Non far lavorare il sindacalista reintegrato costa il doppio

Qualora la reintegrazione del dirigente sindacale illegittimamente licenziato non sia effettiva, non bastando a tale fine la sola erogazione della retribuzione, il datore di lavoro è tenuto a versare al Fondo Adeguamento Pensioni una somma pari alla retribuzione dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17372 depositata il 30 luglio 2014. Il caso. La vicenda trae origine dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna di una nota società del settore edile alla reintegrazione di un proprio dipendente, nonché dirigente sindacale, illegittimamente licenziato. Successivamente a tale pronuncia, la società corrispondeva al lavoratore reintegrato la retribuzione e gli permetteva l’ingresso in azienda per svolgere attività sindacale, impedendogli tuttavia di riprendere di fatto l’attività lavorativa. Su questi presupposti, l’INPS chiedeva ed otteneva, sia in primo grado che in appello la condanna della società al pagamento a favore del Fondo Adeguamento Pensioni, per ogni giorno di ritardo, di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore, come previsto dall’ultimo comma dell’art. 18 Stat. lav. nella sua previgente formulazione . La reintegrazione nel posto di lavoro non è coercibile. Contro la pronuncia della Corte d’appello il datore di lavoro ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Per quel che qui interessa esaminare la società, premesso che l’ordine di reintegrazione non è suscettibile di esecuzione in forma specifica, rilevava come la sua condotta costituisse - nei limiti di quanto le poteva essere imposto - adempimento dell’ordine giudiziale, con conseguente inapplicabilità della sanzione prevista dalla summenzionata norma. Motivo che, tuttavia, viene disatteso dalla Cassazione la quale, confermando la pronuncia di merito, rigetta il ricorso. Rilevano infatti i Giudici di legittimità come il punto da chiarire, ai fini della decisione della controversia, sia se l’iscrizione a libro paga e matricola con il pagamento della retribuzione costituiscano attuazione dell’ordine giudiziale di reintegra . Quesito a cui la Corte, richiamando un suo recente precedente i.e. Cass. n. 9965/2012 , dà risposta negativa. Se è vero infatti che l’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato non è suscettibile di esecuzione in forma specifica, in quanto l’esecuzione in forma specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile , è ancor più vero che, ai fini del suo effettivo adempimento, è necessaria un’indispensabile condotta attiva del datore di lavoro consistente, tra il resto, nell’impartire al lavoratore le necessarie direttive. Incoercibilità non vuol dire immunità alle sanzioni. Tale incoercibilità, tuttavia, non esime dalla sanzione prevista dall’art. 18, comma 10, Stat. lav., nella formulazione ratione temporis applicabile, a mente del quale nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di reintegra è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore . Questa disposizione infatti, ad avviso della Corte, non è collegata alla coercibilità dell’ordine di reintegrazione, bensì alla sua inottemperanza . Inottemperanza che si verifica tutte le volte in cui non sia riportato nella condizione di pienezza il diritto leso, comprensivo di tutti i profili, tanto economici che non economici . Il lavoro è diritto costituzionalmente tutelato. La Cassazione prosegue affermando che il diritto del lavoratore a svolgere la propria attività, e non solo a percepire la relativa retribuzione, è concetto che si basa sulla stessa Costituzione, che qualifica il lavoro quale strumento – non solo di sostentamento ma – di accrescimento della professionalità e di affermazione dell’identità del lavoratore a livello sia individuale che nel contesto sociale. In base a questi principi, conclude la Corte, ottemperare all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro non può significare limitarsi a pagare la retribuzione, bensì ripristinare il rapporto nella sua pienezza, consentendo l’esercizio dell’attività lavorativa . Analogo sistema sanzionatorio è previsto da altre legislazioni. Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude rilevando che sistemi analoghi a quello in commento sono previsti anche da altri ordinamenti, quale ad esempio quello francese, che utilizzano lo strumento delle c.d. astreintes , ossia strumenti di coercizione indiretta per indurre all’adempimento l’obbligato mediante il pagamento di una somma da versare, qualora rifiuti di ottemperare all’ordine giudiziale di eseguire la prestazione dovuta.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 aprile – 30 luglio 2014, n. 17372 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Brescia, con la sentenza n. 75 del 2009, pronunciando sull'impugnazione proposta dalla società Italcementi spa nei confronti dell'INPS, in proprio e quale delegato della S.C.C.I., nonché di Equitalia Esatri spa, avverso la sentenza n. 282/08 emessa dal Tribunale di Bergamo, rigettava l'appello. 2. Il Tribunale di Bergamo aveva respinto l'opposizione proposta dalla società contro la cartella esattoriale notificata da Bergamo esattorie spa per il recupero della sanzione prevista dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, in relazione al passaggio in giudicato della dichiarazione di illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegrazione, del dipendente L.G. . 3. Per la cassazione della sentenza resa dalla Corte d'Appello ricorre la società Italcementi spa, prospettando nove motivi di ricorso assistiti dai prescritti quesiti di diritto. 4. Resistono l'INPS e la S.C.C.I. con controricorso. 5. Equitalia Esatri spa è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. L'INPS ha applicato la sanzione prevista dall'art. 18, u.c., della legge n. 300 del 1970 nei confronti della società per azioni Italcementi, per il seguente motivo il giudice del lavoro, con sentenza passata in giudicato, aveva accertato l'illegittimità del licenziamento disposto dalla società nei confronti del lavoratore L.G. , nonché dirigente sindacale aziendale, e ordinava la sua reintegrazione nel posto di lavoro. La società ha ritenuto di dare esecuzione alla sentenza corrispondendo al lavoratore reintegrato la retribuzione e permettendo l'ingresso in azienda per svolgere le attività sindacali, ma non gli ha consentito di riprendere l'attività lavorativa. 2. La questione posta a questa Corte è quella di stabilire se questa scelta aziendale rispetti o meno quanto disposto dalla legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18. L'INPS ha ritenuto che il comportamento della società non sia conforme alla legge ed ha, di conseguenza, applicato la sanzione prevista dall'art. 18, u.c., mediante l'emissione di cartella esattoriale, che è stata opposta dalla società con il ricorso introduttivo del giudizio. 3. Il Tribunale di Bergamo e poi la Corte d'Appello di Brescia hanno dato ragione all'INPS, affermando che il comportamento della società non configura un reale adempimento dell'ordine di reintegrazione contenuto nella sentenza passata in giudicato perché l'adempimento del contratto di lavoro da parte del datore di lavoro, cui è strumentale l'obbligo di reintegrazione, implica che al lavoratore venga consentito di rendere la prestazione, che non è solo un obbligo ma anche un diritto. Questione analoga è già stata esaminata da questa Corte con la sentenza n. 9965 del 2012, i cui si principi, di seguito riportati, si condividono, intendendosi dare continuità agli stessi. 4. La questione centrale del giudizio viene riproposta con il quinto motivo di impugnazione, con i quali la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della legge n. 300 del 1970, art. 18, comma 10, ritenendo che l'iscrizione libro paga e matricola con il pagamento della retribuzione siano comportamenti che costituiscono attuazione dell'ordine giudiziale previsto dalla legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18. 5. Il testo normativo che viene in rilievo è costituito dall'art. 18, commi 1, 7 e 10. Il primo comma dispone che il giudice, se accerta la illegittimità del licenziamento, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro . . Il settimo comma prevede una tutela particolare per il licenziamento illegittimo dei lavoratori di cui all'art. 22 dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali , per i quali, anche con ordinanza emessa in ogni stato e grado del giudizio, può essere disposta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro . Il comma 10 sancisce Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza .. all'ordinanza è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore . Occorre rilevare che l'ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato non è suscettibile di esecuzione specifica, in quanto l'esecuzione in forma specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile, mentre la reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell'azienda e cioè un comportamento riconducibile ad un semplice pati ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo - funzionale, consistente, fra l'altro, nell'impartire al dipendente le opportune direttive, nell'ambito di una relazione di reciproca ed infungibile collaborazione Cass. n. 9125 del 1990 e n. 112 del 1988 . 6. Se una affermazione di incoercibilità è fondata, non è invece condivisibile ritenere che l'incoercibilità comporti la non applicabilità della sanzione specifica prevista dall'art. 18, comma 10. 7. Quest'ultima disposizione non è collegata alla coercibilità dell'ordine di reintegrazione, ma semplicemente alla inottemperanza dell'ordine di reintegrazione. Per stabilire se vi è, o meno, ottemperanza, bisogna analizzare il contenuto dell'ordine previsto dalla norma di legge. L'espressione usata dal legislatore è molto ampia il giudice deve ordinare al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro . Reintegrare significa restituire in integro cioè riportare nella condizione di pienezza del diritto leso, comprensiva di tutti i profili, tanto, economici che non economici. Questa integralità della posizione da ripristinare insita nel concetto di reintegrazione è poi ulteriormente rafforzata dall'utilizzo della espressione nel posto di lavoro , che esclude ogni dubbio sul fatto che la ricostruzione debba riguardare l'integralità della posizione del lavoratore e non solo i profili retributivi ed eventualmente sindacali. 8. Che il lavoratore, in base al contratto di lavoro, abbia diritto, non solo a percepire la retribuzione, ma anche a lavorare, è concetto che si fonda sui principi costituzionali e che trova riscontro nei numerosi filoni giurisprudenziali che tutelano il lavoratore contro comportamenti datoriali in cui, senza giustificazione, al lavoratore viene pagata la retribuzione, ma non viene fatta eseguire la prestazione. 9. Il lavoro non è solo strumento di sostentamento economico, ma è anche strumento di accrescimento della professionalità e di affermazione della propria identità a livello individuale e nel contesto sociale. Questa molteplicità di profili è considerata dalla Costituzione quando afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro art. 1 , riconosce i diritti dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali art. 2 e in particolare riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto , che è altresì un dovere nei confronti della società art. 4 . 10. In questo contesto di valori ordinamentali, ottemperare all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro non può significare limitarsi a pagare la retribuzione e a permettere lo svolgimento dell'attività sindacale, ma significa ripristinare il rapporto di lavoro nella sua pienezza, consentendo l'esercizio dell'attività lavorativa. 11. Le Sezioni unite hanno affermato che oggi l'obbligazione di ricostruire la situazione di fatto anteriore alla lesione del diritto rendendo così possibile l'esatta soddisfazione del creditore, non tenuto ad accontentarsi dell'equivalente pecuniario, costituisce la traduzione nel diritto sostanziale del principio, affermato dalla dottrina processuale degli anni trenta e poi ricondotto all'art. 24 Cost. Corte cost. sentenze n. 253 del 1994 e n. 483 del 1995 secondo cui il processo ma potrebbe dirsi il diritto oggettivo in caso di violazione deve dare alla parte lesa tutto quello e proprio quello che le è riconosciuto dalla norma sostanziale così Sez. Un. 10 gennaio 2006, n. 141 . 12. La medesima sentenza delle Sezioni unite, passando dalle categorie generali del diritto civile al diritto del lavoro, ha poi aggiunto questa conclusione, valida sul piano generale serve a maggior ragione nel diritto del lavoro, non. solo perché qualsiasi normativa settoriale non deve derogare al sistema generale senza necessità, ..ma anche perché il diritto del lavoratore al proprio posto, protetto dagli artt. 1, 4 e 35 Cost., subirebbe una sostanziale espropriazione se ridotto in via di regola al diritto ad una somma . 13. Altri principi dell'ordinamento impongono, come si è visto, in presenza di obbligazioni non fungibili, di non consentire l'esecuzione in forma specifica delle stesse. Ma le due questioni si pongono su piani diversi, che non devono essere confusi. Incoercibilità in forma specifica non significa che l'obbligo di reintegrazione possa considerasi ottemperato con il mero pagamento della retribuzione. Né deve ritenersi che ineseguibilità in forma specifica significhi esenzione da qualsiasi sanzione. Anzi, è proprio questo il campo in cui i legislatori utilizzano quelle che in Francia vengono dette astreintes , strumenti di coercizione indiretta per indurre all'adempimento l'obbligato, mediante il pagamento di una somma da versare qualora rifiuti di ottemperare all'ordine del giudice di eseguire la prestazione dovuta. In più casi anche l'ordinamento italiano, a fronte dell'inadempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, prevede sanzioni alternative finalizzate ad ottenere comunque, per vie diverse, l'adempimento dell'obbligo. Uno di questi casi è quello previsto dall'art. 18 Statuto dei lavoratori, commi 7 e 10, nel quale, a fronte dell'accertamento della illegittimità di un licenziamento di particolare gravità, il legislatore ha scelto di sanzionare la mancata ottemperanza dell'ordine di reintegrazione con una sanzione aggiuntiva rispetto a quella ordinaria prevista dalla prima parte dell'art. 18. 14. Tale sanzione aggiuntiva consiste nel pagamento di una somma non in favore del lavoratore, bensì di un fondo pubblico Fondo adeguamento pensioni e quindi della collettività, a sottolineare che, nella valutazione del legislatore, quell'inottemperanza lede interessi e valori che vanno al di là della posizione del singolo ed investono l'interesse generale a che i provvedimenti giurisdizionali siano rispettati e correttamente applicati. 15. Il motivo di ricorso riguardante la questione centrale del processo deve essere pertanto rigettato, ma sono infondati anche tutti gli altri motivi, relativi a profili formali. 16. Con il primo si denunzia violazione del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 3, perché nel ricorso della ricorrente in opposizione a cartella esattoriale n. OMISSIS era stata formulata un'eccezione di inammissibilità dell'iscrizione a ruolo che la Corte ed il Tribunale avrebbero erroneamente respinto. Il secondo motivo ritorna sul tema sotto il profilo del vizio di motivazione. 17. I suddetti motivi che devono essere trattai congiuntamente, in ragione della loro connessione, non sono fondati. La regola dettata dall'articolo di cui la ricorrente assume la violazione D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 riguarda i contributi o premi dovuti e non versati agli enti pubblici previdenziali sul punto cfr. Cass. Sez. Un., 10 marzo 2011, n. 5680 , mentre l'accertamento oggetto di questa controversia riguarda il pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni, previsto dalla legge n. 300 del 1970, art. 18, u.c., per il caso di inottemperanza al provvedimento del giudice pagamento che non è né un contributo, né un premio, ma una sanzione. 18. Il terzo motivo denunzia violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 2. Si sostiene che la motivazione della sentenza è erronea laddove afferma che la cartella di pagamento non debba contenere alcuna motivazione, e comunque non debba contenere le indicazioni che consentano al destinatario di comprendere a quali debiti la cartella faccia riferimento quali, nel caso di contributi richiesti a seguito di avviso di accertamento ispettivo, gli estremi del medesimo avviso di accertamento e se, conseguentemente debba essere ritenuta nulla la cartella priva dei suddetti riferimenti. In tal modo però la società ricorrente attribuisce alla sentenza affermazioni che la Corte non ha compiuto. La Corte di appello ha sostenuto due cose distinte che la cartella non deve contenere una motivazione, ma solo l'indicazione del titolo e del quantum della pretesa che tali due elementi sussistono nella fattispecie. La prima affermazione si uniforma ad un principio di diritto sicuramente condivisibile, posto che l'art. 25 cit., comma 2, richiede solo che la cartella contenga l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo, con l'avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Non è richiesta alcuna motivazione. Quanto al secondo punto, la Corte non ha affatto sostenuto che la cartella può omettere di indicare titolo e quantum della pretesa ha anzi affermato che deve contenere tali elementi e che, nella specie, la cartella oggetto dell'opposizione permetteva di identificarli. Il principio di diritto affermato è corretto, mentre la valutazione sul contenuto della cartella concerne il merito della decisione è non può essere oggetto di un nuova valutazione in sede di legittimità, in presenza di adeguata motivazione sul punto. 19. Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 36 del d.lgs. n. 46 del 1999, nonché dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Assume la ricorrente che al verbale di accertamento INPS già formatosi non può applicarsi l'art. 36 del d.lgs. n. 46 del 1999, come successivamente modificato dalla legge n. 388 del 2000, dovendosi fare applicazione di tale novella solo con riguardo agli atti formatisi successivamente al 1 gennaio 2001. Pertanto, le pretese di cui al verbale di accertamento avrebbero dovuto essere iscritte a ruolo entro il 31 dicembre 2001, in ragione della disciplina di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 46 del 1999, nel testo vigente ratione temporis . Il motivo non è fondato. Ed infatti come questa Corte ha già avuto modo di affermare Cass., n. 26395 di 2013 , in materia di riscossione di contributi previdenziali, l'opposizione alla cartella esattoriale da luogo ad un ordinario giudizio di cognizione che investe il rapporto previdenziale obbligatorio, dovendosi escludere che l'eccepita decadenza dell'INPS per tardiva iscrizione dei crediti contributivi nei ruoli esecutivi determini altresì la decadenza sostanziale dell'Istituto dal diritto di chiedere l'accertamento in sede giudiziaria dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito, comportando soltanto l'impossibilità per l'ente di avvalersi del titolo esecutivo. 20. Con il sesto ed il settimo motivo si denunzia violazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. perché la Corte ha ritenuto che il lavoratore avesse rivestito la qualifica di dirigente sindacale e quindi fosse destinatario dell'art. 22 della legge n. 300 del 1978, avendo erroneamente valutato le risultanze dell'istruttoria testimoniale e la documentazione acquisita. I motivi sono inammissibili perché concernono il merito della valutazione della prova, collocandosi oltre l'ambito del giudizio di legittimità. 21. Con l'ottavo motivo si denunzia violazione dell'art. 18, comma 10, della legge n. 300 del 1970, per aver ignorato la rilevanza dell'elemento soggettivo nel ritenere applicabile la sanzione, in quanto la società non era consapevole che il lavoratore licenziato fosse dirigente sindacale. Il motivo è inammissibile perché la sentenza risponde specificamente a questa obiezione e il ricorso per cassazione non tiene conto degli argomenti della Corte, formulando critiche tarate su tali argomenti, ma si limita a riproporre genericamente la censura originaria. 22. Con il nono motivo si eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge n. 300 di 1970, per violazione artt. 3, 39 e 41 Cost., nella parte in cui prevede comunque la sanzione anche nel caso in cui ai lavoratori sindacalisti venga consentito l'esercizio dell'attività sindacale in azienda. L'eccezione è meramente enunciata e non è sostenuta da adeguate argomentazioni. Non essendovi motivi per porla d'ufficio, la stessa deve essere valutata inammissibile. 23. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore dell'INPS e S.C.CI. spa. Nulla spese per Equitalia Esatri spa che non ha svolto difese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compenso professionale, Euro cento per esborsi, oltre accessori di legge.