I beni ceduti non consentono l’autonoma continuazione dell’attività produttiva? La cessione è inefficace

Allorché oggetto della cessione del ramo d’azienda sia un’articolazione aziendale incapace di presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, la cessione, risolvendosi nel trasferimento di una pluralità di contratti di lavoro subordinato, costituisce un’illegittima forma di espulsione di quote di personale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 24262, depositata il 28 ottobre 2013. Il ramo d’azienda ceduto deve poter proseguire l’attività produttiva con i propri mezzi. La pronuncia in commento rileva che l’art. 2112, comma 5, c.c., nel testo introdotto dall’art. 1, d.lgs. n. 18/2001, in attuazione della direttiva 98/50 CE, disponeva che per ramo d’azienda doveva intendersi una articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità . Tale disposizione è stata sostituita dall’art. 32, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, secondo cui per parte dell’azienda deve intendersi una articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento . Tale modifica ha, quindi, eliminato il requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda preesistente” al trasferimento ed ha escluso che il ramo d’azienda debba conservare, a seguito del trasferimento, la propria identità. La novella legislativa, tuttavia, non ha modificato la norma nella parte in cui il ramo d’azienda è definito come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, capace, cioè, di perseguire lo scopo prefissato con i propri autonomi mezzi. Cessione del ramo d’azienda? L’unità economica ceduta deve avere una stabile organizzazione. La pronuncia in commento precisa, poi, che il ramo d’azienda ceduto, oltre che autonomo ed idoneo funzionalmente a svolgere un determinato servizio, deve essere organizzato in modo stabile e non deve, al contrario, rappresentare il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro. Ed infatti, secondo il costante insegnamento dei giudici di legittimità, la nuova formulazione dell’art. 2112 c.c. non legittima tutte le operazioni di esternalizzazione di servizi, perseguendo, viceversa, il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in un semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano della solvibilità e dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva cfr., ex plurimis , Cass., n. 13171/2009 . Se le dotazioni cedute non sono adeguate, la cessione è inefficace . Nella fattispecie che ha dato origine alla pronuncia in commento, il giudice di merito ha accertato che il negozio traslativo tra la società cedente e la società cessionaria non ha avuto ad oggetto un ramo d’azienda nel senso indicato dalla sopra richiamata giurisprudenza, non essendo stato soddisfatto il requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto. Ciò in quanto la cessione aveva riguardato un’articolazione aziendale che non era in grado di presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, risolvendosi in una cessione di una pluralità di contratti di lavoro subordinato e, pertanto, in una illegittima forma di espulsione di quote di personale. Ed infatti, oggetto di cessione erano stati rapporti di lavoro con parte dei dipendenti addetti al servizio di Document Management e dotazioni di ufficio assolutamente inidonee ad assicurare il servizio di gestione della corrispondenza in ingresso ed in uscita e delle operazioni ad esso connesse. Viceversa, non erano state trasferite al cessionario le dotazioni indispensabili all’espletamento del servizio computer e programmi , né erano stati posti a disposizione del cessionario altri beni necessari, dei quali il cedente aveva mantenuto la proprietà. Inoltre, la cessione non aveva riguardato tutta l’attività di gestione della corrispondenza, essendo rimasti esclusi alcuni servizi. Alla luce dell’accertata inconsistenza dei beni ceduti e della loro inadeguatezza a consentire lo svolgimento dell’attività produttiva, la Suprema Corte ha ritenuto esente da censure la pronuncia di merito che aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti del lavoratore, della cessione del ramo d’azienda, con conseguente permanenza del rapporto di lavoro tra il predetto lavoratore e la società cedente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 giugno - 28 ottobre 2013, n. 24262 Presidente Napoletano – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Potenza, con sentenza del 14 maggio - 15 luglio 2010, in riforma della decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da T.M. nei confronti di Telecom Italia S.p.A. e Telepost S.p.A., ha dichiarato l'inefficacia nei confronti del lavoratore della cessione del ramo d'azienda Document Management effettuata dalla prima a favore della seconda, con conseguente persistenza del rapporto di lavoro subordinato tra il predetto lavoratore e Telecom Italia. La Corte anzidetta, per quanto ancora rileva in questa sede, ha affermato che nella vicenda contrattuale in esame non era ravvisabile una valida cessione di ramo d'azienda, riconducibile alla disciplina di cui all'art. 2112 cod. civ Al riguardo, era necessario che il ramo d'azienda oggetto del trasferimento costituisse un'entità economica con propria identità, organizzata in modo stabile, in modo da funzionare autonomamente e non rappresentare il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro. Dagli elementi acquisiti era viceversa emerso che il negozio traslativo non aveva avuto ad oggetto un ramo d'azienda nel senso indicato, non essendo stato soddisfatto il requisito dell'autonomia funzionale del ramo ceduto. Per la cassazione della sentenza hanno proposto autonomi ricorsi Telecom Italia S.p.A., sulla base di due motivi, e Telepost S.p.A. per due motivi, nei confronti dei quali il lavoratore ha resistito con distinti controricorsi. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la stessa sentenza. 2. Con il primo motivo del ricorso Telecom Italia S.p.A., denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 cod. civ., deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie non fosse configurabile un trasferimento di ramo d'azienda. Al riguardo ciò che rileva non è la consistenza patrimoniale del ramo ceduto, ma la idoneità dello stesso a svolgere un determinato servizio, con una attività economica organizzata, diretta alla produzione di beni o servizi. Per lo svolgimento di tale attività non sono necessari ingenti e rilevanti mezzi materiali, essendo sufficiente anche una entità economica dotata di esigui mezzi materiali purché vi sia un complesso organizzato di persone e di servizi. Non occorre poi che il ramo d'azienda sia costituito da beni di esclusiva proprietà del titolare dell'azienda cessionaria, essendo sufficiente che questi ne abbia la disponibilità in base ad un titolo contrattuale. Irrilevante è che taluni servizi inerenti al ramo d'azienda siano stati esclusi dalla cessione, richiedendo l'art. 2112 cod. civ., ai fini di una valida cessione, la preesistenza del ramo d'azienda e la sua autonomia funzionale. 3. Con il secondo motivo Telecom Italia S.p.A., denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione, osserva che la Corte di merito non spiega le ragioni per cui la asserita esiguità dei beni del ramo ceduto comporti la mancanza del requisito dell'autonomia funzionale. Aggiunge che tale assunto è peraltro in contrasto con l'affermazione della stessa Corte, secondo cui l'attività da svolgere, consistente nella spedizione, smistamento e protocollazione della corrispondenza e nella gestione del parco macchine fotocopie , era di non elevata specializzazione e di scarsa complessità Inoltre la sentenza impugnata ha trascurato del tutto la circostanza che il ramo ceduto ha continuato a svolgere la propria attività con gli stessi beni utilizzati in precedenza, alcuni dei quali trasferiti in proprietà ed altri utilizzati in base a specifici accordi intercorsi con la cedente. 4. Con il primo motivo dell'autonomo ricorso, Telepost S.p.A., nel denunziare violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 cod. civ., rileva che la Corte di merito ha escluso l'autonomia funzionale ed organizzativa del ramo d'azienda ceduto sulla base di talune affermazioni errate, non considerando che - era del tutto irrilevante la quantità dei beni materiali ceduti, posto che l'evoluzione giurisprudenziale, anche comunitaria, aveva progressivamente svalutato la presenza degli strumenti produttivi e materiali, come requisito tipico del ramo d'azienda, ritenendo al contrario sufficiente, ai fini della sussistenza di un'articolazione funzionalmente autonoma, anche la semplice organizzazione del fattore umano, tanto più se coordinato con metodi originali ed autonomi - era patimenti irrilevante il fatto che Telecom avesse conservato la proprietà di alcuni dei beni ceduti, dando a Telepost in locazione gli immobili e in comodato i computer, peraltro per un periodo transitorio, dovendo aversi riguardo, ai fini della legittimità del trasferimento del ramo d'azienda, al dato oggettivo rappresentato dalla autonomia funzionale del ramo prima della cessione e dalla perdurante identità ed autonomia funzionale dopo la cessione - che era irrilevante la non elevata specializzazione del personale ceduto, atteso che, a parte il rilievo che il lavoro di gestione informatica della corrispondenza richiede un know hou ” di tutto rilievo, secondo le indicazioni della Corte di Giustizia non era necessario che il personale trasferito fosse particolarmente qualificato o possessore di particolari brevetti o licenze. 5. Con il secondo motivo Telepost, denunziando omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che la Corte di merito non ha attribuito la dovuta rilevanza all'accertamento compiuto dai consulenti tecnici d'ufficio in un giudizio, analogo al presente, svoltosi davanti alla Corte d'Appello di Palermo, i quali, erano pervenuti alla conclusione che il ramo d'azienda ceduto Document Management era dotato di stabile e consolidata autonomia funzionale e organizzativa. Inoltre non ha tenuto conto che dopo la cessione del ramo d'azienda Telepost si era aggiudicata commesse di elevato prestigio, ciò che confermava l'autonomia organizzativa della struttura. 6. Entrambi i ricorsi, i quali, in ragione della loro connessione, vanno trattati congiuntamente affrontando sostanzialmente le stesse questioni e denunziando entrambi violazione dell'art. 2112 cod. civ. e vizio di motivazione, devono essere rigettati. 6.1. Deve premettersi che è infondata l'eccezione, dedotta dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso proposto da Telepost S.p.A Ad avviso del controricorrente, posto che l'art. 370 cod. proc. civ. dispone che dopo la notifica del ricorso in cassazione le altre parti, se intendono contraddire, debbono farlo mediante il controricorso, proponendo eventualmente nello stesso atto ricorso incidentale ex art. 371, Telepost avrebbe dovuto proporre non già un ricorso autonomo, ma esporre le proprie censure mediante il controricorso. Senonché, deve al riguardo osservarsi che è principio consolidato di questa Corte, sulla scia di Cass. Sez. Un. 25 giugno 2002 n. 9232, che, atteso il principio di unità dell'impugnazione - secondo il quale l'impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell'unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza, le quali, pertanto, hanno sempre carattere incidentale -, nei procedimenti con pluralità di parti, avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, cui questo sia stato notificato, devono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e perciò nella forma delle impugnazioni incidentali ne consegue che il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, in forza degli artt. 333 e 371 cod. proc. civ., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest'ultima, deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell'impugnazione principale. Cass. 22 ottobre 2004 n. 20593 Cass. 30 dicembre 2009 n. 27887 Cass. 21 dicembre 2011 n. 27898 . Nella specie il ricorso proposto da Telepost è stato notificato a Telecom e al T. in data 11 febbraio 2011, e cioè nel rispetto del termine di quaranta giorni dalla ricezione della notifica del ricorso proposto da Telecom, avvenuta il 14 gennaio 2011, con la conseguenza che esso si è convcrtito in ricorso incidentale. 7. Ciò posto, rileva la Corte che l'art. 2112 cod. civ., comma 5, nel testo introdotto dal d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 18, art. 1, in attuazione della direttiva 98/50/CE, disponeva che per ramo d'azienda doveva intendersi una articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità . Tale disposizione è stata sostituita dall'art. 32 d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276, art. 32, comma 1, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, secondo cui per parte dell'azienda deve intendersi una articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento . È stato quindi eliminato il requisito dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda preesistente al trasferimento ed è stato altresì escluso che il ramo d'azienda debba conservare, a seguito del trasferimento, la propria identità. L'intervento riformatore non ha modificato la norma nella parte in cui il ramo d'azienda è definito come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, capace cioè di perseguire lo scopo economico prefissato con i propri autonomi mezzi. Oltre che autonoma ed idonea funzionalmente a svolgere un determinato servizio, l'entità economica deve essere organizzata in modo stabile e non deve, al contrario, rappresentare il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nuova formulazione dell'art. 2112 cod. civ. non ha legittimato tutte le operazioni di esternalizzazione di servizi, perseguendo viceversa il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in un semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell'attitudine a proseguire con continuità l'attività produttiva cfr., in questi termini, Cass. 8 giugno 2009 n. 13171 . Orbene, nella fattispecie in esame la Corte di merito ha accertato che il negozio traslativo non aveva avuto ad oggetto un ramo d'azienda nel senso indicato, non essendo stato soddisfatto il requisito dell'autonomia funzionale del ramo ceduto. La cessione aveva infatti riguardato una articolazione aziendale non in grado di presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, risolvendosi in una cessione di una pluralità di contratti di lavoro subordinato e quindi in una forma di espulsione di quote di personale non consentita. Si trattava di un'entità costituita solo da rapporti di lavoro con parte dei dipendenti addetti al servizio di Document Management e da dotazioni di ufficio assolutamente prive di rilevanza, non idonee ad assicurare il servizio di gestione della corrispondenza in ingresso e in uscita e delle operazioni ad esso connesse. Non erano state trasferite al cessionario le dotazioni indispensabili all'espletamento del servizio computer e programmi né erano stati posti a disposizione del cessionario altri beni all'uopo necessari, dei quali il cedente si era riservata la proprietà. Inoltre, la cessione non aveva riguardato tutta l'attività di gestione della corrispondenza Telecom, essendo rimasti esclusi taluni servizi, fra cui la cosiddetta corrispondenza Top , ossia quella indirizzata alla sede centrale di Roma che, secondo l'assunto della società cedente, era rimasta in Telecom per ragioni di riservatezza e di celerità. La situazione patrimoniale allegata al contratto di cessione evidenziava, poi, che, a fronte di immobilizzazioni materiali valutate in complessivi Euro 77.790, erano stati ceduti debiti verso il personale pari ad Euro 367.869,00, cui erano da aggiungere Euro 3.458.077,00 per quote di accantonamento del trattamento di fine rapporto. A fronte di tali argomentazioni, le società ricorrenti hanno contrapposto una diversa valutazione degli elementi acquisiti, esprimendo un proprio giudizio sul concetto di autonomia funzionale ed affermando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, la cessione aveva riguardato una articolazione aziendale in grado di presentarsi sul mercato in modo autosufficiente, capace cioè di perseguire lo scopo economico prefissato con propri autonomi mezzi, in virtù della propria autonomia organizzativa. Ma tale prospettazione si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di cassazione, dovendosi al riguardo rimarcare che l'apprezzamento dei fatti è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di tale sindacato non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico—formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito. Nella specie non sono ravvisatali i dedotti vizi di motivazione, apparendo il percorso argomentativo della sentenza impugnata adeguato, coerente e privo di vizi logico-giuridici. Né può condurre a diversa conclusione la circostanza che in un giudizio svoltosi davanti alla Corte di Appello di Palermo, analogo al presente, i consulenti tecnici d'ufficio siano pervenuti alla conclusione che la struttura Document Management” aveva i requisiti previsti dall'art. 2112 cod. civ., ossia fosse dotata di autonomia funzionale e organizzativa ed in grado di svolgere autonomamente il servizio di corrispondenza oggetto del ramo ceduto. Come correttamente evidenziato dalla Corte di merito, a prescindere dalla tardività della produzione di tale consulenza, effettuata in grado di appello, e dal limitato valore probatorio di un accertamento disposto in altro giudizio e tra parti diverse, gli ausiliari, più che svolgere accertamenti di carattere tecnico, hanno espresso un proprio giudizio sul concetto di autonomia funzionale ed una valutazione fondata su elementi documentali ossia sugli ordini di servizio in atti e sul contenuto del negozio di cessione , attività questa riservata al giudicante. Peraltro, le conclusioni cui sono pervenuti i predetti consulenti tecnici non hanno trovato riscontro in una controversia, analoga alla presente, promossa da taluni lavoratori nei confronti delle odierne società ricorrenti, nella quale è stata esclusa l'autonomia funzionale ed organizzativa di Telepost S.p.A. e l'effettività del trasferimento sia per la inconsistenza dei beni materiali ceduti, sostanzialmente inidonei a consentire lo svolgimento dell'attività produttiva del cessionario, sia per la mancata attribuzione di software e di strumentazione informatica autonoma allo stesso, e sia, infine, perché i lavoratori coinvolti dal trasferimento non costituivano un gruppo coeso per professionalità, legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know how tale da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea cfr. Cass. 21 novembre 2012 n. 20422 . Alla stregua di tutto quanto precede i ricorsi vanno rigettati, con la conseguente condanna delle società ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna le ricorrenti al pagamento, a favore di T.M. , delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.