Mesi stressanti a lavoro, infarto fatale per il dipendente: nessun risarcimento ai familiari

Nessuna colpa è addebitabile all’azienda. Rilevante il fatto che il periodo di lavoro stressante sia durato solo 6 mesi, e sia collocato temporalmente ben 2 anni e mezzo prima dell’infarto che ha provocato la morte del dipendente.

Arco temporale definito soli 6 mesi di lavoro davvero stressanti! Fase troppo limitata, e troppo distante dalla drammatica morte – per infarto – del lavoratore, per poter addebitare il decesso alla condotta tenuta dall’azienda – la ‘Fiat’, per la precisione –. Per questo, è ‘cestinata’ definitivamente la richiesta di risarcimento del danno biologico avanzata dai familiari del dipendente Cass., sent. n. 9200/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Infarto. Punto di svolta della vicenda giudiziaria è la pronunzia della Corte d’Appello, che, riformando quanto deciso in Tribunale, respinge la domanda proposta dagli eredi di un dipendente – periodo anni ’70-anni ’90 – della ‘Fiat’ finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno biologico quale conseguenza del decesso dell’uomo. Secondo i familiari, l’ infarto – che ha provocato la morte dell’uomo – è dipeso dalla stressante attività lavorativa . Ma i giudici di secondo grado sono di avviso opposto non vi sono, a loro avviso, elementi tali da addebitare all’azienda la mancanza di tutele della integrità fisica” del dipendente. Peraltro, aggiungono i giudici, l’eventuale attività stressante svolta dal lavoratore – e ritenuta acclarata dal Tribunale –, tale provocare il decesso dell’uomo, sarebbe stata circoscritta a soli sei mesi e collocata, comunque, due anni e mezzo prima rispetto al momento in cui l’uomo fu colpito da infarto . Stress limitato. Per i familiari dell’uomo, però, la battaglia è da portare ancora avanti ecco spiegato il ricorso in Cassazione, centrato sulla tesi che il decesso fu determinato da una patologia legata all’ambiente di lavoro , ossia a uno stato di malattia, non conclamata, determinata dallo stress psico-fisico cui l’uomo era stato assoggettato nello svolgimento dell’attività lavorativa e che aveva determinato prima una cardiopatia ischemica e poi la morte . Ciò può bastare, secondo i familiari, per vedere riconosciuto il loro diritto al risarcimento , senza dimenticare, poi, la permanente alterazione del rapporto familiare, derivante dall’improvvisa privazione di tutti i legami affettivi, etici e psicologici . Ma questa prospettiva non viene ritenuta credibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, condividendo le valutazioni compiute in Appello, ritengono non addebitabili particolari omissioni all’azienda. Giustamente, poi, evidenziano i giudici, è stato sottolineato che l’eventuale attività stressante , subita dall’uomo, sarebbe stata circoscritta a un periodo di appena sei mesi, collocati a circa due anni e mezzo dal drammatico momento in cui il dipendente fu colpito da infarto . Evidente la carenza di presupposti concreti sia per il riconoscimento di un risarcimento iure proprio – in quanto i familiari non hanno esposto di aver subito una lesione della propria integrità psico-fisica per la perdita del congiunto – sia per il riconoscimento di un risarcimento iure hereditatis – in quanto l’uomo era deceduto per infarto, con la conseguenza che non si erano verificati neppure i presupposti per l’insorgenza del diritto al risarcimento in capo al defunto, in assenza di un apprezzabile lasso di tempo tra l’insorgere delle lesioni colpose e la morte causata dalle stesse .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 marzo – 23 aprile 2014, n. 9200 Presidente Miani Canevari – Relatore D’Antonio Svolgimento del giudizio Con sentenza del 7 febbraio 2007 la Corte d'appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale, ha respinto la domanda proposta dagli eredi di G.S., dipendente della Fiat Auto dal 1970 al 1995, volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico quale conseguenza del decesso del dante causa per infarto determinato dalla stressante attività lavorativa cui era stato sottoposto nonché la riliquidazione del trattamento di fine rapporto percepito dal dante causa con l'inserimento nella base di calcolo dello straordinario continuativamente espletato e del beneficio dell'auto concessa in uso gratuito al lavoratore. La Corte territoriale ha rilevato che non vi erano elementi probatori idonei ad affermare la violazione dell'articolo 2087 codice civile da parte del datore di lavoro e che in ogni caso l'eventuale attività stressante svolta dal lavoratore, ritenuta dal Tribunale legata da nesso causale con il decesso di quest'ultimo, sarebbe stata circoscritta al periodo compreso tra giugno e novembre 1992 e cioè circa due anni e mezzo prima rispetto al momento in cui il S. fu colpito da infarto. Secondo la Corte, comunque, difettavano i presupposti per il riconoscimento del danno biologico richiesto sia iure proprio sia iure hereditatis. Quanto all'inserimento nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto del benetit dell'uso gratuito della vettura la Corte ha escluso che questo costituisse una forma di compenso integrativo della retribuzione. Infine circa il lavoro straordinario secondo il giudice di merito non risultava provato che l'indennità di funzioni direttive volta a remunerare anche in misura forfettizzata le prestazioni di lavoro straordinario fosse inadeguata rispetto alla quantità del lavoro svolto. Avverso la sentenza ricorrono in Cassazione gli eredi di G.S. formulando sette motivi. Resiste la società depositando controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art 378 cpc. La società controricorrente ha depositato note in replica alle conclusioni del Procuratore Generale. Motivi della decisione 1 con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 32 e 41 della costituzione, dell'articolo 2087, 1375, 1175, 1218, 2043, 2697 nonché vizio di motivazione. Censurano la sentenza per aver affermato che non vi erano elementi per affermare la violazione dell'articolo 2087 cc. Rilevano che il decesso del de cuius fu sicuramente determinato da una patologia legata all'ambiente di lavoro l'infarto mortale fu l'evento finale di uno stato di malattia non conclamata determinata dallo stress psicofisico cui il S. era stato assoggettato nello svolgimento dell'attività lavorativa e che aveva determinato la cardiopatia ischemica e poi la morte. 2 con il secondo motivo denunciano violazione dell'articolo 2, 32 della costituzione, degli articoli 1223, 1226, 2087, 2043, 2056, 2057, 2058, 2059, 2697 codice civile, nonché degli articoli 112, 113, 114, 115 codice procedura civile per omessa ed erronea valutazione del materiale probatorio dal quale risultava provato il rapporto di derivazione causale della malattia dalle particolari condizioni di stress cui il S. era costretto a svolgere l'attività lavorativa, nonché vizio di motivazione. 3 Con il terzo motivo denunciano violazione di articoli 2, 29, 32 della costituzione, nonché degli articoli 1223, 1226, 2056, 2057, 2059 e 2697 cc. Censurano la sentenza per aver respinto la domanda di risarcimento iure hereditatis avendo negato l'esistenza di un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte. Lo stato di malattia di G. fu provocato dalla qualità e modalità del lavoro svolto da considerare fattori anche concausali, efficienti e determinanti della cardiopatia ischemica dallo stesso sofferta ed affermano che la malattia fu pregressa all'evento mortale e che pertanto sussisteva il loro diritto al risarcimento iure hereditatis. Quanto al risarcimento del danno iure proprio rilevano che ad essi spettava in ragione della permanente alterazione della rapporto familiare derivante dall'improvvisa privazione di tutti i legami affettivi, etici e psicologici da inquadrarsi nel cosiddetto danno esistenziale la cui sussistenza poteva essere anche data per presunzioni. Le censure, congiuntamente esaminate stante la loro connessione, sono infondate. La Corte territoriale ha ritenuto che dalla prova testimoniale svolta, ed in particolare dalle deposizioni dei testi G. e S., non si potessero ricavare significativi ed inequivoci elementi per poter affermare la violazione da parte del datore di lavoro dell'art 2087 cc. La Corte ha sottolineato, inoltre, che l'eventuale attività stressante sarebbe stata circoscritta al periodo compreso tra giugno e novembre 1992 e cioè ad un arco di tempo di circa due anni e mezzo ben anteriore rispetto al momento in cui il S. fu colpito da infarto. Secondo il giudice di merito difettavano, comunque i presupposti sia per il riconoscimento di un risarcimento ai ricorrenti iure proprio non avendo essi esposto di aver subito una lesione della propria integrità psicofisica per la perdita del congiunto e sia per il riconoscimento di un risarcimento iure hereditatis in quanto G.S. era deceduto per infarto, con la conseguenza che non si erano verificati neppure i presupposti per l'insorgenza del diritto al risarcimento in capo al defunto in assenza di un apprezzabile lasso di tempo tra l'insorgere delle lesioni colpose e la morte causata dalle stesse. Pur rilevando che l'esposizione della Corte territoriale è sintetica, essa, comunque, esprime con chiarezza il procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata. Va in proposito richiamato l'orientamento giurisprudenziale consolidato Cass., 29 aprile 1999, n. 4347, nonché Cass., 4 dicembre 1999, n. 13567 Cass. 11900/2003 Cass. 10902/2001 in forza del quale la valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri - come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione - non sono deducibili in sede di legittimità, se non nei limiti della mancanza, insufficienza o contraddittorietà di motivazione, involgendo apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito . Si è affermato, inoltre, che Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fitti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Cass. n. 2357 del 07/02/2004 n. 7846 del 4/4/2006 n. 20455 del 21/9/2006 n. 27197 del 16/12/12011 . I ricorrenti propongono una diversa valutazione dei fatti formulando in definitiva una richiesta di duplicazione del giudizio di merito, senza evidenziare circostanze decisive che avrebbero consentito, se valutate dalla Corte, di accertare le responsabilità del datore di lavoro ed il nesso causale tra la morte del G.S. e l'inadempimento della società agli obblighi imposti dall'art. 2087 cc. Si limitano a riferire genericamente della stressante attività lavorativa svolta dal loro dante causa ma non evidenziano specifici inadempimenti del datore di lavoro. Affermano che la cardiopatia ischemica causa del decesso fu l'evento finale di uno stato pregresso di malattia, ma omettono, ai fini dell'autosufficienza del ricorso in Cassazione non essendovi menzione nella sentenza impugnata di detta malattia pregressa del de cuius, di indicare di aver allegato nel ricorso introduttivo l'esistenza di una patologia pregressa o gli elementi probatori da cui detta patologia risultava accertata. Non censurano in modo specifico l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'eventuale attività stressante sarebbe stata circoscritta al periodo giugno-novembre 1992 e cioè a circa due anni e mezzo prima del momento in cui il S. fu colpito da infarto. Per le ragioni che precedono la sentenza impugnata non è censurabile per aver escluso la responsabilità della società datrice di lavoro. 4 e 5 Il quarto motivo con cui i ricorrenti censurano la quantificazione del danno effettuata dal Tribunale ed il quinto motivo con cui denunciano vizio di motivazione circa la determinazione del danno biologico restano assorbiti stante il rigetto dei primi tre motivi. 6 Con il sesto motivo i ricorrenti censurano la sentenza per aver negato che il beneficio derivante dall'uso gratuito dell'autovettura dovesse essere incluso nella base di calcolo del TFR avendone il giudice di merito negato la natura retributiva. Anche tale censura non può essere accolta. La Corte territoriale ha accertato che la società offriva a ciascun dipendente uno sconto su tutti i tipi di auto emettendo al momento dell'acquisto una fattura con scadenza di pagamento dopo 12 mesi e con possibilità per il dipendente di optare per il pagamento della vettura o per l'acquisto di una nuova previo conferimento alla società di procura a vendere la precedente vettura trattenendone il corrispettivo. Ha altresì afiermato che cessando il rapporto sorgeva per il dipendente l'obbligo di pagamento del prezzo convenuto. La Corte territoriale ha escluso che in tale meccanismo fosse ravvisabile una forma di compenso integrativo avente fondamento nel rapporto di lavoro ostando a tale ricostruzione la circostanza che il lavoratore al momento della risoluzione del rapporto o quando non intendesse più acquistare una nuova macchina doveva pagare il valore dell'autovettura. I ricorrenti non indicano gli elementi da cui desumere l'utilizzo gratuito della vettura in contrasto con quanto accertato dalla Corte territoriale circa la sussistenza di un vero e proprio acquisto sebbene caratterizzato da determinate condizioni. Non è, pertanto, censurabile l'affermazione della Corte secondo cui la previsione del pagamento del prezzo dell'auto all'atto della risoluzione del rapporto o quando il dipendente non intendesse più acquistare una nuova vettura, escludeva che l'uso della vettura costituisse veramente un corrispettivo della prestazione lavorativa e non invece una forma di incentivazione all'acquisto di auto della società in favore dei dipendenti legata pur sempre ad una scelta discrezionale degli stessi , come sostenuto dalla Corte. 7 con il settimo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'articolo 2108 cc per l'omessa pronuncia della Corte circa il lavoro straordinario prestato dal dante causa nonché vizio di motivazione. Anche tale motivo è infondato. La Corte territoriale ha ben evidenziato che il S. godeva di un'indennità di funzioni direttive diretta a remunerare sia la professionalità sia in misura forfettizzata le prestazioni di lavoro straordinario. La Corte ha poi rilevato che il lavoratore avrebbe avuto diritto al compenso per lavoro straordinario solo se avesse provato l'effettuazione di attività lavorativa superiore alla pattuita forfetizzazione, circostanza che non era emersa dalla istruttoria testimoniale e documentale. Le generiche censure formulate dai ricorrenti non hanno evidenziato in concreto lacune della sentenza impugnata che ha adeguatamente motivato il rigetto della domanda di pagamento del lavoro straordinario. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato atteso che la sentenza impugnata resiste a tutte le censure ad essa rivolte con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese processuali liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.