Accertato il licenziamento illegittimo, come stabilire quanto è dovuto al lavoratore?

La sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto dovuto al lavoratore, a seguito dell’accertamento della illegittimità del licenziamento, costituisce valido titolo esecutivo che non richiede ulteriori interventi del giudice per la quantificazione del credito, sicché la reintegrazione e la condanna al pagamento di un determinato numero di mensilità oppure delle retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto non può chiedere in separato giudizio che tale condanna sia espressa in termini monetari più precisi. In questi casi, il requisito della liquidità nell’art 474 c.p.c. è sufficiente a determinare il credito attraverso un calcolo aritmetico sulla base di elementi certi e positivi contenuti tutti nel titolo fatto valere, da identificarsi nei dati, assunti dal giudice come certi oggettivamente, già determinati quantitativamente, perché così presupposti dalle parti e pertanto acquisiti al processo, e non da elementi esterni ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17537, depositata il 1° agosto 2014. Il caso. Una società proponeva opposizione avverso l’atto di precetto notificato da un lavoratore per il pagamento di una somma a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione e di risarcimento del danno, in base alla sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto l’illegittimità del licenziamento. La società eccepiva l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’atto di precetto per l’inesistenza dei presupposti per procedere ad esecuzione contestava inoltre che la somma era determinabile mediante semplice calcolo matematico rilevava che la sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento non era ancora passata in giudicato. Il Tribunale rigettava l’opposizione. Per la cassazione della decisione proponeva ricorso la società soccombente, lamentando la violazione dell’art. 474 c.p.c. titolo esecutivo , per non aver la sentenza impugnata considerato la nullità del precetto opposto, perché promosso in virtù di un titolo che non conteneva alcun elemento utile ai fini di una precisa e certa quantificazione del credito vantato. La sentenza di condanna del datore è titolo esecutivo E’ pacifico in sede di legittimità che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto dovuto al lavoratore a seguito dell’accertamento della illegittimità della risoluzione datoriale del rapporto di lavoro costituisce valido titolo esecutivo che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti alla esatta quantificazione del credito, sicché la reintegrazione e la condanna al pagamento di un determinato numero di mensilità oppure delle retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto non può chiedere in separato giudizio che tale condanna sia espressa in termini monetari più precisi , quindi, in questi casi, il requisito della liquidità nell’art 474 c.p.c. è sufficiente a determinare il credito attraverso un mero calcolo aritmetico sulla base di elementi certi e positivi contenuti tutti nel titolo fatto valere, da identificarsi nei dati, assunti dal giudice come certi oggettivamente, già determinati quantitativamente, perché così presupposti dalle parti e pertanto acquisiti al processo, e non da elementi esterni ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna, in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo Cass., n. 9693/2009 . anche quando non vi sia la precisa indicazione dell’ammontare della somma. Inoltre, è altrettanto pacifico che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione, ovvero di quanto dovuto al lavoratore a seguito del riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento, costituisce valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l’omessa indicazione del preciso ammontare complessivo della somma oggetto dell’obbligazione, la somma stessa sia quantificabile per mezzo di un numero di calcolo matematico, sempre che, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all’esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l’oggetto, i dati per acquisire tale necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni, non desumibili da esso, ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo. Ne consegue che, se per la determinazione dell’importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, il creditore può legittimamente fare ricorso al procedimento monitorio, nel cui ambito la sentenza è utilizzabile come atto scritto, dimostrativo dell’esistenza del credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti, ma non può, invece, attivare l’esecuzione Cass., n. 2816/2011 . Si rimandava ad elementi estranei al titolo esecutivo. Nel caso di specie, dal titolo esecutivo, non poteva evincersi, neppure attraverso un calcolo aritmetico, l’entità della somma oggetto di condanna, non essendo sufficiente l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il credito era liquido perché determinabile in base alla semplice lettura delle buste paga del lavoratore, al momento del licenziamento . Non contiene tale affermazione nessun accertamento della circostanza, semplicemente rinvia alle buste paga del dipendente al momento del licenziamento, ossia a elementi di fatto estranei al titolo esecutivo. Alla stregua di quanto affermato, il Supremo Collegio cassa la sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, decide nel merito accogliendo l’opposizione al precetto proposta dalla società.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 aprile – 1 agosto 2014, numero 17537 Presidente Lamorgese – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Messina, la R. s.p.a. proponeva opposizione avverso l'atto di precetto notificato da Z.A. per il pagamento della somma di €.64.665,85 a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione e di risarcimento del danno, oltre interessi legali, intimato in base alla sentenza numero 2172/02 del Tribunale di Messina, che aveva riconosciuto l’illegittimità del licenziamento con le consequenziali statuizioni di condanna. La società eccepiva l'inammissibilità e l’improcedibilità dell'atto di precetto per l'inesistenza dei presupposti per procedere ad esecuzione contestò che la somma fosse determinabile mediante semplice calcolo matematico rilevò che la sentenza dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento non era ancora passata in giudicato, c contestò, infine, che spettassero al dipendente licenziato le retribuzioni per il periodo successivo all’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra avanzò anche eccezione di legittimità costituzionale in proposito, deducendo infime la erroneità della somma ingiunta, chiedendo il riconoscimento della nullità o infondatezza del precetto. Costituendosi in giudizio, lo Z. precisò che l'opzione in favore dell'indennità era stata da lui comunicata con lettera del 14.11.02 contestò tutte le doglianze attoree sulla liquidità del titolo e sulla sussistenza dei presupposti dell’azione esecutiva deducendo che le somme corrispondevano alle indicazioni sulla paga percepita, secondo quanto dalla stessa società comunicato e ammesso, e che il diritto alla indennità sostitutiva ed alle retribuzioni successive doveva essere riconosciuto perché fondato sul momento in cui era stata esercitata l'opzione. Chiedeva pertanto il rigetto dell’opposizione, avanzando domanda risarcitoria per responsabilità aggravata. Il Tribunale di Messina, con sentenza depositarla il 5 dicembre 2007, rigettava l’opposizione, condannando la società R.F.I. al pagamento delle spese. Per la cassazione propone ricorso quest'ultima, affidato a quattro motivi poi illustrati con memoria. Resiste lo Z. con controricorso. Motivi della decisione 1. -Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 474 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata considerato la nullità del precetto opposto, in quanto promosso in virtù di un asserito titolo che non conteneva alcun elemento utile ai fini di una precisa e certa quantificazione del credito vantato. 1.1- Il motivo è fondato ed assorbe l'intero ricorso Deve infatti rilevarsi come sia pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento dì quanto dovuto al lavoratore a seguito dell’accertamento della illegittimità della risoluzione datoriale del rapporto di lavoro costituisce valido titolo esecutivo che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti alla esatta quantificazione del credito, sicché la reintegrazione c la condanna al pagamento di un determinato numero di mensilità oppure delle retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto non può chiedere in separato giudizio che tale condanna sia espressa in termini monetari più precisi. In tal caso, ad integrare il requisito della liquidità, richiamato nell'art. 474 cod. proc. civ., è infatti sufficiente che alla determinazione del credito possa pervenirsi per mezzo di un mero calcolo aritmetico sulla base di elementi certi e positivi contenuti tutti nel titola fatto valere, i quali sono da identificare nei dati che, pur se non menzionati in sentenza, sono stati assunti dal giudice come certi e oggettivamente già determinati, anche nel loro assetto quantitativo, perché cosi presupposti dalle parti e pertanto acquisiti al processo, e non da elementi esterni ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna, in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo Cass. numero 9693/09, Cass. numero 10164/10, Cass. numero 22427/04 . Più in particolare questa Corte ha chiarito Cass ord. 5.2.11 numero 2816 che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione ovvero di quanto dovuto al lavoratore a seguito del riconoscimento dell'illegittimità del licenziamento costituisce valido titolo esecutivo per la realizzazione del credito anche quando, nonostante l'omessa indicazione del preciso ammontare complessivo della somma oggetto dell’obblizione, la somma stessa sia quantificabile per mesco di un mero calcolo matematico, sempreché, dovendo il titolo esecutivo essere determinato e delimitato, in relazione all'esigenza di certezza e liquidità del diritto che ne costituisce l'oggetto, i dati per acquisire tale necessaria certezza possano essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni non desumibili da esso, ancorché presenti nel processo che ha condotto alla sentenza di condanna, in conformità con i principi che regolano il processo esecutivo, Ne consegue che, se per la determinazione dell'importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, il creditore può legittimamente fare ricorso al procedimento molitorio, nel cui ambito la sentenza è utilizzabile come atto scritto, dimostrativo dell’esistenza del credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti, ma non può, invece, attivare l'esecuzione. Ciò premesso occorre rimarcare che nella specie non può dubitarsi che dal titolo esecutivo non poteva evincersi, neppure attraverso un calcolo aritmetico, l’entità della somma oggetto di condanna, non essendo certamente a tal fine sufficiente la telegrafica affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il credito era liquido perché determinabile in base alla semplice lettura della buste paga del lavoratore, al momento del licenziamento , che non contiene alcun accertamento della circostanza, rinviando piuttosto alle buste paga del dipendente al momento del licenziamento, e dunque ad elementi di fatto estranei al titolo esecutivo. 2. - Il motivo va dunque accolto, restando assorbiti i restanti. La sentenza impugnata deve dunque cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti. La causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, con l’accoglimento dell’opposizione al precetto proposta dalla R. s.p.a. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la semenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'opposizione al precetto proposta dalla R. s.p.a. Condanna lo Z. al pagamento delle spese del giudizio dinanzi al Tribunale, che liquida in complessivi €.1.420,00 per compensi oltre €.100,00 per esborsi, oltre accessori di legge, ed alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.2.600,00 per compensi, oltre accessori di legge.