Lavoratore all’estero con permessi temporanei, tollerati dalle autorità: illegittimo il licenziamento

Scenario è il cantiere allestito in Libia da un’azienda italiana. Sotto accusa la condotta dell’assistente di cantiere, che ha operato con un ‘visto business’ e non con un permesso di lavoro. Questa situazione, tollerata dalle autorità libiche, viene valutata negativamente dall’azienda, che opta per la risoluzione del rapporto col dipendente, appena rientrato in Italia. Ma tale decisione si rivela un boomerang dipendente riassunto e risarcito.

Situazione lavorativa all’italiana il dipendente è in trasferta all’estero – in Libia, per la precisione – come assistente di cantiere, ma con un semplice visto di affari e non con un permesso di lavoro. Posizione borderline, tollerata dalle autorità libiche, ma non dall’azienda, che, in occasione del rientro del dipendente in Italia, considera dissolto il rapporto di lavoro. Provvedimento, però, forzato, quello del licenziamento, e difatti dichiarato illegittimo, soprattutto tenendo presente che il rinnovo del visto di affari sarebbe stato sufficiente per il ritorno del lavoratore in Libia Cassazione, sentenza n. 19497, sez. Lavoro, depositata oggi . Visto. Protagonista della vicenda un’azienda italiana che opera nel settore delle costruzioni, anche sul fronte petrolifero. Scenario un cantiere in Libia. Co-protagonista un lavoratore italiano, assunto con contratto estero come assistente di cantiere . Casus belli , per la precisione, la decisione dell’azienda di rescindere il contratto e ufficializzare il licenziamento del dipendente. Fatale, sempre secondo l’azienda, la constatazione della ‘scarsa volontà’ del lavoratore, il quale aveva operato in Libia con un visto d’affari, non idoneo a consentire l’espletamento di prestazioni di lavoro subordinato – eppure tollerato dalle autorità libiche – e aveva omesso di richiedere la residenza in Libia, solo in presenza della quale poteva essere rilasciato un permesso di lavoro . A completare il quadro, poi, la sottolineatura, sempre da parte dell’azienda, del fatto che il dipendente nel corso dei circa quattro mesi di durata del rapporto di lavoro, aveva operato nel cantiere solo in via provvisoria e grazie ai buoni rapporti intrattenuti come azienda con i funzionari libici , i quali, comunque, avevano fatto presente che la situazione non era ulteriormente tollerabile e che, in difetto del visto di lavoro l’uomo avrebbe dovuto cessare la sua attività lavorativa . Per l’azienda, quindi, la risoluzione del rapporto non era imputabile a una propria volontà di recedere , bensì alla impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa , impossibilità dovuta all’inerzia del lavoratore, il quale, per giunta, era rientrato in Italia, senza provvedere alle incombenze burocratiche in Libia. Tale visione, però, viene ritenuta erronea dai giudici di merito, i quali, difatti, sanciscono la illegittimità del licenziamento, fissando anche una indennità risarcitoria a favore del dipendente per l’inefficace licenziamento pari a oltre 250mila euro. Per i giudici, difatti, non si era ancora verificata nessuna situazione di impossibilità oggettiva della prestazione, stante anche l’accertata tolleranza, da parte delle autorità libiche, di lavoratori in possesso del solo ‘visto business’ . Risoluzione impossibile. E la durissima linea d’azione applicata dall’azienda viene censurata, in via definitiva, anche in Cassazione, laddove è confermata la pronuncia di illegittimità del licenziamento emesso nei confronti del dipendente assistente di cantiere in Libia. Non regge, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, la tesi aziendale della condizione risolutiva prevista dal contratto individuale , ossia il mancato rilascio, da parte delle autorità libiche, del visto di ingresso e del permesso di lavoro . Ciò, innanzitutto, alla luce, come detto, della tolleranza mostrata dalle autorità libiche, senza dimenticare poi che il dipendente si era sì recato in Italia per godere delle ferie ma anche per chiedere il ‘visto business’ , assolutamente sufficiente per il rientro in Libia . Peraltro, aggiungono i giudici, proprio dalla lettura del contratto di lavoro emerge che l’ottenimento del visto di ingresso e del permesso di lavoro sarà curato da parte della società, con l’obbligo del dipendente di porle a disposizione tutta la documentazione occorrente che gli sia chiesta allo scopo . Tali valutazioni conducono, come detto, alla conferma della illegittimità del licenziamento. Di conseguenza, l’azienda dovrà provvedere a riassumere il lavoratore e a corrispondergli tutte le retribuzioni dovute dal licenziamento alla data dell’effettiva riassunzione , oltre che a versargli una indennità risarcitoria di oltre 250mila euro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 giugno – 16 settembre 2014, numero 19497 Presidente Roselli – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 26 agosto 2009, la Gestim s.r.l. impugnava la sentenza numero 447\08 del Tribunale di Lucca, che aveva così statuito dichiara l'inefficacia dei licenziamento intimato al ricorrente in data 28.5.08 e per l'effetto condanna la società convenuta a riassumere il ricorrente ed a corrispondergli tutte le retribuzioni dovute dal licenziamento alla data dell'effettiva riassunzione, oltre interessi e rivalutazione dalle singole scadenze al saldo in accoglimento della domanda riconvenzionale condanna il ricorrente a restituire alla società convenuta le somme corrispostegli a titolo di indennità di mancato preavviso e TFR pari ad €. 4.878,11, oltre interessi dalla data del pagamento condanna la convenuta al pagamento del 70% delle spese processuali . Avanti al primo giudice C.G. esponeva di aver svolto, in qualità di dipendente della Gestim s.r.l. mansioni corrispondenti alla qualifica di assistente di cantiere presso taluni cantieri in Libia per otto ore giornaliere e per sei giorni settimanali dal 19.11.02 al 28.4.03. Riferiva poi, che in data 22.4.2003, la datrice gli aveva comunicato, con lettera raccomandata ricevuta il 28 aprile successivo, la decisione di rescindere il contratto, pertanto il rapporto di lavoro tra lei e la Gestim s.r.l. deve considerarsi terminato il 31.3.2003 . Il licenziamento era stato impugnato con lettera raccomandata del 10.5.2003, nella quale il C. chiedeva alla datrice la specificazione dei motivi di recesso, senza, tuttavia, ricevere alcuna risposta. Solo in data 1° luglio 2003, la società convenuta restituiva il libretto di lavoro al ricorrente. La Gestim s.r.l nel costituirsi in giudizio, deduceva che il C., assunto con contratto estero, aveva svolto la propria attività lavorativa presso il cantiere libico di Ghani dal 19.11.2002 fino al 31.3.2003, quando aveva chiesto di fare rientro in Italia. Evidenziava la peculiarità della posizione giuridica dei ricorrente con riferimento a quanto stabilito dal Comitato Generale Popolare Libico, con provvedimento numero 88/369, relativo all'impiego di mano d'opera straniera in Libia in caso di avvenuta cessazione dei lavoro per qualsiasi ragione obbligo di abbandono dei territorio della Libia entro tre mesi ed intervallo di almeno tre anni prima della possibilità di ottenere il rilascio di una nuova autorizzazione . La convenuta sottolineava, altresì, che nell'anno 2002 il C. aveva risolto il precedente rapporto di lavoro in Libia con altra ditta italiana, per poi fare rientro il Libia il 19.11.2002 con un visto di affari, non idoneo a consentire l'espletamento di prestazioni di lavoro subordinato. Il ricorrente, inoltre, aveva omesso di richiedere la residenza in Libia, solo in presenza della quale poteva essere rilasciato un permesso di lavoro anche prima dei decorso dei tre anni. Il C., nel corso dei circa quattro mesi di durata del rapporto di lavoro, aveva operato nel cantiere di Ghani solo in via provvisoria e grazie ai buoni rapporti intrattenuti dalla convenuta con i funzionari libici addetti ai competenti uffici questi, nel marzo 2003, avevano fatto presente alla deducente che la situazione non era ulteriormente tollerabile e che, in difetto del visto di lavoro, il C. avrebbe dovuto cessare la sua attività lavorativa. Il ricorrente, nonostante fosse stato informato della richiesta delle autorità libiche, si era rifiutato di richiedere la residenza in Libia ed aveva fatto rientro in Italia per fruire del periodo di ferie maturate in tal modo il C., all'uopo debitamente informato, aveva reso di fatto impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, tanto che gli era stata comunicata, una volta rientrato in Italia, la decisione di risolvere il contratto. Sosteneva la convenuta che la risoluzione del rapporto non era quindi imputabile ad una sua volontà di recedere dallo stesso, quanto, invece, dall'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa. Riferiva la convenuta di aver corrisposto al ricorrente l'importo di €.8.089,79, comprensivo di indennità di mancato preavviso, ferie non godute e t.f.r. La Gestim eccepiva, quindi, l'infondatezza della domanda attrice e formulava domanda riconvenzionale, con cui chiedeva la condanna del C. alla restituzione di detto importo. La causa, istruita con produzione di documenti e con l'espletamento di prova per testi, venne decisa dal Tribunale di Lucca nei termini indicati in particolare ritenne il giudice a inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della legge numero 604\66 come sostituito dall'articolo 2 della legge numero 108/90 b esclusa la fondatezza dell'assunto della convenuta secondo cui non vi sarebbe stato alcun licenziamento, ma solo l'attivazione di una clausola risolutiva apposta al contratto di lavoro individuale infatti, anche in tale caso la datrice avrebbe dovuto comunicare al proprio dipendente le ragioni per le quali intendeva recedere dal rapporto. In ogni caso dall'istruttoria espletata era emerso che il C. era rientrato in Italia non solo per fruire di un periodo di ferie, ma anche per richiedere il rinnovo dei 'visto business', con l'intenzione, quindi, di ritornare in Libia appena ottenuto il visto. All'atto dei licenziamento, quindi, secondo il Tribunale, non si era ancora verificata nessuna situazione di impossibilità oggettiva della prestazione, stante anche l'accertata tolleranza da parte delle autorità libiche di lavoratori in possesso dei solo 'visto business'. Neppure risultava provato il rifiuto dei ricorrente di ottenere la residenza in Libia e neppure una richiesta in tal senso da parte della società convenuta. Il primo giudice, poi, in relazione alla conseguenze dell'inefficace licenziamento, ritenendo non provato il requisito dimensionale dell'azienda che consentisse l'applicazione dell'articolo 18 L. numero 300\70, affermava il diritto del C. alla riammissione al lavoro e l'obbligo per la datrice di lavoro di corrispondergli tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino a quella di ripristino del rapporto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. L'inefficacia dei licenziamento ad interrompere il rapporto comportava, secondo il Tribunale, l'obbligo di restituzione da parte del lavoratore delle somme percepite a titolo di t.f.r. e di indennità di mancato preavviso, con interessi dal momento del pagamento sino al saldo. La sentenza veniva impugnata dalla Gestim. Resisteva il lavoratore. La Corte d'appello di Firenze, disposta c.t.u. contabile, con sentenza dei 25 gennaio 2011, respingeva il gravame, determinando l'indennità risarcitoria spettante al C. per l'inefficace licenziamento in complessivi €.251.617,84, oltre interessi legali dal 1.11.00 ai saldo, cui condannava la società. Per la cassazione propone ricorso la società, affidato a sette motivi. Il C. non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c. Lamenta di aver dedotto al giudice di appello che con la lettera del 22.4.03, la società non intendeva licenziare il C., ma risolvere il contratto per il verificarsi della condizione risolutiva prevista dall'articolo 23 del contratto individuale rilascio da parte delle autorità libiche del visto di ingresso e dei permesso di lavoro . Che la Corte di merito non si era minimamente pronunciata in proposito. Il motivo è infondato, posto che la Corte territoriale si è pronunciata sulla questione, escludendo che si fosse verificata tale condizione, sulla scorta, peraltro, dell'accertata circostanza che il C. si era recato in Italia, oltre che per godere delle ferie, anche per chiedere il visto business per lavoro , ad avviso della Corte di merito, sulla base delle testimonianze escusse, sufficiente per il rientro in Libia. 2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'articolo 1353 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata non aveva valutato la questione della risoluzione del contratto per l'avverarsi della riferita circostanza di cui alla clausola risolutiva espressa. Il motivo è infondato. Deve infatti considerarsi che la Corte territoriale ha congruamente valutato ed escluso la dedotta impossibilità sopravvenuta o l'esistenza di una clausola risolutiva espressa ed abbia comunque escluso il suo verificarsi, avendo il C. richiesto il rinnovo del visto business, che, secondo la Corte, sulla base delle testimonianze raccolte, risultava sufficiente per il ritorno in Libia. Dei resto, in base all'articolo 23 del contratto di lavoro riprodotto in ricorso, risulta che L'ottenimento del visto di ingresso e del permesso di lavoro sarà curato, [senza nessuna propria responsabilità diretta] da parte della società con l'obbligo dei dipendente di porle a disposizione tutta la documentazione occorrente che gli sia chiesta allo scopo . La prova dell'adempimento della società e quella della mancata collaborazione dei dipendente non è stata specificamente dedotta. 3.-Con il terzo motivo la società denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c. . Lamenta che la Corte di merito ritenne erroneamente che la presenza in Libia di lavoratori privi degli indicati permessi oltre che della `desert pass' fosse tollerata dalle autorità libiche, erroneamente valutando le risultanze istruttorie sul punto. Il motivo è inammissibile poiché chiede alla Corte un nuovo accertamento di fatto ed una riconsiderazione delle risultanze istruttorie precluse al giudice di legittimità. 4.-Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 112 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata esaminato la questione, proposta in via subordinata dell'essersi nella specie comunque verificata una `sospensione necessaria' del rapporto di lavoro, con conseguente legittimità del licenziamento intimato il 26.10.07 per impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa. Il motivo è inammissibile, per le medesime considerazioni svolte sub 1, ed inoltre per non avere la società ricorrente chiarito in quale sede processuale ed in che modo tale questione sia stata sottoposta al giudice di appello, impedendo così a questa Corte di esaminare la censura. 5.-Con il quinto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 L. numero 604\66. Lamenta che, pur avendo con lettera del 9.5.03 il C. impugnato il licenziamento chiedendo di conoscerne la motivazione, la sentenza impugnata non considerò la tardività o la inammissibilità della richiesta dei motivi contenuta solo nella lettera di impugnazione del licenziamento. Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato. Ed invero non risulta che la questione della contestualità della richiesta dei motivi, in uno con l'impugnazione del licenziamento, sia stata dedotta nel giudizio di merito, ove la società, secondo quanto leggesi nella sentenza impugnata, si limitò a dedurre la tardività della richiesta dei motivi, avvenuta il 14.5.03, mentre il licenziamento era dei 28.4.03. Risulta tuttavia dalla medesima sentenza, che ha ritenuto la richiesta dei motivi tempestiva, che tale richiesta avvenne con lettera dei 10.5.03, né la ricorrente produce il relativo atto, in contrasto coi principi di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c. 6. Con il sesto ed il settimo motivo la Gestim s.r.l. denuncia la violazione del combinato disposto degli arti. 1217 c.c. costituzione in mora negli obblighi di fare e 2 L. numero 604\66. Lamenta che, anche a voler considerare il licenziamento in questione inefficace ex lege numero 604\66, il lavoratore avrebbe avuto solo diritto al risarcimento del danno che in ogni caso, data la natura sinallagmatica dei rapporto di lavoro, questi non avrebbe avuto diritto ad alcuna retribuzione sino alla costituzione in mora accipiendi del datore di lavoro, non configurabile nella sola domanda di annullamento del licenziamento ovvero nella lettera di convocazione dinanzi alla Commissione provinciale dei lavoro, e neppure diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute. I motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono in parte inammissibili, non risultando devoluti al giudice d'appello -né la ricorrente specifica in quale atto ed in qual modo le questioni lo fossero state Cass. ord. 30 luglio 2010 numero 17915 Cass. ord. 16.3.12 numero 4220 Cass. 9.4.13 numero 8569 . Per il resto deve osservarsi che in tema di risarcimento del danno subito dal dipendente a seguito di licenziamento inefficace sia pur da determinarsi secondo le regole generali dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, v. Cass. numero 18844\10, Cass. numero 12079\03, Cass. numero 2392\03, Cass. numero 18194\02, Cass. sez. unumero numero 508\99 , la notifica del ricorso giudiziario nella specie proceduto dalla richiesta dei tentativo obbligatorio di conciliazione avente analogo contenuto e dalla sentenza impugnata accertato come regolarmente comunicato all'azienda vale a costituire in mora il datore di lavoro ove il bene della vita richiesto sia identificabile nella prosecuzione del rapporto e nella corresponsione delle retribuzioni passate Cass. numero 2460\11, Cass. numero 12333\09, Cass. numero 9988\08 , come nella specie accertato dal Tribunale e, sia pure implicitamente, confermato dalla Corte di merito. Giova inoltre evidenziare che la somma oggetto di condanna venne quantificata da c.t.u. contabile la cui relazione, giusta quanto affermato dalla sentenza impugnata pag.7 , venne contestata dalla società unicamente quanto al computo dell'indennità estero. 7. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Nulla per le spese essendo il C. rimasto intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.