Chi assiste una persona con handicap (grave) ha diritto di scegliere dove lavorare

Ai sensi dell’art. 33 della Legge n. 104/1992, il genitore o familiare lavoratore che assiste con continuità un parente - o affine entro il terzo grado - portatore di un handicap grave, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28320 del 18 dicembre 2013. Il caso . La Corte di Appello di Campobasso accertava il diritto di un dipendente del Ministero della Giustizia al trasferimento presso la sede di Melfi, o in subordine presso le altre sedi da quest’ultimo richieste, per assistere la madre portatrice di handicap grave. I Giudici di merito ritenevano che il diritto previsto dall’art. 33, comma 5, Legge n. 104/1992 a mente del quale chi assiste una persona con handicap grave ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede si applicasse non solo al momento dell’assunzione, ma anche nel corso del rapporto di lavoro. Gli stessi Giudici ritenevano inoltre provata la continuità dell’assistenza alla madre, senza che ai fini di tale requisito rilevasse la convivenza con il familiare. Contro tale pronuncia il Ministero ricorreva alla Corte di Cassazione. La norma si applica anche in costanza di rapporto . In particolare, il ricorrente lamentava l’errata applicazione della disciplina di legge in quanto a suo avviso, se anche quest’ultima fosse applicabile in costanza di rapporto e non solo al momento dell’assunzione, il relativo diritto esisterebbe solo se ed in quanto l’assistenza al familiare sia in atto al momento dell’istanza di trasferimento . Di diverso avviso è la Cassazione la quale, enunciando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ad avviso della Corte, infatti, la norma trova applicazione anche in costanza di rapporto, poiché la sua ratio è quella di favorire l’assistenza al familiare handicappato . In quest’ottica, risulta quindi del tutto irrilevante che tale esigenza sia presente al momento di instaurazione del rapporto oppure sia sorta successivamente. L’ handicap deve essere accertato e l’assistenza continuativa . La stessa Corte precisa inoltre che, per godere di tale diritto, oltre allo stato di handicappato del familiare accertato dalla commissione prevista dalla stessa Legge n. 104/1992 era necessaria la continuità dell’assistenza , accertamento in fatto la cui verifica è ontologicamente rimessa al Giudice di merito e che, nella specie, era stato adeguatamente compiuto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 novembre - 18 dicembre 2013, n. 28320 Presidente Lamorgese – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 24 ottobre 2008 la Corte d'appello di Campobasso, in riforma della sentenza del Tribunale di Campobasso del 18 gennaio 2007, ha dichiarato il diritto di C.N. , dipendente del Ministero della Giustizia con funzioni di cancelliere in servizio presso l'ufficio del Giudice di Pace di Trivento dal 2001, al trasferimento, ai sensi dell'art. 33 della legge n. 104 del 1992 per assistenza alla madre, al Tribunale di Melfi ovvero di una delle altri sedi da lui richieste in via subordinata. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ritenendo l'applicabilità del citato art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992 non solo in sede di scelta della sede di lavoro al momento dell'assunzione, ma anche nel corso del rapporto di lavoro mediante domanda di trasferimento. La stessa Corte molisana ha pure ritenuto provata la continuità nell'assistenza della madre invalida da parte del dipendente istante, interpretando tale requisito in senso relativo senza la necessità della quotidianità e della convivenza. Il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione avverso tale pronuncia affidato ad un unico motivo. Resiste il C. con controricorso. Motivi della decisione Con l'unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992, con riferimento all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ In particolare si deduce che, pur ammettendo la possibilità di applicazione della norma anche al caso di trasferimento e non solo di prima assegnazione, il diritto a tale trasferimento per assistere il familiare disabile esisterebbe solo se ed in quanto l'assistenza a quest'ultimo sia in atto al momento dell'istanza di trasferimento. Il motivo è infondato. Va affermato in questa sede il principio di diritto per cui la norma di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, sul diritto del genitore o familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all'inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l'attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento. La ratio della norma è infatti quella di favorire l'assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all'epoca dell'inizio del rapporto stesso. La norma in esame pone quale condizione per il godimento del diritto da essa previsto, oltre allo stato di handicappato del parente o affine da assistere, la continuità dell'assistenza. Trattasi di circostanze di fatto il cui accertamento è riservato al giudice del merito che, nel caso in esame, ha compiutamente considerato la circostanza motivando adeguatamente sul punto. La giurisprudenza citata dal Ministero ricorrente non è pertinente, in quanto si riferisce al caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto dell'assegnazione della sede lavorativa ed il familiare tenda successivamente a ripristinarla attraverso il trasferimento in una sede vicina al domicilio dell'handicappato nel caso in esame, viceversa, non è in questione la convivenza, che lo stesso ricorrente afferma non costituire più requisito per il godimento del diritto in questione a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 53 del 2000, ma la continuità nell'assistenza, circostanza di fatto il cui accertamento è, come detto, riservata al giudice del merito che ha ampiamente motivato sul punto con l'indicazione di elementi probatori certamente adeguati e sufficienti. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.