Amore (poco) e odio (tanto) del dirigente verso l’azienda: licenziato

Valutata come giustificata la decisione della società. Rilevante l’atteggiamento di manifesta conflittualità da parte del lavoratore nei confronti dell’azienda. Non regge l’ipotesi, avanzata dall’uomo, di essere stato vittima di discriminazioni inutile il richiamo alla situazione di disagio vissuta sul luogo di lavoro e ai rapporti difficili col direttore generale.

‘Muro contro muro’ plateale la conflittualità del dirigente nei confronti dell’azienda. E lo scontro con il direttore generale è solo la punta dell’iceberg Impensabile la prosecuzione del rapporto. Inattaccabile il licenziamento deciso dai vertici aziendali, obbligati, però, a pagare all’oramai ex manager l’indennità di mancato preavviso Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 7683/14 depositata oggi . A casa. Pesante l’accusa mossa dal dirigente nei confronti dell’azienda egli sostiene di essere stato vittima di un licenziamento discriminatorio , culmine di diversi episodi negativi verificatisi successivamente al suo rientro in azienda, dopo un periodo di malattia . Consequenziale è la richiesta di risarcimento del danno alla salute e all’immagine professionale per le vessazioni subite, all’origine di una sindrome ansioso-depressiva . Ma la valutazione dei giudici, sia di primo che di secondo grado, è assolutamente negativa viene certificata, difatti, la giustificatezza del licenziamento . Ciò alla luce dell’ atteggiamento di aperta conflittualità del dirigente nei confronti della società . Unica, piccola vittoria per il lavoratore è il versamento, da parte dell’azienda, di quasi 67mila euro, a titolo di indennità di mancato preavviso in misura di nove mensilità e di incidenza del T.f.r. . Quadro, questo, che non viene modificato neanche in Cassazione, nonostante l’ex dirigente richiami, ancora una volta, i presunti episodi di persecuzione e vessazione subiti , ossia un negato rimborso di pasto e un contestato pernottamento in occasione di una trasferta , e la situazione di disagio vissuta all’interno dell’azienda e i complicati rapporti col direttore generale . Troppo fragili e generiche le contestazioni mosse, a fronte della chiara visione tracciata dai giudici in Corte d’Appello e cristallizzata, definitivamente, ora in Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 febbraio - 2 aprile 2014, n. 7683 Presidente Vidiri – Relatore Patti Svolgimento del processo Con ricorso del 1° agosto 2007 F.M.F., direttore medico marketing con qualifica dirigenziale alle dipendenze dell'Istituto Luso Farmaco d'Italia s.p.a., adiva il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, per l'accertamento di nullità del licenziamento discriminatorio, ai sensi dell'art. 3 l. 108/90 ed in conseguenza degli episodi specificamente indicati successivi al suo rientro in azienda il 23 ottobre 2006 dopo periodo di malattia dal 22 agosto al 20 ottobre 2006 , intimatogli dal datore il 17 gennaio 2007, con le conseguenze previste dall'art. 18 1. 300/70 e, in subordine, di nullità per ingiustificatezza anche ai sensi dell'art. 7 l. 300/70, con le coerenti condanne patrimoniali per indennità di mancato preavviso, T.f r. e ferie non godute per il relativo periodo con accertamento in ogni caso del diritto al bonus dell'anno 2006 e condanna della società al pagamento delle relative somme spettanti, anche per incidenza del T.f.r. e risarcimento del danno alla salute e all'immagine professionale per le vessazioni subite, all'origine di una contratta sindrome ansioso depressiva. Nell'argomentata resistenza della società datrice e dopo istruzione orale e documentale, il tribunale adito, con sentenza 20 aprile 2010, ritenuta la giusta causa di licenziamento, accertava il diritto del dirigente al bonus richiesto, condannando l'Istituto al pagamento, in suo favore, delle somme di € 15.000 lordi per esso e di € 1.111 per incidenza del T.f.r., oltre rivalutazione ed interessi, rigettando nel resto il ricorso e compensando le spese tra le parti. Con sentenza 6 giugno 2012, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata dal lavoratore soccombente, accertava la giustificatezza del licenziamento intimato all'appellante, condannando la società al pagamento, a titolo di indennità di mancato preavviso in misura di nove mensilità e di incidenza del T.f.r., delle somme di € 62.681,94 e di € 4.643,10, oltre rivalutazione ed interessi, rigettando nel resto l'appello e condannando l'Istituto alla rifusione delle spese del grado per un terzo, compensati i due terzi residui. La corte di merito riteneva infatti, in esito a critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie, che l'atteggiamento di aperta conflittualità del dirigente nei confronti della società non fosse giustificato da inadempimenti di questa, così essendo legittimo il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale, anche se non per giusta causa, non ostando i due episodi contestati, a suo fondamento, alla prosecuzione del rapporto per il periodo di preavviso. F.M.F. ricorre per cassazione sostanzialmente con quattro motivi, pure illustrati con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., cui resiste l'Istituto Luso Farmaco d'Italia s.p.a. con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di unico mezzo. Motivi della decisione Con il primo motivo, F.F. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 7 1. 300/70, 5 1. 604/66, 2697 c.c., 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza giustificato il licenziamento per fatti diversi da quelli contestati, in particolare per mancata dimostrazione della dequalificazione denunciata con lettera 25 agosto 2006 del predetto e ritenuti provati gli episodi del 12 e 19 dicembre 2006, puntualmente disaminati e criticati nella ricostruzione della corte, censurata per valutazione probatoria e rovesciamento del principio sanzionatorio disciplinare, sul rilievo del preteso onere del lavoratore di provare eventuali accuse, anziché del datore i fatti commessi dal lavoratore. Con il secondo, F.F. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 CCNL Dirigenti industriali e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per non corretta applicazione della normativa collettiva di settore in specifico riferimento ad episodi di persecuzione e vessazione nei propri confronti, quali un negato rimborso di pasto e un contestato pernottamento in occasione di trasferte a Firenze, sull'assunto dell'esistenza di prassi aziendale, in realtà indimostrata. Con il terzo motivo, F.F. si duole per vizio di motivazione di ulteriori omissioni valutative della sentenza, in riferimento a propri scambi di mails con il direttore generale il 21 e 22 novembre 2006 e ad altri fatti, di cui non apprezzata la natura vessatoria e la finalità di emarginazione professionale in proprio danno. Con il quarto motivo, F.F. deduce vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., su ulteriori inadempimenti datoriali, alla base della propria iniziativa legale per un bonario componimento della situazione di disagio all'interno dell'azienda e principalmente con il direttore generale, ritenuti non provati senza giustificazione, non essendo state considerate, né correttamente valutate allegazioni ed acquisizioni istruttorie. Con unico motivo, Istituto Luso Farmaco d'Italia s.p.a. deduce, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea giustificazione dalla corte meneghina, ai sensi dell'art. 19 CCNL dirigenti, del licenziamento intimato, con una conclusione contraddittoria rispetto alla ritenuta gravità dei comportamenti di F. oggetto di contestazione disciplinare episodio del pomeriggio del 19 dicembre 2006, di sua grave, plateale e ingiustificata reazione, in occasione della consegna di una bozza per il lancio di un prodotto farmaceutico, con pesante denigrazione del direttore generale episodio del 12 dicembre 2006, offensivo e delegittimante il responsabile del personale, impegnato in conversazione di lavoro , di aperta conflittualità con la società datrice non giustificata da alcun proprio inadempimento. I due ricorsi, principale e incidentale, devono essere previamente riuniti. In ordine al principale, appare evidente l'inammissibilità di tutti i quattro motivi, intesi a sollecitare questa Corte a nuova valutazione degli elementi di prova, per contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente a quella della corte di merito. E ciò, con specifico riguardo al primo violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 7 1. 300/70, 5 1. 604/66, 2697 c.c., 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per giustificazione del licenziamento in base a fatti diversi da quelli contestati, neppure provati , per assenza di mirata, né pertinente critica alla sussunzione della concreta fattispecie in esame in quella astratta prevista dalle norme suindicate, senza alcuna diversa interpretazione del profilo di diritto denunciato. Ed infatti, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione nel provvedimento impugnato della fattispecie regolata da una norma di legge, necessariamente implicante un suo problema interpretativo qualora risulti invece, come appunto nel presente caso, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie, attraverso le risultanze di causa, esterna all'esatta interpretazione della norma, la censura impinge piuttosto nella tipica valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione Cass. 4 aprile 2013, n. 8315 Cass. 26 marzo 2010, n. 7394 . Le stesse argomentazioni valgono anche per il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 10 CCNL Dirigenti industriali, pure inammissibile per la mancata enunciazione né, tanto meno, specificazione del canone interpretativo violato art. 1362 ss. c.c. . Ed infatti, il mezzo in esame si risolve proprio nella contrapposizione di una diversa interpretazione a quella della corte di merito, senza argomentata specificazione dei canoni ermeneutici concretamente violati, neppure enunciati dal ricorrente, né a fortiori del punto e del modo in cui il giudice se ne sia discostato in violazione del principio posto, a pena di inammissibilità, dall'art. 366 n. 4 c.p.c. Cass. 15 aprile 2013, n. 9054 Cass. 19 ottobre 2009, n. 22102 Cass. 24 gennaio 2008, n. 1582 Cass. s.u. 8 maggio 2007, n. 10374 . Il terzo e il quarto motivo, relativi a vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. per ulteriori omissioni ed errori valutativi della sentenza impugnata, ne confutano nel merito il ragionamento probatorio ciò che è inammissibile nel giudizio di legittimità. E' noto, infatti, in riferimento al vizio in esame, come al giudice di legittimità spetti, non già il riesame nel merito dell'intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass. 19 marzo 2009, n. 6694 Cass. 5 marzo 2007, n. 5066 . Soltanto il secondo avendo il compito in via esclusiva di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, liberamente attribuendo prevalenza all'una o all'altra Cass. 21 aprile 2006, n. 9368 . E per le stesse ragioni è infine inammissibile l'unico motivo di gravame incidentale, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea giustificazione, ai sensi dell'art. 19 CCNL dirigenti, del licenziamento intimato. Di ciò è sintomatico il suo tenore argomentativo sopra illustrato, con l'esplicita segnalazione dell'esigenza di riesame nel merito di questa Corte in particolare, a pg. 32 del controricorso l'esame della Corte dovrà riguardare le espressioni, i toni, le valutazioni riferite dal F. in modo plateale e provocatorio . Ma un tale compito, si ribadisce, esorbita palesemente tanto dal sindacato di violazione di diritto, per le ragion illustrate in riferimento ai primi due motivi del ricorso principale, tanto dal controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 n. 5 c.p.c. Esso non equivale, infatti, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che simile revisione altro non sarebbe che un nuovo giudizio di fatto e si risolverebbe in una funzione contraria a quella assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità con la conseguente impossibilità per la Corte di cassazione di procedere a nuovo giudizio di merito in virtù di propria autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa Cass. 28 marzo 2012, n. 5024 . L'inammissibilità di entrambi i ricorsi induce la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte riunisce il ricorso principale e incidentale e li dichiara inammissibili. Compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio.