La somministrazione rientra nei contratti a tempo determinato?

Il comma 5 dell’art. 23 legge n. 183/2010, contiene una formulazione unitaria e generale di casi di conversione contrattuale, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale. In sostanza, la nozione utilizzata dal legislatore nella legge predetta non è limitata al contratto a termine essa ricomprende le forme contrattuali che si concentrano in una prestazione di lavoro temporaneo.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18861, depositata l’8 settembre 2014. Il caso. Un uomo conveniva in giudizio la società per cui aveva lavorato, prima con contratto di collaborazione coordinata e continuata luglio 2003 – giugno 2004 , poi con contratto di lavoro temporaneo e infine di somministrazione agosto 2004 – giugno 2005 . Il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, riconosceva un rapporto di lavoro subordinato tra l’attore e la società convenuta, e condannava quest’ultima a provvedere all’adeguamento dei versamenti contributivi in favore del lavoratore, per il periodo compreso tra agosto 2004 e giugno 2005. La Corte d’appello, in parziale riforma, condannava la società a riammettere in servizio il lavoratore e condannava la stessa alle retribuzioni maturate dal luglio 2005 alla data della sentenza di secondo grado. Il contratto di somministrazione rientra nei contratti a tempo determinato? Ricorreva per cassazione la società, denunciando la mancata applicazione dell’art. 32 l. n. 183/2010 per l’ipotesi di conversione del contratto di somministrazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ricorrendo la medesima ratio , avendo invece la Corte di merito condannato al pagamento di tutte le retribuzioni maturate da luglio 2005. Tenuto conto della normativa richiamata, la questione in esame riguarda se nella formula casi di conversione del contratto a tempo determinato , vi rientrino i contratti di lavoro temporaneo di somministrazione. La legge contiene un formulazione generale. Il comma 5 dell’art. 23 legge predetta, contiene una formulazione unitaria e generale di casi di conversione, senza indicare normative di riferimento. Spiega, dunque, la Cassazione che per sapere se rientra nell’ambito della norma dettata dal comma 5, bisogna verificare la sussistenza di due sole condizioni la prima è che il contratto di lavoro deve essere a tempo determinato, la seconda è che si deve essere in presenza di un fenomeno di conversione . L’intervento del Giudice europeo. La Cassazione, nel decidere la questione, ricorda la giurisprudenza europea CGE 11 aprile 2013 la quale ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo, costituita dal fatto che le parti stipulanti l’accordo quadro hanno espressamente previsto che esso si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale . Quindi, il contratto a termine che si accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del contratto a tempo determinato tanto che – aggiunge la Corte - il legislatore europeo, avendo intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che definisce una eccezione, in mancanza della quale l’accordo avrebbe coperto tale area . Se il legislatore europeo non avesse precisato l’eccezione, la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un contratto di fornitura di lavoro interinale. Il panorama legislativo italiano non opera alcuna esclusione. Per argomento a contrario, quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera. Così ha fatto la l. n. 183/2010, all’art 32, comma 5, che ha indistintamente fatto riferimento ai contratti a tempo determinato, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale. In sostanza, la nozione utilizzata dal legislatore nella legge predetta non è limitata al contratto a termine essa ricomprende le forme contrattuali che si concentrano in una prestazione di lavoro temporaneo. La Corte, quindi, accoglie il motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 giugno – 8 settembre 2014, n. 18861 Presidente Roselli – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Roma, F.T. conveniva in giudizio la A.S.A.P. Agenzia per lo Sviluppo delle Amministrazioni Pubbliche Lazio e la s.p.a. I.L., esponendo di aver iniziato a lavorare per la prima con contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 15 luglio 2003 al 30 giugno 2004 e, con contratti di lavoro temporaneo e poi di somministrazione, tramite la s.p.a. I.L., dal 2 agosto 2004 al 30 giugno 2005. Deduceva di aver svolto in realtà lavoro subordinato e concludeva chiedendo nel merito l'accertamento della subordinazione stessa e per l'effetto dichiarare il diritto del ricorrente all'adeguamento contributivo previdenziale nonché l'applicazione degli istituti normativi e contrattuali relativi alla sua acclarata posizione lavorativa, con condanna dell'ASAP a provvedervi Le convenute si costituivano chiedendo il rigetto del ricorso. Il Tribunale dichiarava che dal 2 agosto 2004 al 30 giugno 2005 era sussistito tra il T. e la ASAP Lazio un rapporto di lavoro subordinato, condannando quest'ultima a provvedere all'adeguamento dei versamenti contributivi in favore del ricorrente per il periodo suddetto. Il T. proponeva appello articolato su due motivi. Si costituiva la sola A.S.A.P. Lazio, chiedendo il rigetto dell'impugnazione. La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 15 dicembre 2001, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava l'ASAP a riammettere in servizio il T., con condanna alle retribuzioni maturate dal luglio 2005 alla data della sentenza di secondo grado, oltre interessi e rivalutazione dalle scadenze al saldo. Compensava per metà le spese del grado, ponendone il residuo a carico della Agenzia. Per la cassazione propone ricorso l'A.S.A.P., affidato a sei motivi. Resiste il T. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia una omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c. . Lamenta che la Corte di merito ritenne, senza alcuna motivazione, di confermare l'irregolarità dei contratti di somministrazione accertata dal primo giudice, senza avvedersi che l'articolo 20 del d.lgs. n. 276\03 aveva inserito per la somministrazione a termine, al n. 4, anche le ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo, riferibili all'ordinaria attività dell'azienda, di cui la sentenza non si era minimamente occupata. La censura è inammissibile. In primo luogo per non avere la ricorrente prodotto i dedotti contratti di somministrazione, in contrasto con l'articolo 369, comma 2, n. 4 c.p.c., neppure indicando la loro esatta ubicazione processuale Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726 . In secondo luogo perché il motivo di ricorso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve riguardare la motivazione in ordine alla sussistenza di un fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo. La società ricorrente non ha indicato il fatto, ne', tanto meno, ha spiegato perché sarebbe controverso e decisivo. Per giurisprudenza consolidata, Il motivo di ricorso con cui - ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 2 - si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex articolo 2697 cod. civ., cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo od anche un fatto secondario cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale , purché controverso e decisivo Cass. 29 maggio 2013 n. 13404 Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805 cfr., anche, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655 . 2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 345 e 414 c.p.c. articolo 360 n. 3 c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio della mutatio libelli nella quale era incorso il T. nella sua impugnazione. Evidenzia che quest'ultimo, nelle conclusioni del suo ricorso di merito, aveva chiesto di accertare e dichiarare il rapporto di lavoro intercorrente tra il Sig. F.T. e l’ASAP Lazio come rapporto di lavoro subordinato a decorrere dal 15.7.2003 e, per l’effetto, dichiarare simulati i contratti intercorsi tra le medesime parti con denominazione di co.co.co nonché quelli di lavoro temporaneo intercorsi tra il ricorrente e la I.L. spa meglio descritti nel ricorso dichiarare in conclusione il diritto del ricorrente all'adeguamento contributivo previdenziale nonché derivante dall'applicazione degli istituti normativi e contrattuali relativi alla sua acclarata posizione lavorativa, con condanna dell'ASAP a provvedervi. Resosi conto dell'errore commesso, prosegue la ricorrente, il T. ampliò, in sede di ricorso in appello, la sua richiesta, ricomprendendovi anche la richiesta di accertamento della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto, con richiesta di condanna a tutte le conseguenze economiche e normative connesse sino al ripristino del rapporto, modifica della domanda, cui la società si oppose nella memoria di costituzione, concretante una inammissibile mutatio libelli. Lamenta che la sentenza impugnata, richiamando un non pertinente precedente di questa S.C. n. 820\07 , ritenne che non vi fosse necessità, a fronte dell'originario petitum, di chiedere specificamente le conseguenze derivanti dall'illegittima risoluzione del rapporto. Il motivo è in parte inammissibile per non avere la ricorrente prodotto gli atti processuali del T., impedendo a questa Corte l'esame del fatto processuale Cass. sez. un. 22.5.12 n. 8077 , e per il resto infondato. La ricorrente censura infatti l'interpretazione della domanda rimessa al giudice di merito, implicando valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione - così come avviene per ogni operazione ermeneutica - ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito Cass. sez.un. 25.2.11 n. 4617 Cass. 9 settembre 2008 n. 22893 Cass. 1° febbraio 2007 n. 2217 Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538 . Nella specie la Corte di merito ha ritenuto, in modo logico, che nella richiesta di accertamento della subordinazione e di declaratoria del diritto del ricorrente all'adeguamento contributivo previdenziale nonché l’applicazione degli istituti normativi e contrattuali relativi alla sua acclarata posizione lavorativa, con condanna dell'ASAP a provvedervi ben poteva ritenersi contenuta anche la domanda di richiesta di condanna a tutte le conseguenze economiche e normative connesse all'illegittimità del recesso sino al ripristino del rapporto. 3. - Con il terzo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 22, comma 2, del d.lgs n. 276\03 articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. . Lamenta che la Corte di merito non considerò che non è necessario indicare in maniera specifica i motivi del ricorso alla somministrazione di manodopera, richiedendo la norma indicata l'indicazione, solo generica, delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo che hanno reso necessario tale forma di lavoro richiamando altresì l'articolo 20, comma 4, d.lgs n. 276\03 . Lamenta inoltre che in caso di genericità delle ragioni giustificatrici indicate nel contratto di lavoro somministrato il d.lgs n. 276\03 prevede la costituzione di un rapporto in capo all'utilizzatore, richiamando, all'articolo 22, le ragioni che possono essere poste a base dell'assunzione a tempo determinato dal d.lgs n. 368\01. Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato che in tema di somministrazione di manodopera, anche la legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non è sufficiente per rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto stesso Cass. n. 20598\13 . Di tale circostanza la ricorrente non fornisce alcun elemento. Questa Corte ha poi chiarito, in analoga controversia Cass. ord. n. 1630\13 Cass. 15 luglio 2011, n. 15610 , che il D.Lgs. n. 276 del 2003, articolo 20, comma 1, stabilisce che il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto utilizzatore , che si rivolga ad altro soggetto somministratore , a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 4 e 5, mentre il precedente articolo 1, comma 3, prevede che un tale tipo di contratto può essere concluso a termine o a tempo indeterminato, con la specificazione, al comma 2 del citato articolo, che per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione dell'utilizzatore. L'articolo 20, comma 4, individua precise condizioni di liceità del ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato, mentre per la individuazione dei limiti quantitativi di utilizzazione dello stesso tipo contrattuale la norma rimanda ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in conformità alla disciplina di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, articolo 10. Non può pertanto ritenersi sufficiente, ai fini della validità del contratto di somministrazione a termine, la mera indicazione nella specie neppure chiarite delle generiche causali di cui all'articolo 20, comma 4, d.lgs n. 276\03 analoghe a quelle previste dal d.lgs n. 368\01 . Con riferimento all'apparato sanzionatone, è bene chiarire che lo schema di fondo che regolava le sanzioni dell'interposizione di manodopera è sostanzialmente sopravvissuto alla riforma introdotta dal legislatore con il D.Lgs. n. 276 del 2003. Infatti, la sanzione prevista per i ricorso alla somministrazione di lavoro al di fuori dei limiti previsti dalla legge cd. somministrazione irregolare è quella della imputazione del rapporto di lavoro direttamente all'utilizzatore della prestazione lavorativa. Ciò risulta espressamente dal D.Lgs. n. 276 del 2003, articolo 27, comma 1, in base al quale quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all'articolo 20 e articolo 21, comma 1, lett. a , b , c d ed e , il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 cod. proc. civ., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione . A tale sanzione prevista per la violazione delle condizioni di utilizzo della somministrazione di lavoro si affianca quella della nullità, contemplata per il caso di mancanza di forma scritta del contratto di somministrazione articolo 21, comma 4 . 4.- Con il quarto motivo la società denuncia la violazione degli artt. 420 e 112 c.p.c., oltre ad omessa valutazione delle conclusioni avversarie, punto decisivo della controversia. Lamenta che la sentenza impugnata, individuò la frase contenuta del ricorso cautelare l'interesse del T. a continuare a svolgere la propria attività di lavoro subordinato presso l'ASAP che gli consenta di continuare a percepire la retribuzione in godimento , come atto di impugnazione e di offerta della prestazione nella richiesta di accertamento, senza che tale frase fosse stata richiamata nelle conclusioni di merito, e nei successivi atti del processo, ove nulla venne dedotto circa l'eventuale nullità del termine apposto al contratto di lavoro, violando così il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed il disposto dell'articolo 420 c.p.c. Il motivo, oltre che inammissibile per la mancata produzione degli atti processuali indicati v. sopra , censura, senza svolgere adeguate contrarie argomentazioni, l'interpretazione della domanda compiuta dal giudice di merito e rimessa al suo prudente apprezzamento, nella specie non illogicamente ravvisata nella domanda di continuare a svolgere la propria attività di lavoro subordinato presso l'ASAP che gli consenta di continuare a percepire la retribuzione in godimento . 5. - Con il quinto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 22, comma 4, del d.lgs n. 276\03, in particolare quanto all'omessa impugnativa dell'atto di risoluzione del rapporto lavorativo. Lamenta che la norma citata richiama l'applicazione della disciplina sui licenziamenti individuali, che richiede articolo 3 L. n. 604\66 la necessità di una giusta causa o di un giustificato motivo per legittimare la risoluzione del rapporto. Non essendovi nel caso di specie stata una prosecuzione di fatto del rapporto. Il T. avrebbe dovuto eccepire l'illegittimità dell'apposizione del termine ovvero impugnare il licenziamento perché Intimato senza la forma scritta di cui all'articolo 2 L. n. 604\66. Anche tale motivo è infondato, posto che la più volte invocata disciplina sul contratto a tempo determinato, esclude che in ipotesi di risoluzione del contratto per lo spirare del termine, si abbia un licenziamento da impugnarsi nel termine di sessanta giorni di cui all'articolo 6 L. n. 604\66 Cass. 17.3.14 n. 6100 Cass. 21.5.07 n. 11741 . 7.- Con il sesto motivo l'ASAP denuncia la mancata applicazione dell'articolo 32 L. n. 183\10 per l'ipotesi di conversione del contratto di somministrazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ricorrendone la medesima ratio, avendo invece la Corte di merito condannatola al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal luglio 2005 alla data della sentenza di secondo grado, oltre interessi e rivalutazione dalle scadenze al saldo. Il motivo è fondato. Essendo stata, la sentenza impugnata, decisa il 10 novembre 2011, e dunque dopo l'entrata in vigore della L. n. 183\10 24.11.10 , non v'è dubbio che essa avrebbe dovuto applicare, quanto alle conseguenze patrimoniali conseguenti l'acclarata illegittimità dei contratti di somministrazione a termine de quibus, l'articolo 32 della legge in parola. Ed invero, come già rilevato da questa Corte Cass. n. 13404\13 , la L. n. 183 del 2010, articolo 23, comma 5 recita nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella l. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 8 . Il problema interpretativo è di stabilire se la formula casi di conversione del contratto a tempo determinato , riguardi anche i contratti di lavoro temporaneo di somministrazione. Ribadendo quanto osservato con la sentenza n. 1148 del 2013, deve ritenersi che l'articolo 32, comma 5 cit. riguardi anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, articolo 3, comma 1, lett a . Deve in primo luogo rilevarsi che l’articolo 32, comma 5 richiama l'istituto del contratto a tempo determinato in generale, non una o più regolamentazioni specifiche di tale contratto, come invece fa il comma 4 della medesima norma. Nel comma 4, il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento. Il quinto comma, al contrario, contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale. Si parla di casi di conversione del contratto a tempo determinato senza indicare normative di riferimento, nè aggiungere ulteriori elementi selettivi. La conseguenza è che per sapere se si rientra nell'ambito di applicazione della norma dettata dal comma 5, bisogna verificare la sussistenza di due sole condizioni la prima è che il contratto di lavoro deve essere a tempo determinato, la seconda è che si deve essere in presenza di un fenomeno di conversione. Il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo è previsto e regolato dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, che così lo definisce nell'articolo 3, comma 1 è il contratto con il quale l'impresa fornitrice assume il lavoratore a a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l'impresa utilizzatrice b a tempo indeterminato . 32. Quindi, la legge prevede due categorie di contratti per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato e a tempo indeterminato. Il contratto di lavoro temporaneo della prima categoria è espressamente qualificato dal legislatore come una forma di contratto di lavoro a tempo determinato. Rientra quindi nella categoria contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Anche la giurisprudenza europea conferma questa conclusione. La sentenza della CGE 11 aprile 2013, Della Rocca, ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo, costituita dal fatto che le parti stipulanti l'accordo quadro hanno espressamente previsto che esso si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro interinale . Da tale previsione si ricava che, anche per l'accordo quadro, e quindi per la direttiva che lo ha recepito, il contratto a termine che si accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del contratto a tempo determinato, tanto che il legislatore europeo, avendo intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che definisce una eccezione, in mancanza della quale l'accordo avrebbe coperto tale area. Se il legislatore europeo non avesse precisato ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte da parte di un'agenzia di lavoro interinale , la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un contratto di fornitura di lavoro interinale. A contrario deve ritenersi che, quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera, è quanto è accaduto con la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, che ha fatto indistintamente riferimento ai contratti a tempo determinato, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale. La sentenza impugnata va dunque sul punto cassata, con rinvio ad altro giudice al fine di accertare in concreto la misura risarcitoria dovuta, oltre che per la regolazione delle spese, ivi compreso il presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.