Lavoro subordinato in famiglia: chi comanda chi

Il parametro normativo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale.

Con la sentenza n. 18783/14, depositata il 5.9.2014, la Corte di Cassazione conferma il suo orientamento in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro subordinato. Lavorare con la sorella Luigina e Tecla, sorelle, hanno lavorato per oltre trent’anni nel negozio di parrucchiera intestato a Luigina, sino a quando, Tecla ha lamentato avanti il giudice del lavoro la natura subordinata della propria prestazione, con conseguente obbligo di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Dall’istruttoria espletata nel primo grado di giudizio non emergevano circostanze univoche con riguardo alla sussistenza della subordinazione. Ad esempio, facevano propendere per un rapporto di lavoro autonomo la gestione paritaria del negozio, tale da far immaginare che le sorelle fossero in società la prassi della divisione degli utili il normale prolungamento degli orari di lavoro di Tecla l’incompleta fruizione da parte della stessa Tecla dell’astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio ed il fatto che le competenze di estetica di Tecla avessero ampliato la clientela del salone. Al contrario, facevano propendere per un rapporto di lavoro subordinato La continuità della prestazione, la percezione di uno stipendio e non la divisione degli utili ed il fatto che fosse sempre Luigina, la titolare, ad occuparsi della formazione dei dipendenti. Considerate le predette circostanze i giudici di merito avevano escluso la sussistenza della subordinazione, in virtù della sostanziale pariteticità dell’impegno delle sorelle nella gestione quotidiana del negozio non vi era alcuna soggezione personale di Tecla al potere direttivo e disciplinare di Luigina. La Corte di Cassazione non riscontra alcun vizio nel convincimento dei giudici di merito ed indica come valutare le circostanze di fatto al fine di individuare il carattere della subordinazione. La soggezione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro è il criterio principe. L’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo è la soggezione personale del lavoratore al triplice potere del datore di lavoro, potere che, necessariamente, limita l’autonomia del lavoratore ed il suo inserimento nell’organizzazione aziendale. Tutti gli altri elementi costituiscono indici rivelatori di tale soggezione. L’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario preciso, la forma della retribuzione etc. non hanno natura decisiva, ma - considerati nel loro complesso - possono rivelare la volontà delle parti nell’instaurare un rapporto di lavoro subordinato. L’onere di dimostrare la sussistenza della subordinazione. Grava sul lavoratore, il quale dovrà dare prova dell’esistenza della sua soggezione al potere del datore di lavoro, mediante gli indici rivelatori della subordinazione, i quali verranno valutati complessivamente e non atomisticamente dal giudice. Non grava, invece, sul datore di lavoro l’onere di provare l’esistenza di un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato autonomo, parasubordinato o associazione in partecipazione . Nel caso di specie Tecla non ha dimostrato la propria soggezione al potere della sorella attraverso idonei indici ed è, invece, emerso come la gestione del negozio fosse nelle mani di entrambe le sorelle, che si impegnavano in egual misura nell’attività commerciale. Di conseguenza non è stata rilevata alcuna subordinazione. Il lavoro subordinato in famiglia. Secondo la Suprema Corte, sebbene le due sorelle avessero cominciato a lavorare insieme sin da molto giovani, non rileva la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative tra persone legate da vincoli di parentela o affinità, non essendo mai stata introdotta la circostanza della convivenza tra le due sorelle. Tuttavia, ciò non significa che operi ipso iure una presunzione contraria se non c’è convivenza, il rapporto di lavoro in ambito familiare si presume a titolo oneroso e, quindi, esso ha natura subordinata. Infatti, anche con riferimento al rapporto di lavoro in ambito familiare, la parte che ha interesse a far valere la subordinazione deve dimostrare l’onerosità della prestazione salvo presunzione e la soggezione all’altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare, soggezione che non va confusa con il timore reverenziale nei confronti del familiare In assenza di questi elementi, non vi è subordinazione. La sorella maggiore, tutt’al più, comanda solo a casa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 giugno – 5 settembre 2014, n. 18783 Presidente Roselli – Relatore Tricomi Svolgimento del fatto 1. La Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza n. 657/08, decidendo sull'impugnazione proposta da B.L. nei confronti di B.T. , avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Firenze, accoglieva l'impugnazione e rigettava la domanda di B.T. . 2. Il Tribunale, in accoglimento della domanda di B.T. , aveva affermato la natura subordinata della collaborazione da quest'ultima resa nella attività di parrucchiera di B.L. nel periodo dal luglio 1963 al luglio 1999 e aveva condannato quest'ultima a corrispondere a B.T. la complessiva somma di Euro 94.987,58, oltre rivalutazione ed interessi dall'agosto 2003 sulla somma capitale di Euro 54.712,26, nonché a versare i contributi previdenziali non prescritti. 3. Per la cassazione della sentenza resa dalla Corte d'Appello ricorre B.T. , prospettando cinque motivi di ricorso. 4. Resiste con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un motivo, B.L. . Motivi della decisione 1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza di appello. 2. Con il primo motivo di ricorso, assistito dal prescritto quesito di diritto, è dedotta violazione e/o erronea interpretazione e/o applicazione degli artt. 434 e 414 cpc. Insufficienza e carenza di motivazione. Inammissibilità dell'appello. Essa ricorrente nel costituirsi nel giudizio di appello aveva eccepito l'inammissibilità dell'impugnazione per carenza degli specifici motivi di appello , come previsto dal combinato disposto degli artt. 434 e 414 cpc. L'appellante si sarebbe limitata ad una generica, seppure estesa, interpretazione della sentenza di cui chiedeva la riforma. 2.1 Il motivo non è fondato. Occorre premettere che la valutazione dell'osservanza dell'onere di specificità dei motivi di impugnazione, di cui agli artt. 342 e 434 cod. proc. civ. - nella formulazione ratione temporis applicabile, anteriore alle modifiche di cui al d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 - non può essere effettuata direttamente dalla Corte di cassazione, spettando al giudice di merito interpretare la domanda, mentre il giudice di legittimità può solo indirettamente verificare tale profilo avuto riguardo alla correttezza giuridica del procedimento interpretativo e alla logicità del suo esito, senza poter ricondurre la censura nell'ambito degli errores in procedendo , mediante interpretazione autonoma dell'atto di appello. Nella specie, la Corte d'Appello, con congrua motivazione, che fa corretta applicazione delle disposizioni invocate dalla ricorrente, ha preso in esame la censura di inammissibilità e l'ha esclusa, sia perché il primo motivo, sia pure molto nutrito era chiaramente diretto a confutare la natura subordinata delle prestazioni fornite da B.T. nel negozio di parrucchiere della sorella, sia perché ben comprensibili e distinte erano le altre censure, risultando, quindi, che le argomentazioni prospettate dall'appellante erano idonee a contrastare, in ragione della loro specificità, la motivazione della decisione impugnata. 3. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle prove circa l'elemento della subordinazione, fondamentale per la decisione della causa. Violazione e/o erronea interpretazione e/o applicazione dell'art. 2094 cc, nonché dell'art. 2247 cc. Rileva la ricorrente come contraddittoriamente la Corte d'Appello, da un lato affermava non provata l'associazione in partecipazione, dall'altro escludeva la natura subordinata del rapporto e riconosceva la natura societaria dello stesso. Ad avviso della ricorrente dall'istruttoria erano emersi gli elementi fondamentali della subordinazione, come evidenziati dal giudice di primo grado presenza giornaliera, orario, mansioni, potere decisionale di B.L. nella determinazione delle linee fondamentali di svolgimento del rapporto di lavoro culminata nella decisione di interrompere unilateralmente il rapporto, circostanza pacifica non presa in considerazione della Corte d'Appello. Le risultanze della prova per testi, inoltre, contraddicevano la ritenuta sostanziale pariteticità di impegni e di gestione del negozio testi C.R. , teste P.I. , teste S.C. , teste Ca.Mi. . Non poteva riconoscersi al rapporto in esame la natura societaria proprio in ragione delle risultanze istruttorie, dato la B.T. non apportava alcunché, al di fuori dell'attività lavorativa, né vi era rischio d'impresa a carico della stessa. 4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2094, 2697 e 2729 cc e all'art. 115 cpc. La statuizione con la quale la Corte d'Appello che ha affermato che per contrastare la natura subordinata del rapporto di lavoro non è necessario da parte del presunto datore di lavoro provare l'esistenza di una specifica alternativa figura di rapporto di lavoro autonomo e professionale, contrasta con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale in presenza di una prestazione lavorativa si presume la sussistenza del rapporto di lavoro oneroso, subordinato e a tempo indeterminato. In tal modo sarebbe stato invertito l'onere della prova 5. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 cc, dell'art. 115 cpc nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all'art. 360, n. 4, cpc. La Corte d'Appello, dando luogo ad error in procedendo , non ha tenuto conto della presunzione di onerosità e subordinazione del rapporto di lavoro tra le parti in presenza di una prestazione lavorativa svolta e del mancato inquadramento della stessa in altra o diversa tipologia di rapporto di lavoro rispetto al rapporto di lavoro subordinato. 5.1. I motivi secondo, terzo e quarto, assistiti dal prescritto quesito di diritto, devono essere trattati unitariamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati. 5.2. La controversia investe la natura del rapporto di lavoro, con riguardo all'attività di parrucchiere, instauratosi tra B.L. e B.T. , tra loro sorelle. La ricorrente che assume la natura subordinata del rapporto di lavoro, si duole, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, del riparto dell'onere della prova e della valutazione delle risultanze istruttorie. Per un compiuto apprezzamento delle censure è opportuno chiarire la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d'Appello, esclude che il presunto datore di lavoro offrire la prova di una diversa qualificazione del rapporto di lavoro e che, invece, deve essere verificata la sussistenza degli indicatori della subordinazione alla luce dell'istruttoria svolta. La Corte d'Appello non statuisce sulla sussistenza di una società tra le due sorelle, ma, solo in relazione alla mancanza degli indici della subordinazione, afferma che dalle risultanze istruttorie emergeva una sostanziale pariteticità di impegni e di gestione quotidiana del negozio, per cui, al di là della inammissibilità del giudizio da parte dei testi, si mostrava plausibile la sensazione palesata dalla dipendente C. e dalla cliente Ba. , che le due sorelle fossero in società . Afferma, quindi, che in carenza della prova della sottoposizione al potere organizzativo e disciplinare, elemento cruciale della subordinazione, si doveva escludere la natura subordinata della prestazione lavorativa di B.T. . Pertanto le censure relative alla mancanza di indici della sussistenza di un rapporto societario, quale la mancanza di rischio di impresa in capo alla ricorrente, non colgono la ratio decidendi della sentenza e sono inammissibili. 5.3 La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo più volte di esaminare le problematiche che vengono qui in rilievo, affermando quanto segue. L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore - che necessita della prova di idonei indici rivelatori, incombente allo stesso lavoratore - al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale. Pertanto, gli altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, ed eventuali altri, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori, complessivamente considerati e tali da prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto l'essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante la valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali. La relativa valutazione di fatto di tali elementi è rimessa al giudice del merito, con la conseguenza che essa, se risulta immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove, invece, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto cfr., Cass., n. 4171 del 2006 . Ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa , caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se immune da errori di diritto e da vizi logici cfr., Cass., n. 1833 del 2009 . In caso di domanda diretta ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, qualora la parte che ne deduce l'esistenza non abbia dimostrato la sussistenza del requisito della subordinazione - ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall'emanazione di ordini specifici oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione della prestazione lavorativa - non occorre, ai fini del rigetto della domanda, che sia provata anche l'esistenza del diverso rapporto dedotto dalla controparte nella specie, di associazione in partecipazione , dovendosi escludere che il mancato accertamento di quest'ultimo equivalga alla dimostrazione dell'esistenza della subordinazione, per la cui configurabilità è necessaria la prova positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per effetto della carenza di prova su una diversa tipologia di rapporto cfr., Cass., n. 2728 del 2010 . 5.4. Alla luce dei richiamati principi di diritto, la sentenza della Corte d'Appello è corretta ed adeguatamente motivata. Occorre premettere che, pur svolgendosi l'attività lavorativa in questione in ambito familiare, non viene in rilievo nella specie, quanto all'onere della prova la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità, non venendo introdotta la circostanza di una convivenza. Ciò non significa, tuttavia, che operi ipso iure una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, e, pertanto, la parte che faccia valere diritti derivanti dal prospettato rapporto di subordinazione ha comunque l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione, tenuto conto, altresì, che per l'individuazione del datore di lavoro, al criterio dell'apparenza del diritto il giudice deve preferire il criterio dell'effettività del rapporto, in quanto la subordinazione è la soggezione del lavoratore all'altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare. Ciò, in particolare nella fattispecie in esame, tenuto conto che la prestazione lavorativa presso un esercizio di parrucchiere, della cui licenza nella specie era titolare B.L. , può svolgersi sia a titolo di lavoro autonomo che subordinato, senza che operino presunzioni a favore dell'uno o dell'altro inquadramento giuridico, dovendosi verificare in concreto la connotazione assunta dal rapporto di lavoro. Dunque l'onere della prova della subordinazione, come ritenuto dalla Corte d'Appello, grava sulla lavoratrice, nella specie B.T. , e tale onere della prova non può essere invertito, come vorrebbe l'odierna ricorrente, facendosi carico al datore di lavoro di provare la sussistenza di un diverso rapporto di lavoro, nella specie associazione in partecipazione. La Corte d'Appello ha ripercorso analiticamente le deposizioni testimoniali raccolte in primo grado testi C. , P. , Ba. , S. , Ca. , Pe.Il. ed Em. , ponendo in relazione, ai fini dell'attendibilità, il contenuto delle dichiarazioni stesse al periodo temporale coperto e a quello oggetto della domanda, come si evince dall'articolato excursus delle stesse riportato nella motivazione. Ne emergono circostanze non univoche con riguardo alla sussistenza di subordinazione percezione stipendio, circostanza riferita alla teste C. da B.T. , svolgimento dei trattamenti estetici e gestione paritaria del negozio sempre riferita, ma in via diretta, dalla teste C. gestione da parte di Luigina della formazione dell'apprendista riferita dalla teste P. pagamento stipendio a B.T. come riferito dalla teste Sottili, avendolo sentito dalla Luigina divisione di incassi ed utili riferiti come prassi da Pe.Il. ed Em. , figlia e marito di B.L. svolgimento da parte di B.T. di tutte la mansioni come riferito dai testi C. e S. da parte della T. di tutte le mansioni , come dedotto dalla Corte d'Appello, che ha affermato essere arduo dedurre la subordinazione nell'attività di B.T. , almeno con riguardo ai periodi coperti dalla prova raccolta, anche se potrebbe ipotizzarsi che nei primi anni successivi all'ingresso 1963 della quindicenne B.T. nell'attività della sorella maggiore le cose siano state in parte diverse. Al contrario dalle risultanze testimoniali emerge una sostanziale pariteticità di impegni e di gestione quotidiana del negozio . La Corte rilevava, altresì, come non vi era prova del pagamento periodico, brevi manu, in contanti o con assegni, della mercede settimanale o mensile a B.T. . Nel senso di un'assenza di subordinazione andava anche il normale prolungamento degli orari di lavoro e la incompleta fruizione dell'astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio. La ricorrente riprende le testimonianze e ne offre una propria lettura contrapposta a quella del giudice di secondo grado, affermando che la Corte d'Appello, si deve sottintendere pervenendo a diverse conclusioni, non ne aveva tenuto alcun conto. Generica è la censura relativa alla cessazione del rapporto di lavoro, non specificata nelle sue modalità fattuali e non correlata alle proprie difese nei precedenti gradi di giudizio. In proposito va osservato il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. n. 17097 del 2010, 8797 del 2011 . La motivazione della sentenza è coerente con questi principi, sia per l'approfondito ed oggettivo esame delle risultanze probatorie,riportate in modo articolato, nella loro complessità, sia per la ragionata valutazione delle stesse, che non è inficiata dalla prospettazione dell'odierna ricorrente che, nella sostanza, chiede un riesame nel merito della vicenda. Conclusivamente la Corte d'Appello, dimostrando una compiuta valutazione, attraverso un iter logico giuridico corretto e congruo, della fattispecie e delle risultanze istruttorie, quest'ultime esaminate analiticamente ed inserite nella necessaria ricostruzione complessiva di una vicenda riguardante un amplissimo arco temporale la domanda atteneva al periodo luglio 1963-luglio 1999 , dava atto che la prosecuzione per moltissimi dei trentasei anni di rapporto di una situazione di evidente interscambiabilità nella gestione del negozio senza dimenticare la contestuale esistenza per B.T. dell'espletamento formale, ma non solo, del lavoro agricolo presso il fondo paterno, punto quest'ultimo su cui non vertono i motivi dell'odierno ricorso , determinante l'autonomia reciproca tra B.T. e B.L. nel servizio alla clientela, nonché la fornitura successiva da parte di B.T. delle sue competenze estetiche che, il dato appariva indubitabile, avevano arricchito l'esercizio di nuove prospettive di allargamento dei servizi e della clientela, erano importanti elementi che, in carenza della prova della sottoposizione al potere organizzativo e disciplinare, là dove non sussiste quindi l'elemento cruciale della subordinazione, portavano ad escludere e a non ricostruire attraverso i c.d. indici sussidiali tale natura subordinata della prestazione lavorativa resa da B.T. . 6. Con il quinto motivo di impugnazione è prospettata omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Espone al ricorrente che dedurre dalla prova della non subordinazione. La ricorrente deduce la contraddittorietà delle argomentazioni relative alla mancanza di subordinazione e l'aver posto a carico di essa ricorrente l'onere della prova. Il motivo è inammissibile in quanto privo del quesito di sintesi sia pure per come. Ed infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell'art. 366 bis cpc, per le cause ancora ad esso soggette, è inammissibile il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l'indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito ex multis, Cass. n. 24255 del 2011 . 7. Il ricorso principale deve essere rigettato. 8. Con l'unico motivo del ricorso incidentale è prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cpc. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte d'Appello senza indicare il giusto motivo in violazione del principio della soccombenza ha disposto la compensazione delle spese di giudizio. 8.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. La Corte d'Appello ha compensato le spese di entrambi i giudizi di merito il giudizio di primo grado veniva introdotto nel 2001, v. pag. 1 del ricorso principale, non contestato sul punto in sede di controricorso , che hanno avuto esiti differenti, in ragione della particolarità della vicenda. Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, i giusti motivi di compensazione totale o parziale delle spese previsti dall'art. 92 cpc da indicare esplicitamente in motivazione per i procedimenti instaurati dal 1 marzo 2006, a seguito della sostituzione del secondo comma di detta norma per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. a, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e succ. modificata ed integrata possono essere evincibili anche dal complessivo tenore della sentenza, con riguardo alla particolare complessità sia degli aspetti sostanziali che processuali, ma se nessuno di tali presupposti sussiste deve applicarsi il generale principio della condanna alle spese della parte soccombente, non potendo trovare luogo l'esercizio del potere discrezionale giudiziale di compensazione Cass., n. 7766 del 2010 . Nella specie, la Corte ha fatto corretta applicazione del richiamato principio per entrambi i gradi di giudizio, atteso che come si rileva dall'esame della sentenza, al giudice di appello venivano sottoposte plurime questioni giuridiche con riguardo ad una fattispecie complessa, adeguatamente sintetizzate nell'espressione peculiarità della vicenda , posta a fondamento della disposta compensazione delle spese. 9. Il ricorso incidentale deve essere rigettato. 10. Le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese di giudizio.