Preavviso di licenziamento ricevuto, ma la proroga dell’appalto ne annulla gli effetti

La prosecuzione della prestazione lavorativa ha revocato tacitamente il licenziamento. È irrilevante, infatti, che i lavoratori siano stati riassunti dopo 21 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro con la società ricorrente, non valendo tale circostanza a giustificare l'inadempienza del datore di lavoro.

Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24336/13, depositata lo scorso 29 ottobre. Il caso. Alcuni addetti al servizio di pulizia, con telegramma del 3 luglio 2000, erano stati licenziati, con preavviso, per cessazione dell'appalto a far data dal 17 luglio 2000. L'appalto era stato successivamente prorogato fino al 17 ottobre 2000, senza che i lavoratori ne venissero informati. Alla scadenza dello stesso i lavoratori vennero di fatto licenziati, senza preavviso. Revoca tacita del primo licenziamento? Secondo quanto affermato dalla Corte d'Appello, la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo la scadenza del primo appalto, doveva essere considerata quale revoca tacita del primo licenziamento e che quindi fosse necessario un nuovo preavviso. Né, poi, poteva ritenersi che, essendo i lavoratori transitati alle dipendenze di altra azienda, non fosse necessario il preavviso, atteso che il rapporto di lavoro con la prima cooperativa era cessato il 17 ottobre 2000, mentre i lavoratori vennero riassunti dal nuovo datore di lavoro il 9 novembre 2000. A rivolgersi alla Corte di Cassazione è la società cooperativa. A parere della ricorrente, la Corte di merito ha erroneamente interpretato la prosecuzione della prestazione lavorativa quale revoca tacita del licenziamento. Una volta cessata la proroga dell'appalto – prosegue la società ricorrente - non potevano che cessare anche i singoli rapporti di lavoro, rendendosi superfluo un secondo preavviso in aggiunta al primo . Il preavviso consente al lavoratore di cercare una nuova occupazione. A dirlo è proprio la Cassazione, la quale chiarisce che l'istituto del preavviso è ispirato dalla ratio di consentire al lavoratore la ricerca di una nuova occupazione in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro . Di conseguenza, quanto più il preavviso è tempestivo, tanto più il lavoratore ha la possibilità di trovare una nuova occupazione. La S.C., quindi, ritiene del tutto irrilevante il fatto che i lavoratori siano stati riassunti dopo 21 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro con la società ricorrente, non valendo tale circostanza a giustificare l'inadempienza del datore di lavoro. La Corte, in conclusione, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 giugno – 29 ottobre 2013, n. 24336 Presidente De Renzis – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza depositata in data 28 febbraio 2001, ha condannato la Cooperativa Team Service s.r.l. a corrispondere a P.R. e agli altri litisconsorti indicati in epigrafe, odierni controricorrenti, l'indennità sostitutiva di preavviso. I lavoratori, addetti al servizio di pulizia, con telegramma del 3 luglio 2000 erano stati licenziati, con preavviso, per cessazione dell'appalto a far data dal 17 luglio 2000. L'appalto era stato successivamente prorogato fino al 17 ottobre 2000, senza che i lavoratori ne venissero informati. Alla scadenza dell'appalto i lavoratori vennero di fatto licenziati, senza preavviso. La Corte d'Appello, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo la scadenza del primo appalto, dovesse essere considerata quale revoca tacita del primo licenziamento e che quindi fosse necessario un nuovo preavviso. Né, ad avviso della stessa Corte, poteva ritenersi che, essendo i lavoratori transitati alle dipendenze di altra azienda, non fosse necessario il preavviso, atteso che il rapporto di lavoro con la cooperativa Team Service era cessato il 17 ottobre 2000, mentre i lavoratori vennero riassunti dal nuovo datore di lavoro il 9 novembre 2000. Propone ricorso per cassazione la società cooperativa sulla base di sei motivi. I lavoratori resistono con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 414 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione, deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente respinto le eccezioni di nullità ed inammissibilità dell'atto introduttivo per non essere stati precisati in tale atto i fatti posti alla base dei diritti azionati e per non essere stati indicati i conteggi analitici relativi ai singoli importi richiesti. 2. Il motivo è infondato, avendo la Corte di merito dato risposta alla prima di dette censure, rilevando che i ricorsi introduttivi contenevano tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per la decisione . Quanto all'altra censura, la questione non è stata affrontata dalla Corte anzidetta, la quale si è limitata a confermare la decisione di primo grado, ma la ricorrente non spiega i motivi per i quali dall'atto introduttivo non fosse possibile desumere il quantum delle singole pretese, in quali termini la questione è stata posta in primo grado e i motivi specificamente dedotti al riguardo in sede di appello. Tutto ciò in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. 2. Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 18, comma 7, L. 55/90, 345, comma 2, c.p.c., 2697 cod. civ. nonché insufficiente motivazione. Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la cooperativa Team Service, non iscritta ad alcuna delle associazioni stipulanti, avesse implicitamente prestato adesione al CCNL relativo alle imprese di pulizia. Al riguardo era infatti necessaria una costante e prolungata applicazione di tutte le clausole pattizie ai singoli rapporti, circostanza questa non ricorrente nella specie. Inoltre la Corte di merito ha errato nel ritenere che la Team Service, quale appaltatrice di un servizio pubblico, fosse tenuta, ai sensi dell'art. 18, comma 7, della legge n. 55/90, all'applicazione del contratto collettivo. 3.1. La prima censura è infondata. La Corte di merito ha affermato che la cooperativa faceva applicazione di istituti di esclusiva origine contrattuale quali incrementi automatici, EDR, IVC, quattordicesima mensilità, etc. . Dalla costante e prolungata applicazione di tali istituti ha desunto che la ricorrente, pur non essendo iscritta ad alcuna delle associazioni stipulanti, implicitamente abbia aderito alla contrattazione collettiva. Tale accertamento non è sindacabile in questa sede, avendo questa Corte in proposito affermato che i contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes , in base al rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata Cass. 3 agosto 2000 n. 10213 Cass. 30 luglio 2001 n. 10375 . Nella specie la Corte di merito ha compiuto siffatta valutazione, pervenendo alla conclusione della adesione implicita alla contrattazione collettiva. Peraltro la ricorrente nemmeno indica gli istituti contrattuali dalla medesima non applicati al fine di escludere tale adesione, limitandosi ad affermare che per conseguire tale effetto fosse necessaria una costante e prolungata applicazione di tutte le clausole pattizie. 3.2. La seconda censura è assorbita dal rigetto della precedente. 4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2118 cod. civ., osservandosi che erroneamente la Corte di merito ha interpretato la prosecuzione della prestazione lavorativa quale revoca tacita del licenziamento. Una volta infatti cessata la proroga dell'appalto, non potevano che cessare anche i singoli rapporti di lavoro, rendendosi superfluo un secondo preavviso in aggiunta al primo. 5. Con il quarto, il quinto e il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2118 cod. civ., erronea interpretazione e valutazione delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si osserva che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non poteva essere indicato fin dall'inizio il termine della proroga dell'appalto, attenendo tale adempimento a scelte dell'ente appaltante in ordine alle quali l'imprenditore non aveva alcun potere decisionale . Non essendo la cooperativa in grado di conoscere la durata dell'appalto, non poteva comunicarla ai propri dipendenti. Si aggiunge che nella specie si è verificato un mero differimento dell'efficacia del licenziamento il licenziamento sarebbe stato effettivo dal 17/7/00 in caso di proroga dell'appalto, ferma restando la volontà risolutoria della società, la cessazione del rapporto sarebbe slittata, coincidendo con la cessazione della proroga. A tale data, il licenziamento già intimato e momentaneamente sospeso, è tornato a produrre pienamente effetto. Peraltro, i lavoratori il 9 novembre 2000 sono transitati alle dipendenze della nuova azienda subentrante nell'appalto, proseguendo sostanzialmente l'attività lavorativa. Non era quindi necessario il preavviso, tenuto anche conto che sono stati riassunti dopo ventuno giorni. 6. Tutti predetti motivi, che in ragione della loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. L'istituto del preavviso è ispirato dalla ratio di consentire al lavoratore la ricerca di una nuova occupazione in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro. Quanto più il preavviso è tempestivo, tanto più il lavoratore ha la possibilità di trovare una nuova occupazione. Eventi successivi alla mancata comunicazione del preavviso, quale il reperimento di un nuovo posto di lavoro in un termine più o meno lungo, non incidono sull'obbligo legale posto a carico del datore di lavoro, il quale è tenuto, a norma dell'art. 2118 cod. civ., ad informare il lavoratore che da una certa data in poi il rapporto sarà definitivamente cessato. Di nessun rilievo è quindi il fatto che i lavoratori siano stati nella specie riassunti dopo ventuno giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro con la società ricorrente, non valendo tale circostanza a giustificare l'inadempienza del datore di lavoro. Né può affermarsi che la comunicazione del datore di lavoro del 3 luglio 2000 Comunichiamo licenziamento causa cessazione appalto decorrenza 17.7.00 salvo proroga vale come preavviso fosse idonea, una volta proseguiti i lavori fino al 17 ottobre 2000, a valere come preavviso per la cessazione del rapporto a tale data, dovendo piuttosto ritenersi che la prosecuzione della prestazione lavorativa da parte del dipendente oltre la data di scadenza del preavviso fissata con la comunicazione del licenziamento costituisce, in relazione al comportamento delle parti del rapporto di lavoro, una manifestazione di volontà di revoca tacita del licenziamento già intimato, stante l'obiettiva incompatibilità dell'iniziale dichiarazione di recesso con la successiva protrazione dell'attività lavorativa, e non potendo configurarsi una facoltà della parte recedente di determinare il momento di produzione degli effetti del recesso in data diversa da quella già indicata con l'atto negoziale perfezionatosi con la comunicazione al lavoratore cfr., in questi termini, Cass. 25 ottobre 1997 n. 10624 . Priva di rilievo, infine, è la circostanza - che peraltro la ricorrente non deduce di avere rappresentato in sede di appello e che la sentenza impugnata non affronta - secondo cui la cooperativa non fosse a conoscenza della data finale della proroga, non essendo una siffatta evenienza opponibile al lavoratore e, tanto meno, idonea a far venire meno un obbligo inderogabile posto dalla legge a carico del datore di lavoro, della cui mancata osservanza è tenuto a subire le conseguenze. 7. La ricorrente, soccombente, va condannata al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore dei resistenti, in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione a favore del loro difensore, Avv. Mario Russo.