Luogo di inizio e termine della prestazione non coincidono? L’onere della prova spetta al dipendente

La previsione secondo la quale, per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto, si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto va coordinato con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore la dimostrazione delle modalità della prestazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 9062, depositata il 18 aprile 2014. Il conducente di linea termina il turno in un luogo diverso da quello di inizio che diritti ha? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da alcuni dipendenti di un’azienda concessionaria di pubblici servizi di trasporto che, in considerazione della mancata coincidenza tra il luogo in cui iniziavano la prestazione lavorativa e quello in cui essa aveva termine, hanno reclamato la retribuzione relativa alla metà del tempo impiegato per raggiungere, alla fine di ogni turno, il luogo di partenza, ai sensi dell’art. 17, lett. c , r.d.l. n. 2328/1923. Al termine del giudizio di merito, le richieste dei conducenti sono state respinte, essendo emerso che i lavoratori, per propria scelta personale, una volta finita la giornata lavorativa, non erano soggetti ad alcun vincolo da parte del datore di lavoro che il datore di lavoro aveva modulato il servizio in modo da consentire ai lavoratori di terminare la prestazione nel luogo in cui lasciavano il mezzo aziendale, tanto da prevedere, in tale luogo, la presenza di un capo linea addetto anche al rilievo delle presenze di inizio e fine turno che gli spostamenti effettuati dai lavoratori a fine servizio prescindevano dall’organizzazione aziendale. Sulla base di tali circostanze, il giudice di merito ha escluso che, nella fattispecie, ricorresse un’ipotesi di viaggio comandato , con la conseguenza che non poteva essere applicata la disposizione invocata. La Cassazione chiarisce la ratio della disciplina in tema di viaggi comandati . Come è noto, l’art. 17, lett. c , r.d.l. n. 2328/1923, dispone che si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto . La norma considera che, in base alle comuni più diffuse esigenze, il dipendente, al termine del lavoro, ripercorra la stessa strada che l’ha inizialmente condotto al lavoro ed abbia in tal modo interesse a concludere la prestazione nel luogo in cui l’ha iniziata. Quando ciò non avvenga a causa della programmazione aziendale, il tempo necessario allo spostamento dall’uno all’altro luogo assume la natura di tempo di lavoro ed, in tale forma, è normativamente qualificato. Presupposti per l’applicabilità della disposizione in esame non sono l’uso del mezzo gratuito di servizio, né il fatto che il lavoratore si rechi al lavoro con un proprio mezzo ovvero con mezzi pubblici ovvero a piedi, bensì, da un lato, la non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione del lavoro giornaliero e, dall’altro, che questa non coincidenza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, ed esclusivamente, da una necessità logistica aziendale la necessità che il lavoro inizi in un determinato luogo e cessi in altro luogo Cass., n. 26581/2011 . Sulla base di questi presupposti, la norma è diretta a compensare il tempo che il dipendente impiega per recarsi dall’uno all’altro luogo spostamento che assume rilievo, tuttavia, solo all’inizio od alla cessazione del lavoro da prestare in azienda, posto che lo spostamento che avviene nel corso della giornata lavorativa ha il suo compenso nella retribuzione. Il lavoratore deve provare le modalità della prestazione. La pronuncia in commento ha confermato che la disciplina in materia di viaggi comandati deve coordinarsi con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore la dimostrazione delle modalità della prestazione e, cioè, del tipo di turno praticato, degli spostamenti effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della prestazione e di ogni altro elemento idoneo. La sentenza impugnata, pertanto, è stata ritenuta esente da censure, atteso che il rigetto delle richieste avanzate dai dipendenti è dipeso dalla mancata dimostrazione, da parte di questi ultimi, dell’esatto contenuto delle disposizioni aziendali della concreta articolazione dei turni lavorativi se alla fine del servizio essi avrebbero dovuto necessariamente far ritorno nel deposito, ove aveva avuto inizio la prestazione lavorativa del percorso che avrebbero dovuto compiere nell’ipotesi in cui la prestazione lavorativa fosse iniziata nel c.d. posto di cambio se, in tale ultima ipotesi, fossero tenuti ugualmente a far ritorno nel luogo del deposito ovvero potevano liberamente recarsi nella propria abitazione. Inoltre, e per di più, i ricorrenti non avevano provato che i viaggi erano stati comandati” e da chi erano stati in precedenza programmati.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 febbraio – 18 aprile 2014, n. 9062 Presidente Vidiri – Relatore Venuti Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Napoli, L.G. , M.V. , I.P. , I.C. e La.Lu. , tutti dipendenti, quali conducenti di linea, dell'Azienda Napoletana Mobilità S.p.A., premesso che il luogo in cui iniziavano la prestazione lavorativa non coincideva con quello in cui essa aveva termine e che il tempo di viaggio impiegato per raggiungere, alla fine di ogni turno, il luogo di partenza non era stato mai retribuito dall'Azienda, chiesero che tale tempo di viaggio venisse considerato come lavoro effettivo, con il riconoscimento del diritto a percepire la metà della retribuzione ai sensi dell'art. 17, lett. c , R.D.L. 19 ottobre 1923 n. 2328, secondo cui si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto . Il Tribunale adito respinse le domande e tale decisione venne confermata dalla Corte d'Appello di Napoli con sentenza del 10 giugno - 9 agosto 2010. Ha osservato la Corte di merito che, come era stato osservato in altre controversie analoghe, era pacifico che i lavoratori, per propria scelta personale, una volta finita la giornata lavorativa, non erano soggetti ad alcun vincolo da parte del datore di lavoro che l'Azienda aveva modulato il servizio in modo da consentire ai lavoratori di terminare la prestazione nel luogo in cui lasciavano il mezzo aziendale, tanto da prevedere in tale luogo la presenza di un capo linea addetto anche al rilievo delle presenze di inizio e fine turno che gli spostamenti effettuati dai lavoratori a fine servizio prescindevano dalla organizzazione aziendale che era dunque da escludere che nella specie ricorresse un'ipotesi di viaggio comandato , con la conseguenza che non poteva essere applicata la disposizione invocata. Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione L.G. , M.V. e I.P. , sulla base di due motivi. L'Azienda ha resistito con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 17, lett. c , R.D.L. n. 2328 del 1923 e dell'art. 12 delle disposizioni della legge in generale, nonché vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, i ricorrenti deducono che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che non fosse applicabile nella fattispecie la disposizione da loro invocata. Ed infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, i presupposti per l'applicazione di tale norma sono costituiti dalla non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione del lavoro giornaliero e dal fatto che questa non coincidenza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì da una necessità logistica aziendale. La separazione spaziale tra i due luoghi è il fondamento del diritto, con la conseguente corresponsione della ridotta retribuzione. E poiché, secondo i ricorrenti, nella specie era incontroverso che la prestazione lavorativa iniziava e terminava in luoghi diversi per disposizione aziendale, i giudici di merito avrebbero dovuto accogliere la domanda. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Deducono che, in ogni caso, la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere la domanda risarcitoria, fondata sul rilievo che gli spostamenti cui essi ricorrenti erano tenuti costituivano un onere aggiuntivo, trattandosi di una modalità di svolgimento della prestazione diversa da quella normale, da risarcire con valutazione equitativa. Sul punto, aggiungono i ricorrenti, il giudice d'appello non s'è pronunziato. 3. Il primo motivo non è fondato. L'art. 17, lett. c , R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, dispone che si computa come lavoro effettivo .la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto . La norma considera che, in base alle comuni più diffuse esigenze, il dipendente, al termine del lavoro, ripercorra la stessa strada che l'ha inizialmente condotto al lavoro ed abbia in tal modo interesse a concludere la prestazione nel luogo in cui l'ha iniziata. Quando ciò non avvenga a causa della programmazione aziendale, il tempo necessario allo spostamento dall'uno all'altro luogo assume la natura di tempo di lavoro, ed in tale forma è normativamente qualificato. Presupposti per l'applicabilità della disposizione in esame non sono l'uso del mezzo gratuito di servizio, né il fatto che il lavoratore si rechi al lavoro con un proprio mezzo ovvero con mezzi pubblici ovvero a piedi, bensì, da un lato, la non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione del lavoro giornaliero, dall'altro che questa non coincidenza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, ed esclusivamente, da una necessità logistica aziendale la necessità che il lavoro inizi in un determinato luogo e cessi in altro luogo. Sulla base di questi presupposti, la norma è diretta a compensare il tempo che il dipendente impiega per recarsi dall'uno all'altro luogo spostamento che assume tuttavia rilievo solo all'inizio od alla cessazione del lavoro da prestare in azienda, posto che lo spostamento che avviene nel corso della giornata lavorativa ha il suo compenso nella retribuzione. In altri termini il fondamento del diritto è la separazione spaziale fra luogo di inizio e luogo di cessazione del lavoro e che tale separazione non sia il prodotto di una scelta del lavoratore, ma sia oggettivamente predeterminata dalla programmazione del lavoro aziendale, che inizia in un luogo e si conclude in altro luogo. Assunto questo che trova conforto nella chiara lettera viaggi comandati e nella ratio del citato art. 17 R.D.L. n. 2328 del 1923, che attestano la necessità che le esigenze aziendali - a fronte delle quali si giustifica la richiesta del compenso rivendicato - vengano valutati da coloro che per le mansioni svolte hanno il compito, con l'assunzione di una propria personale responsabilità, di predeterminare la programmazione dei viaggi con modalità che ne consentano poi - in ragione della funzione di pubblico interesse dell'Azienda Napoletana - il doveroso controllo. Va al riguardo osservato che questa Corte ha costantemente affermato il principio di diritto, secondo cui al fine di poter considerare - ai sensi dell'art. 17 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 - come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato dal lavoratore dipendente di una società di pubblici servizi di trasporto in concessione per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località all'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto è necessario che non via sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale, rimanendo irrilevante l'uso del mezzo gratuito di servizio da parte del lavoratore o che quest'ultimo si rechi al lavoro con un proprio mezzo ovvero con mezzi pubblici od anche a piedi. Concorrendo tali condizioni, il lavoratore può ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma alla lett. e , il cui fondamento è insito nell'esigenza di compensare il tempo necessario al menzionato spostamento indotto dall'organizzazione del lavoro riconducibile all'azienda Cass. 20 febbraio 2006 n. 3575 Cass. 21 febbraio 2008 n. 4496 Cass. 25 marzo 2010 n. 7197 Cass. 8 aprile 2010 n. 8355 Cass. 6 maggio 2011 n. 10020 Cass. 12 dicembre 2011 n. 26581 . Nella fattispecie in esame i ricorrenti, come risulta dal ricorso qui proposto, si sono limitati ad indicare che il punto di inizio della prestazione non coincideva con quello finale. In particolare, non hanno allegato, né tanto meno dimostrato, quali fossero, in generale, le disposizioni aziendali come erano articolati in concreto i turni lavorativi se alla fine del servizio essi avrebbero dovuto necessariamente far ritorno nel c.d. deposito, ove aveva avuto inizio la prestazione lavorativa quale percorso dovevano compiere nell'ipotesi in cui la prestazione lavorativa fosse iniziata nel c.d. posto di cambio se, in tale ultima ipotesi, fossero tenuti ugualmente a far ritorno nel luogo del deposito ovvero potevano liberamente recarsi nella propria abitazione. Inoltre, e per di più, i ricorrenti non hanno provato che i viaggi erano stati comandati e da chi erano stati in precedenza programmati. Tutto ciò, tenuto conto delle obiezioni dell'Azienda resistente, secondo cui i turni di servizio erano articolati in modo che i lavoratori potevano recarsi direttamente presso il posto di cambio quando iniziavano a lavorare, senza essere obbligati a presentarsi preventivamente al deposito, ovvero potevano far ritorno direttamente a casa quando terminavano il turno presso un posto di cambio. Ed al riguardo la Corte di merito ha effettivamente accertato, come evidenziato nella parte espositiva, che i lavoratori una volta finita la giornata lavorativa, non erano soggetti ad alcun vincolo da parte del datore di lavoro che l'Azienda modulava il servizio in modo da consentire ai lavoratori di terminare la prestazione nel luogo in cui lasciavano il mezzo aziendale, tanto da prevedere in tale luogo la presenza di un capo linea addetto anche al rilievo delle presenze di inizio e fine turno che gli spostamenti effettuati dai lavoratori a fine servizio prescindevano dalla organizzazione aziendale ed erano frutto di proprie scelte personali. Tali affermazioni non sono state, invero, contestate in questa sede dai ricorrenti, i quali hanno continuato a sostenere che la non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione del lavoro giornaliero e la circostanza che questa non coincidenza fosse determinata da una necessità aziendale erano elementi sufficienti per il riconoscimento della loro pretese, a prescindere dalle concrete modalità della prestazione lavorativa. La genericità delle allegazioni dei ricorrenti, in assenza di una disposizione che prescriva che il luogo di inizio e quello di cessazione della prestazione debba essere il medesimo, comporta il rigetto delle domande. Devesi qui ribadire il principio, sopra richiamato, affermato in materia da questa Corte, così precisato con riguardo agli oneri probatori imposti al lavoratore L'art. 17 del r.d.l. 19 ottobre 1923 n. 2328 — nella parte in cui prevede, per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, che si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto - interpretato nel senso che il computo del tempo dei viaggi, regolarmente comandati ed effettuati anche con proprio mezzo di trasporto, presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva da una necessità logistica aziendale, va coordinato con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore, per ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, la dimostrazione delle modalità della prestazione, e cioè del tipo di turno praticato, degli spostamenti effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della prestazione e di ogni altro elemento idoneo. 4. Il secondo motivo è inammissibile. La Corte di merito non ha affrontato la questione relativa al risarcimento dei danni asseritamente subiti dai lavoratori sul presupposto che gli spostamenti cui i medesimi erano tenuti costituivano un onere aggiuntivo, trattandosi di una modalità di svolgimento della prestazione diversa da quella normale, da risarcire con valutazione equitativa. Né la stessa Corte fa riferimento, nella esposizione dei fatti, a tale domanda. In tale situazione, i ricorrenti avrebbero dovuto allegare di aver proposto la domanda in primo grado, di averla riproposta in appello a seguito del suo mancato accoglimento o esame , esponendone i termini, in modo così da poterne eccepire la omessa pronuncia sul punto. A tale onere, discendente dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, i ricorrenti sono venuti meno, onde la censura in esame non può trovare ingresso in questa sede, stante la sua inammissibilità. 5. Il ricorso deve, in conclusione essere rigettato, previa compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio, avuto riguardo alla natura, alla rilevanza e alla complessità delle questioni trattate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.