro. Possibilità di scelta. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione approvava la decisione dei giudici di merito, che avevano applicato l’art. 413, comma 2, c.p.c., individuando il foro alternativo territoriale della dipendenza, a cui era addetto il lavoratore o presso cui prestava la sua opera alla fine del rapporto, nei locali dell’ufficio postale di Caltagirone. Era stato accertato, infatti che l’attività lavorativa del dipendente aveva inizio quotidianamente presso quella sede, dove prelevava la corrispondenza da distribuire e riceveva le istruzioni sul lavoro e la retribuzione. Essendo, quindi, questa un’attività di servizi, i locali della sede di Caltagirone, pur essendo di terzi, esprimevano un collegamento funzionale con l’attività imprenditoriale, di cui costituivano l’estrinsecazione nel territorio. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 giugno – 16 settembre 2014, n. 19495 Presidente Roselli – Relatore Napoletano Svolgimento del processo D.C.R. adì il giudice dei lavoro del Tribunale di Caltagirone esponendo di aver lavorato come autista alle dipendenze di L.T.A. dal 15.1993 al 30.6.1998 e di T.A. dall'1.7.1998 al 16.9.1999, entrambi titolari di una ditta di trasporti postali, urbani ed interurbani, oltre che di recapito plichi, e chiedendo la loro condanna in solido al pagamento delle differenze retributive maturate a vario titolo lavoro straordinario, 13^ e 14^ mensilità, indennità sostitutiva per ferie non godute nel 1999, indennità di mancato preavviso, retribuzione di settembre 1999, differenze economiche sulla retribuzione inferiore alle previsioni contrattuali e T.F.R. fino alla data del licenziamento dei 21.9.1999, nonché al versamento dell'indennità per la dedotta illegittimità di tale atto di recesso, dopo aver sostenuto che tra i medesimi datori di lavoro esisteva una società di fatto. Il giudice adito accolse la domanda e condannò in solido i predetti convenuti al pagamento dell'indennità di cui alla legge n. 10811990, per l'accertata illegittimità del licenziamento intimato al D.C., nonché alla corresponsione delle differenze retributive in ragione di € 8939,20, per L.T.A., e di € 9664,42, per T.A Con sentenza del 12.4 - 10.5.2007, La Corte d'appello di Catania, adita per l'impugnazione della decisione di primo grado dal T. e dal L.T., ha respinto il gravame spiegando che all'esito dell'istruttoria condotta dal primo giudice era emersa una comunanza di interessi fra i suddetti datori di lavoro, i quali si erano avvicendati nell'aggiudicazione dell'appalto dei servizi di recapito, della cui gestione era solo L.T.A. ad occuparsene. Per la cassazione della sentenza ricorrono T.A. e L.T.A. con tre motivi. Rimane solo intimato il D.C Motivi della decisione 1. Col primo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell'art. 413, comma 2°, c.p.c., nonché dell'errata motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto ritengono che la Corte d'appello ha errato nel momento in cui ha rigettato l'eccezione di incompetenza per territorio, riconoscendola in favore dei Tribunale di Caltagirone, luogo ove si trovava la dipendenza dell'azienda in cui operava il lavoratore, anziché di quello di Ragusa, ove il rapporto era sorto ed ove era ubicata la sede dell'azienda. Spiegano i ricorrenti che la Corte di merito ha individuato la competenza territoriale in base al criterio della dipendenza dell'azienda, ravvisandola nella sede dei locali dell'ufficio postale di Caltagirone ove il D.C. si recava quotidianamente, unitamente ai colleghi di lavoro, per prelevare la corrispondenza da consegnare e dove avrebbe ricevuto le istruzioni e le retribuzioni, ma che in realtà in tale ufficio postale non esisteva il benché minimo nucleo di beni aziendali necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa, nucleo che avrebbe dovuto essere caratterizzato da una propria individualità tecnico-economica preordinata al raggiungimento dei fini aziendali, e che in esso il dipendente si recava solo per prelevare i pacchi che distribuiva nei territori limitrofi in assenza di istruzioni da parte dei datori di lavoro. Il motivo è infondato. Invero, la Corte d'appello ha correttamente applicato la norma di cui all'art. 413, comma 2°, cod. proc. civ., individuando il foro alternativo territoriale della dipendenza, alla quale era addetto il lavoratore o presso la quale prestava la sua opera alla fine dei rapporto, nei locali dell'ufficio postale di Caltagirone, dopo aver accertato, all'esito dell'istruttoria, che l'attività lavorativa dei D.C. aveva inizio quotidianamente presso i suddetti ambienti, ove prelevava la corrispondenza da distribuire e dove riceveva indicazioni sul lavoro da svolgere, oltre che la retribuzione, ragion per cui, trattandosi di attività di servizi, quei locali, pur essendo di terzi, esprimevano un collegamento funzionale con l'attività imprenditoriale, della quale costituivano, in fin dei conti, la estrinsecazione in quel territorio. 2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d'appello avrebbe omesso di pronunziarsi sul terzo motivo del gravame attraverso il quale si era dedotto l'errore in cui era incorso il primo giudice, il quale aveva accolto la domanda, finalizzata al conseguimento delle differenze retributive alla stregua dell'art. 36 della Costituzione, dopo aver ritenuto che nella fattispecie fosse applicabile il contratto collettivo nazionale di settore, laddove questo era stato indicato dal lavoratore solo come eventuale parametro di riferimento per la quantificazione delle spettanze. 3. Col terzo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della norma di cui all'art. 112 c.p.c. i ricorrenti deducono che i giudici d'appello avevano, dapprima, dato atto che il ricorrente aveva richiamato il contratto collettivo quale parametro della giusta retribuzione ex art. 36 Cost., per accertare, dopo, che il medesimo non ne aveva chiesto l'applicazione diretta, finendo per riconoscere, in tal modo, l'errore in cui era incorso il primo giudice, ma senza trarne le dovute conseguenze, per cui si era realizzato un insanabile contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza ora impugnata. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione. Entrambi i motivi sono infondati. invero, non sussiste il lamentato vizio di omessa pronunzia poiché la Corte d'appello ha espressamente affermato che nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, richiamato nella memoria di costituzione dei medesimo lavoratore appellato, senza che vi fosse stata alcuna contestazione della controparte, risultava invocata in maniera inequivocabile, ai fini della dedotta insufficienza della retribuzione, l'applicazione dei CCNL del settore dei servizi postali appaltati dei 30.4.1996 e successivi rinnovi. Al fine di sgombrare il campo da ogni dubbio è bene precisare che tale statuizione è stata emessa dalla Corte di merito dopo che la stessa ha dato atto della circostanza che gli appellanti avevano lamentato, seppur separatamente, la violazione, da parte dei primo giudice, del principio di cui all'art. 112 c.p.c. per essere stati condannati al pagamento delle differenze retributive ai sensi dell'art. 36 della Costituzione in applicazione del CCNL, pur non essendovi mai stata alcuna esplicita o implicita richiesta in tal senso dei D.C Ad ulteriore riscontro di ciò basta osservare che la Corte d'appello ha espressamente chiarito che gli stessi argomenti adoperati per la determinazione delle differenze retributive valevano ad escludere la violazione, da parte dei primo giudice, della norma di cui all'art. 112 c.p.c. anche con riguardo allo svolgimento dei lavoro straordinario. Ne consegue che alcuna discordanza è ravvisabile tra quanto illustrato chiaramente nella motivazione dell'impugnata sentenza, in ordine alla ritenuta infondatezza della censura mossa con riguardo all'asserita violazione dell'art. 112 c.p.c., e la statuizione di rigetto dei gravame. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio dal momento che il controricorrente è rimasto solo intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.