La società deve indicare, sin dall’inizio, i criteri di scelta dei lavoratori

La normativa regolamentare di cui al d.P.R. n. 218/2000 non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 9409, depositata il 29 aprile 2014. Avvio della CIGS i lavoratori devono essere informati dei criteri di scelta? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da un dipendente interessato da un intervento di cassa integrazione ex art. 1, commi 7 e 8, l. n. 223/1991 ed art. 2, d.P.R. n. 218/2000, al fine di ottenere una pronuncia che dichiarasse l’illegittimità della sospensione per CIGS e la condanna della società datrice al pagamento delle differenze tra il trattamento di cassa integrazione e la retribuzione spettante. All’esito del giudizio di merito, che l’ha vista soccombente, la società ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, in primo luogo, che, per effetto del d.P.R., n. 218/2000, la materia della cassa integrazione sarebbe stata delegificata, onde il citato decreto costituirebbe l’unico regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre disposizioni di fonte legale. Conseguentemente, sarebbe venuto meno il diritto delle organizzazioni sindacali e, di riflesso, dei lavoratori ad essere informati, sin dalla comunicazione di avvio della procedura, circa i criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione. In secondo luogo, la datrice ha sostenuto che i successivi accordi sindacali avrebbero avuto un effetto sanante in ordine alla definizione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione. La comunicazione di apertura della CIGS non indica i criteri di scelta? I provvedimenti datoriali sono inefficaci. La pronuncia in commento, nello smentire la tesi datoriale, ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la disciplina del d.P.R. n. 218/2000 non ha alcuna efficacia abrogativa della l. n. 223/1991 e, quindi, degli oneri di comunicazione di cui all’art. 1. Più specificamente, non incide in alcun modo sull’obbligo datoriale di comunicare alle organizzazioni sindacali, all’avvio della procedura per l’integrazione salariale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione. Il d.P.R., infatti, tende a semplificare la fase propriamente amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione della integrazione salariale, senza ridurre i diritti dei lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi funzionali cfr., ex plurimis , Cass. n. 4053/2011 . In altri termini, la disciplina regolamentare – che si limita a imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali – attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione stessa e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta il d.P.R. n. 218/2000, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della l. n. 223 citata. Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, atteso che, così opinando, verrebbero compressi i diritti d’informazione spettanti al sindacato e si delineerebbe un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato rispetto alla finalità perseguita. Conseguentemente, la mancata specificazione, nella comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, dei criteri di scelta dei lavoratori da mettere in cassa integrazione, determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali, che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori. Il successivo accordo sindacale non può sanare la genericità della comunicazione di avvio della CIGS. La pronuncia in commento ha, poi, affermato che la possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate cfr., ad esempio, Cass. n. 26587/2011 . Anche sotto questo profilo, dunque, il ricorso presentato dalla società è stato ritenuto infondato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, sentenza 18 marzo – 29 aprile 2014, n. 9409 Presidente Curzio – Relatore Mancino Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. L'impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua denominazione, si occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel 1998 acquistò da FIAT Auto spa il ramo d'azienda relativo ai c.d. servizi logistici comuni del comprensorio di , consistenti nel rifornimento interno dei materiali, nonché nelle attività di imballaggio e preparazione alla spedizione di componenti per vetture. In seguito, operò ulteriori acquisizioni di rami d'azienda, relativi ad attività di confezionamento ed imballaggio di parti d'auto per stabilimenti all'estero e di pezzi di ricambio per le autovetture FIAT. 2. Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero accorpate e concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina , in cui operavano lavoratori in parte addetti al confezionamento manuale, in parte al confezionamento meccanizzato, in altra parte impiegati in attività di carrellisti e magazzinieri. 3. A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della produzione FIAT, si ridusse anche l'attività di logistica e la società ricorrente, dopo aver fatto ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla mobilità collegata al raggiungimento del trattamento pensionistico, nel dicembre 2002, richiese la CIGS a zero ore per un anno per 665 lavoratori impiegati negli stabilimenti piemontesi di omissis . 4. Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle organizzazioni sindacali la richiesta di intervento di CIGS ai sensi dell'art. 1, commi 7 e 8, della L. 223 del 1991, nonché dell'art. 2 del dpr 218 del 2000, precisando che i lavoratori interessati alla sospensione saranno individuati sulla base di esigenze tecniche, organizzative e produttive e per tali soggetti non potrà essere prevista la rotazione, sia per le caratteristiche delle attività che vengono a cessare, sia per la specificità delle risorse che dovranno essere sospese in quanto queste ultime non consentono l'utilizzo di mano d'opera con una metodologia di impiego polivalente . Seguì l'esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente. Nel relativo verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che verrà fatto ricorso alla CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal 2 gennaio 2003 per massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore settimanali, individuati in base alle esigenze tecnico-organizzative e produttive aziendali . Per quanto riguarda la rotazione l'azienda si dichiara disponibile a realizzarla nel numero di lavoratori di cui l'organizzazione aziendale lo consente, con modalità che verranno concordate con le RSU, compatibilmente con le esigenze tecnico produttive . 6. Il 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria RSU sottoscrissero un accordo in cui le parti si diedero atto che pur non risolvendo totalmente il problema della rotazione fra i lavoratori interessati alla CIGS avevano operato un primo approccio alla gestione dei dipendenti in oggetto . L'accordo individua diverse mansioni e stabilisce che la rotazione verrà realizzata su 54 postazioni lavorative 30 carrellisti e 24 suddivise tra altre 11 mansioni, con numero variabile da 1 a 3 ed avverrà con cadenza massima di due mesi. Fu costituita una commissione paritetica per verificare e concordare le modalità concrete di rotazione. 7. Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda richiesta di CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in quanto la debolezza della domanda aveva assunto carattere strutturale rendendo necessario un intervento di riorganizzazione produttiva. La richiesta era di sospensione dal 3 gennaio 2004 per 24 mesi di un numero massimo di 1148 dipendenti. Nella richiesta si dichiarava che i lavoratori sarebbero stati individuati sulla base di esigenze tecniche, organizzative e produttive e per tali soggetti sarà prevista la rotazione sulla base dei criteri già individuati nell'intesa aziendale del 19 giugno 2003 . 8. Il 19 e 23 dicembre si tenne l'esame congiunto con le OOSS e le parti concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione aziendale per 24 mesi a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero non superiore a 665 dipendenti, prevedendo la possibilità di raggiungere punte sino a 1148 addetti. Per quanto attiene alla rotazione le parti confermarono il contenuto dell'accordo del 19 giugno 2003. L'esame congiunto venne rinnovato nel gennaio 2004, confermando gli accordi del 19 dicembre e del 19 giugno 2003. 9. A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del Tribunale di Torino, la Corte d'appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha dichiarato l'illegittimità della sospensione per CIGS ed ha condannato la società al pagamento delle differenze tra il trattamento di cassa integrazione e la retribuzione spettante, oltre rivalutazione ed interessi. 10. La società chiede l'annullamento della sentenza. Parte intimata si è difesa con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria. 11. I motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse questioni poste dalla società. 12. La prima censura è di violazione o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1, legge n. 223 del 1991 e 2, d.p.r. n. 218 del 2000. Violazione o falsa applicazione dell'articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.p.r. n. 218 del 2000 e l'art. 1 della legge n. 223. 13. Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.p.r. n. 218 del 2000 Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà, ai sensi dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91 , avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni. Per effetto di tale operazione, il d.p.r. costituirebbe ormai l'unico regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre disposizioni anche di fonte legale. 14. In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione datoriale di avvio della procedura quanto l'esame congiunto dovevano intendersi disciplinati esclusivamente dal d.p.r., con esclusione di ogni possibilità di integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir meno del diritto delle organizzazioni sindacali, e di riflesso dei lavoratori, ad essere informati sin dalla comunicazione di avvio della procedura circa i criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione. 15. La tesi della società contrasta con l'orientamento consolidato di questa Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da Cass. 28 novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il problema, all'esito di una analitica ricognizione del quadro normativo, affermò il seguente principio la disciplina del d.p.r. n. 218 del 2000 non ha alcuna efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli oneri di comunicazione di cui all'art. 1. Più specificamente non incide in alcun modo sulle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 5 della legge 164 del 1975 e 1, comma 7, della legge 223 del 1991 riguardante l'obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura per l'integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità di rotazione. Il d.p.r. tende a semplificare la fase propriamente amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre i diritti dei lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi funzionali. 16. Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza successiva cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053 e costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, c.p.c., come ha rilevato la Sesta sezione civile in una serie di ordinanze emesse in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c. cfr. per tutte, Cass. VI civile-lavoro, 12 dicembre 2011, n. 26587 In tema di procedimento per la concessione della CIGS devono escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223 la disciplina regolamentare, che si limita a imporre all'imprenditore che intenda chiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale l'obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell'integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all'art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata. Né la normativa regolamentare ha spostato l'informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell'esame congiunto, atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all'art. 2 del d.p.r. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all'esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come conseguenza solo l'alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d'informazione spettanti al sindacato, delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato rispetto alla finalità perseguita. Principio affermato ai sensi dell'art. 360-bis, comma 1, c.p.c. . 17. Il ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare orientamento. 18. Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della specificazione dei criteri in sede di comunicazione di avvio della procedura ai sensi dell'art. 1, comma 7, L. 223/1991, dell'art. 5, comma 4,5, 6 L. n. 164/75, 2697 e dell'art. 2 d.p.r. 218/2000 in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura. 19. Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo costante. La norma guida art. 1, comma 7, della legge 223 del 1991 è molto chiara nello stabilire che devono formare oggetto della comunicazione i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità della rotazione prevista dal comma 8 . 20. Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni riduttive di tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del 2000, che, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l'attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5. 21. L'orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella successiva giurisprudenza di legittimità per tutte Cass. 23 aprile 2004, n. 7720 Cass. 4 maggio 2009, n. 10236 Cass. 1 luglio 2009, n. 15393 Cass. 21 settembre 201 l,n. 19235 . 22. Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i principi base che regolano la materia a il provvedimento di sospensione dell'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere Cass. 28 novembre 2008, n. 28464 b la specificità dei criteri di scelta consiste nell'idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri Cass. 23 aprile 2004, n. 7720 c la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale la cui genericità rende impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, Cass. 9 giugno 2009, n. 13240 d la mancata specificazione dei criteri di scelta o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione determina l'inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori Cass. 19 agosto 2003, n. 12137 Cass. 18 maggio 2006, n. 11660 23. La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di avvio della procedura di Cassa integrazione oggetto dell'esame giudiziale ai requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine al contenuto dell'atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di legittimità, quando, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni. 24. Un'ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al preteso effetto sanante dell'esame congiunto rispetto alla comunicazione di avvio della procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati adeguatamente specificati in tale atto, vuoi perché i verbali di esame congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità della procedura. 25. La tesi per cui l'accordo sindacale sul cui contenuto, v., supra , punto n. 5 e 6 conterrebbe un'adeguata specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e spiegherebbe adeguatamente le ragioni della impossibilità del ricorso alla rotazione si risolve nella proposizione di un giudizio di merito basato anche su di una particolare rilettura della prova orale, riportata peraltro per stralci , difforme rispetto a quello della Corte d'appello. Tale valutazione, al pari di quella concernente la comunicazione di avvio della procedura, spetta in via esclusiva al giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità, che nel caso in esame vengono nettamente travalicati. 26. Quanto poi alla tesi secondo la quale i verbali di esame congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità della procedura, la società ricorrente la basa sull'art. 2 del d.p.r. 218 del 2000. Dalla lettura di tale norma, però, si evince che all'esame congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali o regionali del lavoro, ma non si evince alcuna efficacia certificatoria della regolarità della comunicazione aziendale al sindacato in ordine all'adeguata indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali non si ricorre alla rotazione. 27. A queste considerazioni, di per sé esaustive, deve aggiungersi che la possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, laddove l'accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell'ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate. Per approfondimenti si rinvia a Cass. 26587/2011 cit. in generale sull'esclusione del carattere sanante dell'accordo cfr. Cass. 9 giugno 2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio 2009, n. 15393 . 28. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi professionali ed Euro 100,00 per spese, oltre accessori.