Il contratto di somministrazione è nullo? Spetta l’indennità forfettaria

L’indennità prevista dall’art. 32 l. n. 183/2010 trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di conversione di un contratto di somministrazione lavoro in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.

Lo ha affermato la Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 18046, depositata il 20 agosto 2014. La contestazione della contestazione non è sempre necessaria. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal lavoratore assunto a tempo determinato da una società di somministrazione di lavoro per far accertare la nullità del contratto di somministrazione ed ottenere la conversione dell’originario rapporto di lavoro in un rapporto a tempo indeterminato con la società utilizzatrice. Avverso la decisione del giudice di merito, che ha accolto le domande proposte dal lavoratore, ha presentato ricorso per cassazione la società utilizzatrice, adducendo la legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione anche in considerazione della sussistenza di un picco di produzione non contestata dal lavoratore. A tale proposito, la pronuncia in commento chiarisce l’esatta portata del principio di non contestazione, precisando che la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore medesimo l’onere di contestare la altrui contestazione , dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo. Diversamente, il processo si trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all’infinito le immagini riflesse, per cui ogni parte avrebbe sempre l’onere di contestare la contestazione della contestazione della contestazione e cosi all’infinito, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l’ultimo che contesti magari con mera formula di stile l’avverso dedotto. Inoltre, l’onere di contestazione concerne solo le allegazioni in punto di fatto dell’avversario e non i documenti da lui prodotti, rispetto ai quali esiste solo l’onere di eventuale disconoscimento nei casi di cui all’art. 214 c.p.c. o quello di proporre - se del caso - querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, cosi come può essere autonomamente valutata dal giudice. L’omessa valutazione di elementi probatori non integra un motivo di ricorso per cassazione. L’attuale versione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. consente di ricorrere al giudizio di legittimità in caso di omesso esame, da parte del giudice di merito, di un fatto storico principale o secondario la cui esistenza risulti o dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo nel senso che avrebbe determinato un esito diverso della controversia se fosse stato esaminato . Il riferimento al fatto secondario non implica, tuttavia, che possa denunciarsi anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. A sua volta deve trattarsi di un fatto processualmente esistente e, cioè, di un fatto che in sede di merito sia stato allegato dalle parti tale allegazione può risultare soltanto dal testo della sentenza impugnata rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali rilevanza del dato extra-testuale . L’indennità omnicomprensiva si applica anche in materia di somministrazione di lavoro. La pronuncia in commento conferma, poi, l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 nel significato chiarito dal 13° comma dell’art. 1 legge n. 92/2012 è applicabile a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione Cass., n. 1148/2013 e n. 13404/2013 . A sostegno di questa soluzione depone, in primo luogo, l’evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196/1997 e la somministrazione di lavoro ex artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 276/2003. In secondo, si deve tenere presente che, trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l’effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore e non più del somministratore e su quello oggettivo atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore . Ma fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finché si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle di un rapporto a termine, con la conseguenza che nulla preclude il ricorso alla sanzione indennitaria prevista dal citato art. 32, comma 5.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 maggio – 20 agosto 2014, n. 18046 Presidente Lamorgese – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 15.12.12 la Corte d'appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stesse sede, accertava l'esistenza d'un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 26.4.04 al 23.4.12 tra F.B. e la S.p.A. Sviluppo Italia Campania, con condanna di quest'ultima a pagare alla lavoratrice le retribuzioni maturate dal 16.6.08 al 23.4.12. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S.p.A. Sviluppo Italia Campania, in liquidazione affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c F.B. resiste con controricorso. Con controricorso la Adecco Italia S.p.A. - società fornitrice di somministrazione lavoro, anche nei confronti della quale si sono celebrati i gradi di merito - chiede l'accoglimento del ricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22 e 27 d.lgs. n. 276/03 nella parte in cui l'impugnata sentenza ha negato la legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione lavoro intervenuto tra la Adecco Italia S.p.A. somministratore e la società ricorrente utilizzatore , erroneamente ritenendo applicabile nel caso di specie la disciplina propria del lavoro a termine di cui al d.lgs. n. 368/01 ed altrettanto erroneamente reputando necessaria la specificazione della causale anziché la sua mera indicazione fra le causali consentite dalla legge anche in relazione all'ordinaria attività dell’utilizzatore. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20 d.lgs. n. 276/03, 2697 e 2729 c.c., 167, 414, 416, 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha violato il principio di non contestazione delle risultanze documentali in riferimento alle mansioni della F. e alla sussistenza d'un picco di produzione etiologicamente derivante dall'intensificazione dell'attività aziendale in ragione dell'incremento delle domande di finanziamento per l'autoimpiego e l'imprenditorialità giovanile. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 32 legge n. 183/2010, per avere la Corte territoriale condannato la società a pagare alla lavoratrice tutte le retribuzioni maturate dal 26.4.04 al 23.4.12 anziché una mera indennità da quantificare nel range previsto dalla norma citata. 2- I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati, pur dovendosi correggere ex art. 384 ult. co. c.p.c. - nei limiti che seguono - la motivazione in punto di diritto della gravata pronuncia. È pur vero che la somministrazione lavoro trova negli artt. 20 e ss. d.lg.s n. 276/03 - e non nel d.lgs. n. 368/01 - la propria specifica disciplina tuttavia ciò non giova alla società ricorrente. Invero, anche a voler supporre l'astratta validità della causale indicata nel contratto di somministrazione, comunque essa non è stata provata, come motivatamente esposto dall'impugnata sentenza. E in tema di somministrazione di manodopera, la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l'apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti cfr. Cass. 9.9.13 n. 20598 , rispondenza che - giova ribadire - la Corte territoriale ha ritenuto non provata. Sostiene la società ricorrente che tale rispondenza sarebbe invece emersa dalla mancata contestazione, da parte di F.B. , delle risultanze documentali in base alle quali doveva considerarsi provata, in riferimento alle mansioni della lavoratrice, la sussistenza d'un picco di produzione etiologicamente derivante dall'intensificazione dell'attività aziendale in ragione dell'incremento delle domande di finanziamento per l'autoimpiego e l'imprenditorialità giovanile. Va tuttavia osservato che la doglianza muove da un'errata ricostruzione del principio di non contestazione che governa il rito speciale e ora, dopo la novella dell'art. 115 c.p.c. ad opera dell'art. 45 legge n. 69/09, anche quello ordinario. Invero, fin dal proprio ricorso introduttivo di lite F.B. aveva già negato che nel proprio caso vi fossero in concreto ragioni che avrebbero giustificato il ricorso alla somministrazione di lavoro, di guisa che non doveva formulare altra specifica contestazione a fronte delle contrarie allegazioni della società convenuta. In altre parole, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati dall'attore nell'atto introduttivo del giudizio non ribalta sull'attore medesimo l'onere di contestare la altrui contestazione , dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo. Diversamente, il processo si trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all'infinito le immagini riflesse, per cui ogni parte avrebbe sempre l'onere di contestare la contestazione della contestazione della contestazione e così all'infinito, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l'ultimo che contesti magari con mera formula di stile l'avverso dedotto. Inoltre - contrariamente a quanto sembra supporre il ricorso in esame - l'onere di contestazione concerne solo le allegazioni in punto di fatto dell'avversario e non i documenti da lui prodotti che è cosa processualmente diversa , rispetto ai quali esiste solo l'onere di eventuale disconoscimento nei casi e nei sensi di cui all'art. 214 c.p.c. o quello di proporre - se del caso - querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice. Da ultimo, non gioverebbe a parte ricorrente neppure intendere il tenore della doglianza di cui al secondo motivo come sostanziale denuncia di travisamento delle risultanze processuali e/o di vizio di motivazione, trattandosi di censure non riconducibili a nessuna di quelle consentite dal vigente dell'art. 360 c.p.c. nel testo novellato dall'art. 54 d.l. 22.6.2012 n. 83, convertito in legge 7.8.2012 n. 134. Oggi la nuova formulazione dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. applicabile, ai sensi del cit. art. 54, co. 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla sentenza della cui impugnazione si discute rende denunciabile per cassazione il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . In tal modo si è tornati, pressoché alla lettera, all'originaria formulazione dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. del codice di rito del 1940. Secondo la recente sentenza 7.4.14 n. 8053 delle S.U. di questa S.C., tale modifica legislativa non consente di denunciare un vizio di motivazione se non quando esso si converta, in realtà, in una vera e propria violazione di legge, vale a dire dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., il che si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie e non è questo il caso in oggetto . Invece, l'attuale versione del co. 1 n. 5 dell'art. 360 c.p.c. integra un nuovo e diverso motivo di ricorso per cassazione concernente l'omesso esame d'un fatto storico - principale o secondario - la cui esistenza risulti o dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo vale a dire che avrebbe determinato un esito diverso della controversia se fosse stato esaminato . L'omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica e quindi non un punto o un profilo giuridico , un fatto principale o primario ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato o secondario cioè un fatto dedotto in funzione probatoria . Ma il riferimento al fatto secondario non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. anche l'omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all'esito dell'istruttoria come astrattamente rilevanti. A sua volta deve trattarsi di un fatto processualmente esistente, per esso intendendosi non un fatto storicamente accertato, ma un fatto che in sede di merito sia stato allegato dalle parti tale allegazione può risultare già soltanto dal testo della sentenza impugnata ed allora si parlerà di rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali rilevanza del dato extra-testuale . Ma nella vicenda processuale in oggetto è innegabile che il fatto allegato come ragione giustificativa del ricorso alla somministrazione di lavoro in relazione alle mansioni assegnate a F.B. è stato specificamente esaminato dalla Corte territoriale, le cui conclusioni restano insindacabili in sede di legittimità. 3 - Il terzo motivo è, invece, fondato, dovendosi dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale manifestatosi con le sentenze n. 1148/13 e n. 13404/13 di questa S.C., che hanno ritenuto applicabile l'indennità prevista dall'art. 32 co. 5 legge n. 183/10 nel significato chiarito dal comma 13 dell'art. 1 legge n. 92/12 a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a del co. 1 dell'art. 3 legge n. 196/97, contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. A tal fine valga, in primo luogo, l'evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196/97 e la somministrazione di lavoro ex artt. 20 e ss. del d.lg.s n. 276/03. In secondo, si tenga presente che, trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l'effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo ex art. 21 ult. co. d.lgs. n. 276/03 il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore e non più del somministratore e su quello oggettivo atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l'utilizzatore . Ma fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finché si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle d'un rapporto a termine, di guisa che nulla preclude il ricorso alla sanzione meramente indennitaria prevista dall'art. 32 co. 5 cit., anche perché essa è destinata - grazie all'ampia formula adoperata dal legislatore - ai casi di conversione del contratto a tempo determinato . D'altronde, la tendenza normativa è - in linea di massima - quella di liquidare con un'indennità determinata a forfait o con un risarcimento previsto entro un tetto massimo il mancato guadagno sofferto dal lavoratore nell'arco di tempo trascorso fra l'illegittima cessazione d'un rapporto lavorativo a cagione della nullità del termine o dell'illegittimità del licenziamento intimatogli e il suo ripristino grazie alla sentenza del giudice si pensi, ad esempio, all'art. 8 legge n. 604/66, all'art. 18 Stat. nuovo testo come modificato ex lege n. 92/12 che riserva solo a pochi casi la tutela reintegratoria piena con attribuzione di tutte le retribuzioni maturate medio tempore , e, appunto, all'art. 32 co. 5 legge n. 183/10. Restano due ultime precisazioni la prima è che non osta alla soluzione accolta la sentenza della CGUE 11.4.13, Della Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Invero, dall'esame della motivazione emerge che tale inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell'accordo quadro e dall'esistenza di altra più specifica regolamentazione la direttiva 2008/104 per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice contratto a tempo determinato d'altronde, quand'anche la CGUE avesse asserito il contrario, ciò non avrebbe vincolato il giudice dello Stato membro, non conseguendo all'inapplicabilità della direttiva 1999/70/CE - quasi fosse un naturale precipitato - una sorta di rivisitazione dei concetti propri d'un dato ordinamento, compito estraneo a quelli della Corte di Lussemburgo, cui spetta l'interpretazione del diritto dell'Unione e non di quello nazionale. La seconda puntualizzazione è che, per ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, l'art. 32 co. 5 legge n. 183/10 si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo di decisione non si sia già formato il giudicato cfr., e pluribus, Cass. 3.1.11 n. 65 Cass. 4.1.11 n. 80 Cass. 2.2.11 n. 2452 . 4 - In conclusione, vanno rigettati i primi due motivi di ricorso mentre va accolto il terzo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione. Il giudice di rinvio dovrà limitarsi a liquidare - ai sensi del cit. art. 32 co. 5 legge n. 183/10, come autenticamente interpretato dall'art. 1 co. 13 legge n. 92/12 - per il pregiudizio subito dalla lavoratrice, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la sentenza 27.11.12 della Corte d'appello di Napoli, un'indennità onnicomprensiva in misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 legge n. 604/66, in tal modo attenendosi al seguente principio di diritto L'indennità prevista dall'art. 32 legge n. 183/10 trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l'accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito - ai sensi dell'ult. co. dell'art. 27 d.lgs. n. 276/03 - in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione . P.Q.M. La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione.