Al lavoratore è dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso?

In caso di dimissioni intervenute nel corso di un rapporto a termine, non è dovuta alcuna indennità sostitutiva del preavviso, essendo questa legislativamente prevista solo per il rapporto a tempo indeterminato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24335, depositata il 29 ottobre 2013. Il caso. In sede di merito, era stata dichiarata l’illegittimità della revoca dell’incarico a tempo determinato e del conseguente licenziamento intimato a un lavoratore, assunto, quale direttore generale con mansioni dirigenziali, con più contratti a termine da una società. Nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello aveva escluso che fossero dovute l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità supplementare. Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affermando che la Corte di merito avrebbe erroneamente escluso il suo diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Per la Suprema Corte, questa censura è infondata. Secondo gli Ermellini, come correttamente evidenziato dai giudici di merito, l’art. 35 CCNL per i dirigenti delle imprese dei servizi pubblici locali prevede il preavviso solo nell’ipotesi di risoluzione del contratto a tempo indeterminato, mentre, in caso di contratto a termine, il periodo di preavviso è quello previsto dal contratto individuale o dal regolamento aziendale , contratto che nella specie nulla prevede al riguardo. Perché l’indennizzo di preavviso sì e perché no Piazza Cavour ha dichiarato che, d’altra parte, mentre il preavviso è espressamente previsto dal legislatore nell’ipotesi di contratto a tempo indeterminato art. 2118 c.c. , trovando giustificazione, per il lavoratore, nel fatto che il medesimo, trovatosi improvvisamente privo di occupazione, deve essere messo in grado di ricercare un nuovo posto di lavoro non altrettanto è a dirsi per il contratto a termine, nel quale nulla viene a perdere il lavoratore in termini economici e di certezza circa il momento finale del rapporto, risultando integralmente ristorata l’illegittima risoluzione ante tempus dalla corresponsione delle retribuzioni maturate successivamente al recesso e sino alla scadenza del rapporto. Il Collegio ha ritenuto tale opzione interpretativa conforme all’orientamento di legittimità in materia di applicabilità ai rapporti di lavoro a termine della disciplina di cui all’art. 2118 c.c. . Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 giugno - 29 ottobre 2013, n. 24335 Presidente Napoletano – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza in data 8-22 aprile 2010, ha confermato la decisione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con la quale, per quanto ancora rileva in questa sede, era stata dichiarata l'illegittimità della revoca dell'incarico a tempo determinato e del conseguente licenziamento intimato al Dott. F P. , assunto, quale direttore generale con mansioni dirigenziali, con più contratti a termine dal Consorzio Intercomunale CE2, poi trasformato in Consorzio GeoEco S.p.A. e successivamente in Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta, ed era stato condannato il datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 32.743,88 a titolo di retribuzioni maturate dal 17 luglio 2004, data di ricezione della nota di revoca dell'incarico, sino al 15 novembre 2004, data di cessazione del rapporto a termine. Nel confermare la sentenza di primo grado la Corte di merito ha escluso che il licenziamento avesse carattere ritorsivo e che fossero dovute al Dott. P. l'indennità sostitutiva del preavviso e l'indennità supplementare. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il Dott. P. sulla base di quattro motivi. Il Consorzio è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso, il ricorrente, denunziando vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il licenziamento non avesse natura discriminatoria. Deduce che, come può desumersi dalla delibera di revoca dell'incarico e dal coevo provvedimento di licenziamento, questo venne adottato a seguito della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi all'apposita commissione, promosso dal ricorrente al fine di avviare nei confronti del datore di lavoro una controversia, conseguente alla sottrazione di gran parte delle mansioni affidategli ed alla sua dequalificazione professionale. Ad avviso del ricorrente, era evidente il collegamento esistente tra l'imminente proposizione dell'azione giudiziaria ed il provvedimento di recesso, onde questo era da considerare nullo perché determinato da motivo illecito, ritorsione o rappresaglia. 2. Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse. Il licenziamento per cui è controversia è stato dichiarato illegittimo dal primo giudice perché adottato in violazione delle garanzie procedimentali previste dall'art. 7 St. lav., assorbito ogni altro profilo di illegittimità e/o illiceità dedotti. Il ricorrente insiste in questa sede per la declaratoria di illiceità del licenziamento, ma non deduce quali vantaggi gli procura tale statuizione, limitandosi ad affermare che la sentenza impugnata, per avere escluso la natura ritorsiva del recesso, merita di essere cassata . Ciò comporta l'inammissibilità del motivo che, peraltro, è pure infondato, risultando dalla sentenza impugnata che il recesso è stato determinato non solo per avere il ricorrente avviato una controversia di lavoro nei confronti del datore di lavoro, ma altresì per un ventaglio ben più ampio di comportamenti del P. , con riferimento anche a dichiarazioni alla stampa locale, ad una gestione spesso incurante e disattenta rispetto alle indicazioni dell'Organo amministrativo o spesso addirittura svincolata da qualsiasi opportuno preliminare passaggio, informazione e consultazione del competente C.d.A., ad una assenza registrata nel verbale del 19/03/2004, in piena emergenza rifiuti , circostanze tutte richiamate nella delibera del Consorzio di revoca dell'incarico. 3. Con il secondo motivo è denunziata violazione dell'art. 35 CCNL per i dirigenti delle imprese dei servizi pubblici locali nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ Si afferma che la Corte di merito ha erroneamente escluso, in netto contrasto con l'interpretazione letterale e sistematica della norma contrattuale, il diritto del ricorrente al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, non considerando che tale istituto è previsto da detta norma anche per la risoluzione ante tempus del rapporto di lavoro a termine con i direttori di aziende e con i dirigenti. 4. Con il terzo motivo è denunziato vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si addebita alla sentenza impugnata di non aver tenuto conto che il contratto individuale prevedeva, tra l'altro, che i rapporti economici e normativi fossero regolati dal contratto nazionale dei dirigenti di imprese pubbliche locali stipulato tra la CISPEL e la FNDAI, contratto che prevede per i direttori di azienda il diritto all'indennità di preavviso. 5. I predetti due motivi che, in ragione della loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. La Corte territoriale ha affermato che il preavviso è previsto dall'art. 35 CCNL per i dirigenti delle imprese dei servizi pubblici locali solo nell'ipotesi di risoluzione del contratto a tempo indeterminato che tale norma contrattuale, con riguardo ai rapporti disciplinati da contratto a termine o da patto individuale, rinvia al relativo regolamento o al contratto individuale che nella specie la convenzione stipulata dalle parti non fa riferimento al preavviso che, nel caso di illegittima risoluzione del rapporto a tempo determinato prima della scadenza, il danno subito dal lavoratore risulta integralmente ristorato con la corresponsione delle retribuzioni maturate tra la data del recesso e la scadenza del contratto. A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente richiama la norma contrattuale sopra indicata, ed in particolare il punto 17 della stessa, nonché il contratto individuale stipulato dalle parti e rileva che l'interpretazione della Corte territoriale dell'una e dell'altro è errata, dovendosi desumere dagli stessi che anche nella fattispecie in esame fosse dovuto il preavviso. Senonchè, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, l'art. 35 sopra menzionato prevede il preavviso solo nell'ipotesi di contratto a tempo indeterminato, mentre il punto 17 di tale clausola stabilisce che, in caso di contratto a termine, il periodo di preavviso per la risoluzione del rapporto è quello previsto dal contratto individuale o dal regolamento aziendale , contratto che nella specie nulla prevede al riguardo. D'altra parte, mentre il preavviso è espressamente previsto dal legislatore nell'ipotesi di contratto a tempo indeterminato art. 2118 cod. civ. , trovando giustificazione, per il lavoratore, nel fatto che il medesimo, trovatosi improvvisamente privo di occupazione, deve essere messo in grado di ricercare un nuovo posto di lavoro, non altrettanto è a dirsi per il contratto a termine, nel quale nulla viene a perdere il lavoratore in termini economici e di certezza circa il momento finale del rapporto, risultando integralmente ristorata l'illegittima risoluzione ante tempus dalla corresponsione delle retribuzioni maturate successivamente al recesso e sino alla scadenza del rapporto. Tale opzione interpretativa risulta conforme all'orientamento di questa Corte in materia di applicabilità ai rapporti di lavoro a termine della disciplina di cui all'art. 2118 cod. civ Al riguardo è stato affermato che in caso di dimissioni intervenute nel corso di un rapporto a termite sorrette da giusta causa id est in caso di licenziamento illegittimo non è dovuta alcuna indennità sostitutiva del preavviso, essendo questa legislativamente prevista solo per il rapporto a tempo indeterminato Cass. 8 maggio 2007 n. 10430 . Lo stesso dicasi nel caso di recesso dal contratto di formazione e lavoro, costituente una species del contratto di lavoro a tempo determinato Cass. 23 dicembre 1992 n. 13597 . Non si riscontra, infine, nella sentenza impugnata il denunziato vizio di motivazione, apparendo il percorso argomentativo della stessa logico e coerente. 6. Con il quarto motivo si denunzia la violazione dell'art. 6 d. lgs. n. 368 del 2001 nonché dell'art. 29 CCNL dei dirigenti di imprese pubbliche locali nonché illogicità ed incongruenza della motivazione. Si deduce che la sentenza impugnata è errata anche nella parte in cui è stato escluso il diritto del ricorrente alla indennità supplementare prevista dalla predetta norma contrattuale, sul rilievo che tale indennità fosse dovuta solo ai dirigenti assunti con contratto a tempo indeterminato. Con l'art. 6 sopra menzionato il legislatore, nel prevedere che al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spetta ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, sempre che non obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine, ha infatti inteso operare, introducendo il principio di non discriminazione, una equiparazione tra dirigenti assunti e termine e dirigenti assunti a tempo indeterminato. 7. Anche quest'ultimo motivo è infondato. La Corte di merito ha osservato che l'art. 29 del CCNL sopra citato, richiamato dal contratto individuale, prevede che l'indennità supplementare è disposta dal Collegio arbitrale solo nell'ipotesi di ingiustificata risoluzione del contratto a tempo indeterminato. Ha aggiunto che la mancata previsione di tale indennità nel caso di recesso anticipato operato nel rapporto a termine non comporta alcun profilo discriminatorio ex art. 6 d.lgs. citato, trattandosi di norma che non si applica ad istituti, quali l'indennità sostituiva del preavviso e l'indennità supplementare, obiettivamente incompatibili con la natura del contratto a termine in ragione della diversa natura del rapporto. Tale assunto va condiviso, dovendosi aggiungere che le parti sociali, in virtù della loro autonomia negoziale, hanno ritenuto di dover riconoscere l'indennità supplementare in questione solo nell'ipotesi di risoluzione ingiustificata del rapporto a tempo indeterminato, ritenendo evidentemente che altre forme risarcitorie fossero idonee a ristorare il lavoratore dal danno subito per effetto della anticipata risoluzione del rapporto a termine. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che, in caso di non giustificato recesso ante tempus del datore di lavoro dal rapporto a tempo determinato, il risarcimento del danno dovuto al lavoratore va commisurato all'entità dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del recesso sino alla prevista scadenza del contratto Cass. 1 luglio 2004 n. 12092 Cass. 1 giugno 2005 n. 11692 . 8. Alla stregua di tutto quanto precede, il ricorso va rigettato. Non v'è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendo il Consorzio, rimasto intimato, svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.