Il lavoratore deve provare la condotta persecutoria

Posto che la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma solo uno strumento di controllo dei fatti costituenti la prova, il lavoratore che adduca di aver subito condotte discriminatorie e persecutorie è gravato del relativo onere probatorio, non essendo sufficiente riportarsi ad episodi riferiti dal CTU.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 28448, depositata il 19 dicembre 2013. Basta la CTU per dimostrare il danno da mobbing? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal dipendente per ottenere il riconoscimento del diritto ad un inquadramento superiore ed il risarcimento del danno da demansionamento e di quello biologico. Al termine del giudizio di merito, non essendogli state riconosciute tali voci di danno, il ricorrente promuoveva il giudizio in Cassazione contestando, in particolare, che la sentenza della Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio – che aveva accertato l’esistenza di un danno biologico – e che la medesima pronuncia non avrebbe tenuto conto della documentazione dimostrativa del disegno di marginalizzazione attuato dal datore di lavoro nei suoi confronti con la privazione dell’incarico di responsabile dell’Ufficio Tecnico”. Il lavoratore non può limitarsi a riferire episodi riportati dal CTU. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Suprema Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di merito nella parte in cui aveva rilevato che, pur avendo la disposta CTU fatto riferimento ad episodi di discriminazione e persecuzione, nonché a mortificazione delle capacità professionali e di carriera, tali fatti erano privi del minimo riscontro probatorio. Come è noto, infatti, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma solo uno strumento di controllo dei fatti costituenti la prova, il cui onere rimane pur sempre a carico delle parti. In applicazione di tale principio, il lavoratore che adduca di aver subito condotte discriminatorie e persecutorie è gravato del relativo onere probatorio, non essendo sufficiente riportarsi ad episodi riferiti dal CTU. In precedenti occasioni, la Cassazione ha chiarito che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, sono rilevanti a la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio b l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente c il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore d la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio Cass., n. 3785/2009 . Pur essendo il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale carattere tipico del rito del lavoro, l’onere di provare tali presupposti incombe sul lavoratore cfr. Cass., n. 87/2012 . Il ricorso per Cassazione deve contenere una sintesi dei fatti . La pronuncia in commento ribadisce che il ricorso proposto davanti ai giudici di legittimità non può limitarsi ad una pedissequa riproduzione di diversi atti. Ai sensi dell’art. 366, co. 1, c.p.c., infatti, il ricorrente è tenuto ad operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale ad una piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Suprema Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore cfr. Cass., n. 10244/2013 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre – 19 dicembre 2013, n. 28448 Presidente Stile – Relatore De Renzis Svolgimento del processo La Cassa di Risparmio di Chieti impugnava - con distinti ri corsi - la sentenza non definitiva n. 806/2006 del Tribunale di Chieti, che aveva dichiarato l'illegittimità del licenzia mento intimato da tale società al dipendente S.U. con lettera del 5.02.2002 per giusta cau sa in relazione ad addebiti riguardanti inadempimenti quale delegato alla sicurezza, nonché la sentenza definitiva n. 224 del 2010 dello stesso Tribunale, che aveva riconosciu to al lavoratore il diritto al superiore inquadramento di funzionario di primo livello, con le conseguenze economiche dal 1.08.1998 al 22.12.2003, data di cessazione del rap porto per un secondo licenziamento. La Corte di Appello di L'Aquila con sentenza n. 651 del 2011, in parziale accoglimento dell'appello ed in parziale riforme della sentenza definitiva di primo grado, ha rigetta to la domanda del S. con riferimento all'indennità di reperibilità, al premio di produzione e rendimento per l'anno 2001, al danno biologico e al danno da demansionamento. La stessa Corte ha dichiarato inammissibile l'appello della Cassa di Risparmio nei confronti della sentenza non definitiva con riguardo alla statuizione sul licenziamento, dichia rato illegittimo dal primo giudice. Il S. ricorre per cassazione con due motivi La Cassa di Risparmio resiste con controricorso. Motivazione della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo, violazione dell'art. 57 CCNL 11.07.1997 e del diritto vivente in tema di note di qualifica. In particolare il S. contesta la sentenza impugna ta per avere erroneamente ritenuto che il giudizio di insuf ficiente fosse di ostacolo al diritto di esso ricorrente al premio di rendimento, nonostante la nota relativa a tale giudizio non fosse accompagnata da una motivazione sia pure sintetica in ordine al rendimento e alla capacità del lavoratore. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata con accertamento in fatto ha ritenu to che il S. non avesse contestato il giudizio di insufficiente , e ciò trova riscontro proprio nell'art. 57 del richiamato CCNL del 1997, che consentiva al lavoratore di presentare ricorso alla Direzione aziendale contro la nota di qualifica negativa, facoltà di cui lo stesso non si avvalse. D'altro canto non è ammissibile in questa sede di legittimi tà riproporre doglianze non fatte valere nel procedimento delineato dalla normativa collettiva. La stessa sentenza ha coerentemente dedotto dall'attribuzione della nota negativa il mancato riconosci mento del premio di rendimento e ha anche puntualizzato che il fatto di avere goduto in precedenza del premio non potesse legittimare un diritto quesito del lavoratore. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa mo tivazione su più fatti decisivi, riguardanti il mancato ricono scimento del danno biologico e da demansionamento. Il S. rileva che la sentenza impugnata ha omesso di considerare le valutazioni del consulente tecnico di pri mo grado, che aveva indicato nella misura del 20% il dan no biologico, come pure non ha tenuto conto della documentazione dimostrativa del disegno di marginalizzazione attuato dalla banca nei suoi confronti con la privazione dell'incarico di responsabile dell'Ufficio Tecnico . Il motivo è privo di pregio e va disatteso. La sentenza impugnata nell'accogliere la doglianza della Cassa di Risparmio riguardante il riconoscimento del danno biologico ha osservato che il consulente tecnico di ufficio aveva fatto riferimento ad episodi di discriminazione e per secuzione, nonché a mortificazione delle capacità profes sionali e di carriera, senza però che su tali fatti vi fosse la minima traccia probatoria. Orbene tale valutazione, sostenuta da motivazione adeguata e logica, non viene scalfita dalla censura del ricorrente, il quale non fa che riportare il contenuto della CTU, la qua le secondo costante indirizzo giurisprudenziale non costi tuisce mezzo di prova, ma un mezzo di controllo dei fatti costituenti la prova, il cui onere rimane pur sempre a carico delle parti. Di tale principio il giudice di appello ha fatto buongoverno, ritenendo, come già detto, che la parte appellata non aves se fornito la prova del danno biologico, avendo fatto riferi mento ad episodi riferiti dal CTU. Il S. contesta, come già detto, la sentenza impu gnata anche per avere trascurato di esaminare molteplici documenti, dimostrativi della sua marginalizzazione nell'ambito lavorativo, ma il richiamo ad essi non assume valore decisivo. Al riguardo si osserva che il ricorso, contenente la pedis sequa riproduzione di diversi atti, non soddisfa il requisito di cui all'art. 366, primo comma, CPC, costituendo onere del medesimo ricorrente operare una sintesi del fatto so stanziale e processuale, funzionale ad una piena compren sione e valutazione delle censure, al fine di evitare di dele gare alla Corte di legittimità una attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla sele zione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza del la parte ricorrente, e, quindi del suo difensore cfr Cass. n. 10244 del 2 maggio 2013 Cass. n. 17168 del 2012 Cass. n. 1905 del 2012, SU n. 5698 del 2012 . 3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccom benza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3000,00 tremila/00 per compensi, oltre accessori.