Concorso pubblico del Ministero dell’Economia: off-limits per gli extracomunitari

In ballo l’assunzione di cinque disabili, ma una cittadina albanese, invalida e regolarmente soggiornante in Italia, viene esclusa dalla partecipazione. Legittime le limitazioni imposte nel bando.

Come gestire l’accesso al lavoro, evitando discriminazioni tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari? A dare una risposta dovrà essere il legislatore – sempre che abbia modo, tempo e voglia di affrontare l’argomento –, per ora, però, il quadro normativo è chiaro sul fronte del lavoro privato, vi è piena parità di trattamento tra italiani, comunitari ed extracomunitari in merito agli impieghi pubblici, invece, bisogna far riferimento alla particolarità e alla delicatezza delle funzioni svolte al servizio dello Stato, e ciò rende legittima la preferenza per i cittadini italiani. Così, in maniera netta, viene respinta la richiesta di una cittadina albanese – regolarmente soggiornante in Italia, invalida con totale e permanente inabilità lavorativa e iscritta nell’elenco degli invalidi civili – di poter prendere pare a un concorso del Ministero dell’Economia, finalizzato alla assunzione a tempo indeterminato di cinque lavoratori disabili Cassazione, sentenza n. 18523, sez. Lavoro, depositata oggi . Concorso. Casus belli la scelta del Ministero di riservare la partecipazione al concorso ai soli cittadini italiani e comunitari . Piccata la reazione di una cittadina albanese, regolarmente soggiornante in Italia , che ha scelto di adire le vie legali, considerando discriminatorio il comportamento del Ministero e puntando a prendere parte alla selezione, in condizioni di parità con i cittadini italiani . Ma la domanda della donna si rivela un buco nell’acqua prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, difatti, le scelte del Ministero vengono considerate corrette. Battaglia chiusa? Assolutamente no! Difatti, la donna sceglie di ricorrere in Cassazione, sostenendo la tesi del riconoscimento al cittadino extracomunitario del pieno godimento dei diritti in materia civile , e, quindi, della piena parità di trattamento e dell’ uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai lavoratori italiani . Seguendo questa linea di pensiero, conclude la donna, vi è, per lo Stato italiano, normative alla mano, l’obbligo della parità di trattamento per ciò che riguarda l’accesso al lavoro sia nel settore pubblico sia nel settore privato . Pubblico impiego. Di fronte a una vicenda così delicata – anche tenendo presente che il concorso, come detto, è relativo alla assunzione di cinque lavoratori disabili –, i giudici del ‘Palazzaccio’ forniscono una carrellata dei riferimenti normativi più attuali, ma, allo stesso tempo, richiamano una propria presa di posizione, ossia una pronunzia del 2006 in cui è stato affermato che il diritto positivo esprime la regola dell’esclusione dello straniero extracomunitario dal lavoro pubblico Tale prospettiva viene confermata, anche di fronte alle obiezioni mosse dalla cittadina albanese, pur nella consapevolezza dell’evoluzione sociale che porta alla tendenziale omogeneizzazione, a fini giuridici, delle etnie e delle cittadinanze, ed alla progressiva attenuazione della rilevanza dell’appartenenza nazionale a scapito di organismi sovranazionali . Punto di riferimento sono le disposizioni normative che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo svolgimento di determinate attività . E comunque, concludono i giudici, diversamente da quanto avviene in tema di provvidenze assistenziali , sul fronte dell’ accesso al lavoro è lasciata al legislatore una più ampia possibilità di contemperare opposte esigenze . Ciò significa che con riguardo agli impieghi pubblici trova spazio la valutazione della particolarità e delicatezza della funzione svolta alle dipendenze dello Stato , e, in particolare, nel caso in esame, del Ministero dell’Economia, che gestisce uno degli aspetti peculiari e individualizzanti della politica nazionale . Nessuna possibilità di accoglimento, quindi, dell’istanza della cittadina albanese, soprattutto in assenza di un principio generale di ammissione dello straniero non comunitario al lavoro pubblico .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 giugno – 2 settembre 2014, numero 18523 Presidente Macioce – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo A.T., cittadina albanese regolarmente soggiornante in Italia, invalida con totale e permanente inabilità lavorativa iscritta nell'elenco degli invalidi civili di cui all'art. 8 comma 2 della L. numero 68199 dal 31512005, proponeva ricorso al Tribunale di Firenze ai sensi dell'art. 44 del D.lgs. numero 286 del 1998, dell'art. 4 del D.lgs. numero 215 del 2003 e dell'articolo 702 bis c.p.c. , chiedendo che fosse accertata la natura discriminatoria del comportamento tenuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che aveva indetto un concorso con avviso del 30/11/2011 per l'assunzione a tempo indeterminato di cinque lavoratori disabili per la copertura dei posti vacanti presso gli uffici dell'Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, riservando la partecipazione ai soli cittadini italiani e comunitari. Chiedeva pertanto di ordinare al Ministero di cessare il comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti, modificando l'avviso in oggetto nella parte in cui non consentiva la sua partecipazione alla selezione in condizioni di parità con i cittadini italiani e di fissare nuovo termine per la presentazione delle domande di ammissione. Il Tribunale di Firenze con ordinane del 20/2/2012 rigettava il ricorso e il gravame veniva respinto dalla Corte d'appello di Firenze con la sentenza numero 65 del 2013. Per la cassazione di tale sentenza A. T. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c. hanno resistito con controricorso il Ministero dell'economia e delle finanze, nonché l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, quale successore dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Motivi della decisione I. Sintesi dei motivi di ricorso Il ricorso è affidato a cinque motivi. 1. Come primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 38 del D.lgs. numero 165 del 2001. Sostiene che il riferimento operato dalla disposizione ai soli cittadini comunitari al fine dell'accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale, troverebbe la sua ragione storica nell'esigenza da parte dell'Italia di adempiere all'obbligo comunitario di garantire la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 54 TFUE, ma non avrebbe il significato di escludere i lavoratori extracomunitari, come sarebbe stato ribadito dalla Corte costituzionale nell'ordinanza numero 139 del 2011. 2. Come secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 3 e 4 della Costituzione, degli articoli 2, 27 e 43 del D.lgs. numero 286 del 1998 e dell'art. 3 del D.lgs. numero 215 del 2003. Sostiene che la decisione della Corte d'appello si porrebbe in contrasto con l'articolo 2 del D.lgs. numero 286 citato, che, in particolare al comma 3, espressamente riconosce al cittadino extracomunitario il pieno godimento dei diritti in materia civile e recepisce la convenzione OIL numero 143 del 24 giugno 1975. La Corte costituzionale del resto con la sentenza numero 454 del 1998 avrebbe già affermato la piena parità di trattamento e l'uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai lavoratori italiani e l'art. 3 del D.lgs. numero 215 del 2003, attuativo della Direttiva numero 43 del 2000, includerebbe l'obbligo della parità di trattamento per ciò che riguarda l'accesso al lavoro sia nel settore pubblico nel settore privato. Ribadisce che gli artt. 3 e 4 della Costituzione si applicano a tutti i cittadini, intesi come persone. 3. Come terzo motivo lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 della convenzione OIL numero 143 del 1975, ratificata in Italia con L. numero 158 del 1982 e richiamata dall'art. 2 del D.lgs. numero 286 del 1998, che garantisce a tutti i lavoratori parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani. Argomenta che la normativa internazionale costituisce un parametro al quale occorre adeguare l'interpretazione delle norme interne che incidono sulla condizione giuridica dello straniero. 4. Come quarto motivo lamenta omessa insufficiente e contraddittoria motivazione addebitando alla corte d'appello di non aver motivato in ordine alla violazione dell'articolo 27 punto g della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. II. Esame dei motivi di ricorso I quattro motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto sono connessi. 1. La questione se il requisito della cittadinanza per gli impieghi pubblici debba ritenersi abrogato, fatta eccezione per gli impieghi costituiti per lo svolgimento di funzioni pubbliche essenziali, oggetto di causa, è stata già affrontata e risolta in senso negativo nella sentenza di questa Corte Sez. L, numero 24170 del 2006. In quella sede, la Corte ha affermato che il diritto positivo esprime la regola dell'esclusione dello straniero extracomunitario dal lavoro pubblico, con salvezza delle eccezioni previste dalla legge, regola non sospettabile di illegittimità costituzionale. A tale conclusione occorre dare continuità, pur nella consapevolezza dell'evoluzione sociale che porta alla tendenziale omogeneizzazione a fini giuridici delle etnie e cittadinanze ed alla progressiva attenuazione della rilevanza dell'appartenenza nazionale a scapito di organismi sovranazionali, dovendosi prendere atto che essa è frutto di una scelta politica tutt'ora espressa nella legislazione vigente, che non contrasta con la normativa nazionale ed i principi sovranazionali richiamati dalla parte ricorrente. 2. La norma da cui occorre prendere le mosse è l'art. 38 del D.lgs. numero 165 del 2001, che nel testo originario ai primi due commi prevedeva quanto segue 1. I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, numero 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1 . La disposizione estendeva quindi l'accesso agli impieghi presso le pubbliche amministrazioni ai cittadini comunitari, salvo, per questi ultimi, le eccezioni che sono state previste dall'art. 2 del DPCM numero 174 del 1994. 3. La disposizione si coordina con il comma 13 del successivo art. 70, a mente del quale In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, numero 487 , e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36 , salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti . Tale D.P.R. 9 maggio 1994, numero 487 Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi all'art. 2 comma 1 numero 1 prevede poi che possono accedere agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni i cittadini italiani, specificando poi che tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti alla Unione europea, fatte salve le eccezioni di cui al D.P.C.M. 7 febbraio 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 1994, serie generale numero 61 . Le norme fin qui indicate si applicano anche ai cittadini extracomunitari e agli apolidi che abbiano ottenuto in Italia il riconoscimento dello status di rifugiato l'art. 25, comma 2 D.lgs. 19 novembre 2007, numero 251 consente infatti al titolare dello status di rifugiato l'accesso al pubblico impiego, con le modalità e le limitazioni previste per i cittadini dell'Unione europea. Il coordinato disposto dalle disposizioni richiamate supera, a seguito dei vincoli imposti dalla normativa comunitaria, la più restrittiva previsione contenuta nel D.P.R. 1010111957, numero 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, che all'ars. 2 pone la cittadinanza italiana come requisito generale per l'accesso agli impieghi civili dello Stato, senza riferimento ai cittadini dell'UE, ma mantiene l'esclusione per gli stranieri extracomunitari, che non vengono contemplati tra i legittimati. 4. Sull'art. 38 sopra riportato è intervenuta la L. 6 agosto 2013, numero 97, recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea Legge Europea 2013 , che con l' art. 7, comma 1, lett. a , ne ha modificato il I comma nei termini che seguono I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale . La stessa legge ha aggiunto il comma 3 bis, che prevede che le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo così ulteriormente modificata la dizione permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo dall' art. 3, comma 1, D.Lgs. 13 febbraio 2014, numero 12 o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria. Analoga modifica è stata apportata al citato art. 25 del D.Lgs. 19/11/2007, numero 251. Il legislatore con il recente intervento ha quindi ampliato l'accesso ai pubblici impieghi solo a determinate categorie di cittadini extracomunitari, allo scopo di ricomprendervi i soggetti direttamente garantiti dalle Direttive Comunitarie v. le direttive nnumero 2004/38, 2004183, 2003/109 . Il riferimento solo ad alcune categorie di stranieri ammessi al pubblico impiego, a parità con il cittadino dell'Unione Europea, manifesta la persistente volontà dei legislatore di escludere le ulteriori categorie di cittadini extracomunitari non espressamente contemplati. 5. La limitatezza dell'intervento normativo è stata stigmatizzata da alcuni Ordini del Giorno presentati in occasione della nuova formulazione dell'art. 38 del D.lgs. numero 165 l'o.d.g. presentato dai deputati Gozi, Mosca, Guerini ed altri numero 9/1327/7, accolto dal Governo, si concludeva con l'impegno dei Governo a valutare la possibilità di fornire, in sede di applicazione delle disposizioni contenute nel disegno di legge in esame, un'interpretazione costituzionalmente orientata di tali disposizioni che espliciti definitivamente la parificazione, ai fini dell'accesso al pubblico impiego, tra il cittadino straniero legalmente soggiornante in Italia per motivi che consentono lo svolgimento di attività lavorativa e il cittadino dell'Unione europea e quello presentato dai deputati Uras, De Petris, Barozzino ed altri numero G7.100, non posto in votazione ma accolto dal Governo come raccomandazione, impegnava l'esecutivo a fare chiarezza, con estrema urgenza, su tale materia, anche intervenendo con un' interpretazione autentica che espliciti che, ai lavoratori dei paesi terzi, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale e titolari di permesso di soggiorno, occorre garantire parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani, secondo le norme espressamente previste ai sensi dei commi 2 e 3, dell'articolo 2, del decreto legislativo numero 286 del 1998 gli intenti non si sono tuttavia tradotti allo stato in un intervento sostanzialmente modificativo di carattere normativo. 6. La restrizione sopra rilevata non è in contrasto con la normativa nazionale in tema di accesso al lavoro dei lavoratori extracomunitari, che trova la sua essenziale disciplina nel D.Lgs. 2510711998, numero 286, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Detto Testo unico infatti all'art. 2 comma 3 prevede che La Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, numero 158 , garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani , ma la disposizione espressamente ha ad oggetto la condizione del lavoratore ovvero della persona già occupata, senza preoccuparsi delle condizioni di accesso al lavoro. Di tali situazioni invece si occupa l'art. 27 che, nell'ambito del titolo III che raccoglie la disciplina del lavoro dei cittadini stranieri extracomunitari, al terzo comma, nell'elencare le attività che possono essere svolte in Italia e che non rientrano nel cosiddetto decreto-flussi afferma, quale norma di chiusura, che rimangono ferme le disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per Io svolgimento di determinate attività. Lo stesso Testo Unico manifesta peraltro e legittima l'esistenza di limitazioni per l'accesso a determinate categorie di impieghi. L' art. 26 liberalizza infatti l'accesso al lavoro autonomo, ma a condizione che l'esercizio di tali attività non sia riservato dalla legge ai cittadini italiani o a cittadini di uno degli Stati membri dell'UE. L'art. 27 rinvia al regolamento di attuazione la disciplina di particolari modalità per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro, dei visti di ingresso e dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato per alcune categorie di lavoratori stranieri specificamente individuate, tra cui i lettori universitari di madre lingua, che appunto vengono assunti prescindendo dal requisito della cittadinanza e al comma 1 lettera r-bis, inserita dall' art. 22, comma 1, lett. a , della L. 30 luglio 2002, numero 189, ha aggiunto alle tipologie di lavoratori già previste la categoria degli infermieri professionali, da assumersi con contratto di lavoro subordinato presso strutture sanitarie pubbliche e private. L'art. 37, poi, che consente l'iscrizione agli Ordini o Collegi professionali o negli elenchi speciali agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia in possesso dei titoli riconosciuti, sottolinea esplicitamente che ciò avviene in deroga al requisito della cittadinanza. Ne discende che tale normativa non può sorreggere la tesi dell'esistenza di un principio generale di ammissione dello straniero non comunitario al lavoro pubblico. Inoltre, l'art. 43, in tema di Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi , al comma 2 lettera c prevede che compie un atto di discriminazione chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità , in tal modo qualificando discriminante non la restrizione dell' accesso all'occupazione tout court, ma solo quella che si configuri come illegittima, e quindi contraria alla normativa di legge. 7. Deve altresì dissentirsi dall'assunto secondo cui la norma sulla cittadinanza, vigente formalmente, sarebbe contrastante con un principio generale ormai acquisito dall'ordinamento nella parte in cui accorda la tutela antidiscriminatoria. Il D.Lgs. 0910712003, numero 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, dispone in effetti all'ars. 3 che Il principio di parità di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento, tra l'altro lettera a all'accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione. La disposizione però al comma 4 aggiunge che Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari , ed all'art. 2 comma 2 richiama espressamente il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2, del T.U. numero 286 del 1998, sopra esaminato, che vieta le discriminazioni in tema di accesso al lavoro se ed in quanto illegittime. La disciplina richiamata conferma quindi in sostanza che la discriminazione è comportamento illecito, non configurabile se tenuto in esecuzione di disposizioni normative. 8. Il sistema desumibile dal complesso normativo sopra delineato non si pone neppure in contrasto con la normativa costituzionale. Come già affermato nella sentenza numero 24170 del 2006 sopra richiamata, non vi è dubbio che, tra gli aspetti giuridici dell'immigrazione extracomunitaria, la materia dell'accesso al lavoro si colloca nel quadro di regole di convivenza fra immigrati e cittadini, ovvero in quel complesso di norme che afferiscono al godimento dei diritti fondamentali. In questo ambito il diritto al lavoro sancito dall'art. 4 Cost. è esso stesso diritto soggettivo, e comprende tanto la facoltà di scelta ed esercizio dell'attività professionale offerta della forza-lavoro , quanto la possibilità di soddisfare il bisogno di accesso alle occasioni di lavoro domanda della forza-lavoro . Il diritto al lavoro garantito dall'art. 4 Cost. costituisce tuttavia garanzia che la legislazione ordinaria, in modo non arbitrario e rispettoso dei valori costituzionali, ha il potere di precisare, richiedendo per talune attività lavorative particolari condizioni e requisiti per la tutela di altri interessi parimenti meritevoli di considerazione cfr., tra le numerose, C. cost. 44112000 . Ed in effetti, il lavoro pubblico subordinato, anche quello reso contrattuale dalla riforma attuata dalle norme ora raccolte nel D.Lgs. 30 marzo 2001, numero 165 che implica, al pari di quello in regime di diritto pubblico, la possibilità del conferimento della titolarità di funzioni pubbliche , costituisce una species del lavoro subordinato contrassegnato da elementi di peculiarità, di cui i principali sono posti dagli arti. 97 e 98 Cost. e che sono la necessità del concorso pubblico salvo le deroghe previste dalla legge ed il principio secondo cui gli impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione in tema di perdurante specialità dei lavoro pubblico, pur dopo la c.d. contrattualizzazione, si vedano, in particolare, Corte Cost. 313/1996 309/1997, 89/2003, 199/2003 . Vi è poi da considerare l'art. 51 Cost., secondo cui tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Si ritiene generalmente che l'intento dei costituenti fu di garantire che i fini pubblici fossero perseguiti e tutelati nel migliore dei modi, e di puntare per questo sui cittadini, nei quali si riteneva esistente una naturale compenetrazione dei fini personali in quelli pubblici nondimeno, la formulazione della norma sembra offrire spunti per una lettura restrittiva del riferimento agli uffici pubblici , limitata cioè all'esercizio di attività autoritative. Ma, anche ad accettare questa lettura riduttiva, sono le altre norme costituzionali sopra richiamate ad offrire sufficiente copertura alla disciplina ordinaria preclusiva dell'accesso al lavoro pubblico dei cittadini extracomunitari, nell'ambito di una scelta che qualifica speciale il lavoro pubblico e lo assoggetta a regolamentazione particolare. Nell'ordinanza numero 139 del 2011 richiamata dalla ricorrente la Corte Costituzionale non ha peraltro imposto l'interpretazione favorevole all'accesso al pubblico impiego dei lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti, ma ha provveduto a dichiarare la questione prospettata dal giudice a quo manifestamente inammissibile in quanto diretta del tutto impropriamente ad ottenere dalla Corte un avallo dell' interpretazione già ritenuta dal rimettente come preferibile e costituzionalmente adeguata. La precedente sentenza numero 454 del 1998 inoltre non si è occupata dell'impiego dei lavoratori extracomunitari alle dipendenze della Pubblica amministrazione, ma ha affermato che dalle disposizioni legislative in vigore si trae la conclusione, costituzionalmente corretta, della spettanza ai lavoratori extracomunitari, aventi titolo per accedere al lavoro subordinato stabile in Italia in condizioni di parità con i cittadini, e che ne abbiano i requisiti, del diritto ad iscriversi negli elenchi di cui all'art. 19 della legge numero 482 del 1968 ai fini dell'assunzione obbligatoria. Da tale iscrizione però di cui è titolare la signora T. non discende automaticamente, alla stregua delle esposte considerazioni, il possesso dei requisiti per l'accesso a qualunque impiego, e quindi anche a quello offerto dalle pubbliche amministrazioni. Deve quindi concludersi che, diversamente da quanto avviene in tema di provvidenze assistenziali in ordine alle quali la Corte Costituzionale con numerose sentenze numero 306 del 2008, numero 11 del 2009, numero 187 del 2010, numero 329 del 2011 ha rimosso significativi ostacoli che ne impedivano la fruizione da parte degli extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio nazionale , in tema di accesso al lavoro è lasciata al legislatore una più ampia possibilità di contemperare opposte esigenze tutte costituzionalmente rilevanti. Se, quindi, nel lavoro privato opera pienamente la parità di trattamento tra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari, con riguardo agli impieghi pubblici trova spazio la valutazione della particolarità e delicatezza della funzione svolta alle dipendenze dello Stato ed in particolare, nel caso in esame, del Ministero dell'Economia e delle Finanze che gestisce uno degli aspetti peculiari ed individualizzanti della politica nazionale , differenze che tutt'ora giustificano la preferenza per i cittadini italiani e, in virtù del particolare legame internazionale che lega l'Italia agli altri paesi della UE, per quelli comunitari e ad essi equiparati. 9. Neppure dalla richiamata normativa sovranazionale, sia nella sua diretta precettività che nella sua funzione di vincolo interpretativo di quella nazionale, può desumersi un vincolo per la totale assimilazione dei cittadini extracomunitari a quelli nazionali e comunitari per l'assunzione nell'impiego pubblico. La Convenzione OIL sui lavoratori migranti numero 143 del 1975 del 1975, che all'art. 10 prevede che Ogni Membro per il quale la convenzione sia in vigore s'impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio , costituisce norma programmatica che deve, per trovare attuazione, essere trasfusa nella legislazione nazionale. Peraltro, il successivo articolo 14 lettera c consente agli Stati aderenti alla convenzione di respingere l'accesso a limitate categorie di occupazione e di funzioni qualora tale restrizione sia necessaria nell'interesse dello Stato. 10. La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, poi, prevede all'art. 14 sotto la rubrica Divieto di discriminazione , che dev' essere assicurato senza nessuna discriminazione il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione stessa, ma non nomina tra tali diritti quello all'accesso al lavoro. 11. Occorre poi rilevare che anche la normativa comunitaria, pur con le limitazioni che pone per gli stati membri, riconosce la peculiarità dell'impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione, tanto che l'art. 45 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea art. 45 TFUE, già art. 39 TCE nel sancire il principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea, prevede al suo quarto comma un'eccezione relativamente agli impieghi nella pubblica amministrazione . Analogamente, l'art. 51, comma 1, TFUE ex art. 45, comma 1, Trattato CE dispone che le norme in materia di diritto di stabilimento non trovano applicazione alle attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri . 12. Ne, ancora, impone una diversa soluzione la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che all'art. 15 sotto la rubrica libertà professionale e diritto di lavorare fa riferimento ai cittadini dei paesi terzi, dicendo che quelli che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'unione , senza però pronunciarsi sulle condizioni del loro accesso al lavoro ed all'ari. 21, pur vietando qualsiasi forma di discriminazione, al comma 2 fa riferimento al divieto di discriminazione basato sulla nazionalità, precisando che esso opera Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essa contenute . 13. Quanto infine alla lamentata violazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, si rileva che la censura non è pertinente alla ratio decidendi adottata dalla Corte d'appello, considerato che nel caso di specie non viene in discussione il diritto delle persone disabili ad essere impiegate nel settore pubblico, e che anzi il concorso cui la signora T. chiedeva l'ammissione era proprio diretto ad assumere cinque lavoratori disabili. L'esclusione non è quindi avvenuta in ragione della disabilità, che anzi costituiva condizione di ammissione, ma della mancanza del prescritto requisito della cittadinanza. III. Connclusioni In definitiva, in assenza di alcun riscontro normativo della tesi che sostiene l'esistenza di un principio generale di ammissione dello straniero non comunitario al lavoro pubblico, il ricorso dev'essere rigettato. La delicatezza della questione proposta, l'importanza degli interessi coinvolti, il contrasto manifestatosi nella giurisprudenza di merito, nonché la difficoltà dell'esame determinata dalle plurime stratificazioni normative, impongono la compensazione tra le parti delle spese processuali. L'ammissione della ricorrente al gratuito patrocinio determina l'insussistenza dei presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall'art. 1 quater dell' art. 13 del D.P.R. numero 115 del 2002 inserito dalla L. numero 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.