Messo notificatore rifiuta di attestare il falso: l’onestà del lavoratore deve essere protetta

È responsabile, per violazione dell’art. 2087 c.c., il datore che non dimostri di aver fatto tutto il possibile per impedire diffusi e ripetuti comportamenti illegittimi da parte dei suoi dipendenti e per evitare condotte censurabili e gravi suscettibili per le loro modalità attuative di incidere sulla stessa integrità psico-fisica del lavoratore che a tale condotta intendeva opporsi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23772, depositata il 21 ottobre 2013. Il caso. La Corte d’Appello di L’Aquila aveva condannato l’Agenzia Equitalia Polis a pagare a un proprio dipendente – adibito a mansioni di messo notificatore – euro 200.000 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale in conseguenza dell’inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti dall’art. 2087 c.c. tutelare l’integrità fisica e lòa personalità morale dei prestatori di lavoro . La Corte aveva esposto che il datore aveva richiesto al lavoratore di attestare falsamente di essersi recato presso i contribuenti morosi per effettuare le notifiche senza reperirli. Questi si era rifiutato, determinando una reazione di ostilità prevedibile nell’ambiente di lavoro non soltanto da parte del datore, ma anche di tutti i colleghi che si erano adeguati a tale prassi il che aveva determinato una situazione di grave disagio e isolamento del lavoratore, causa di danno che doveva essere risarcito. Severo disagio nel rapporto e nell’ambito lavorativo. Avverso la sentenza, la società ha proposto ricorso in Cassazione, censurando la sentenza nella parte in cui, dopo aver escluso l’esistenza di atti persecutori da parte del datore di lavoro, ha ritenuto che la società avesse violato l’art. 2087 c.c. per aver omesso precauzioni elementari, coinvolgendo i superiori e i colleghi del dipendente . Per la Suprema Corte la censura è infondata. Come evidenziato dagli Ermellini, i giudici territoriali avevano rilevato che il rifiuto aveva determinato un disagio per il lavoratore onesto, il quale, non volendosi adeguare a pratiche illegittime, si era venuto a trovare, in qualche modo, a disagio riportando un danno alla salute quale conseguenza di tali condotte, considerato che era stato oggetto di sanzioni disciplinari o delle esternazioni dei colleghi. Inoltre, la Corte territoriale aveva sottolineato la gravità del comportamento del datore di lavoro. Piazza Cavour ha ritenuto la sentenza impugnata correttamente motivata nella parte in cui ha ravvisato la violazione dell’art. 2087 c.c. per aver la società omesso di adottare precauzioni al fine di evitare o ridurre lo stato di disagio, le manifestazioni di ostilità e l’isolamento del lavoratore determinato dal fatto che aveva manifestato il suo dissenso alla prassi aziendale, del tutto illegittima. In definitiva, la ricorrente, per il S.C., non ha fornito la prova di avere fatto tutto il possibile per impedire diffusi e ripetuti comportamenti illegittimi da parte dei dipendenti. L’illegittimità del comportamento del datore di lavoro non necessariamente è fonte del danno alla salute del lavoratore. Con un secondo motivo, la società ha censurato la statuizione nella parte in cui ha ritenuto che l’affermata omissione a un suo obbligo di comportamento potesse aver cagionato un danno al lavoratore, rilevando che la risarcibilità dei danni sussiste solo quando vi sia un nesso di causalità necessaria. Questo motivo, invece, è stato ritenuto fondato, perché la Corte territoriale ha omesso un’adeguata disamina della prova del danno alla salute e della sua quantificazione, oltre che del nesso di causalità con il comportamento illegittimo denunciato . Alla luce di ciò, il ricorso è stato accolto in relazione a detto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 maggio – 21 ottobre 2013, n. 23772 Presidente Vidiri – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 9 febbraio 2009 la Corte d'Appello di L'Aquila,in riforma della sentenza del Tribunale di Teramo, ha condannato Equitalia Polis a pagare al dipendente P.A. , adibito a mansioni di messo notificatore, Euro 200.000 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale in conseguenza dell'inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti dall'articolo 2087 c.c La Corte ha esposto che il datore di lavoro aveva richiesto al lavoratore di attestare falsamente di essersi recato presso i contribuenti morosi per effettuare le notifiche senza reperirli che il P. aveva opposto un rifiuto a tale prassi determinando una reazione di ostilità prevedibile nell'ambiente di lavoro non soltanto da parte del datore di lavoro, ma anche di tutti i colleghi che si erano adeguati a tale prassi che ciò aveva determinato una situazione di grave disagio ed isolamento del lavoratore causa di danno che doveva essere risarcito. La Corte territoriale ha, peraltro, escluso la prova dell'intento persecutorio del datore di lavoro, ma ha affermato comunque la responsabilità dello stesso ai sensi dell'art. 2087 cc per non avere posto riparo al pregiudizio ed al disagio del dipendente, né provveduto a prevenirlo che il danno, infatti, avrebbe potuto essere evitato o quantomeno ridotto soltanto se si fossero adottate precauzioni elementari al fine di evitare che si costituisse il clima di ostilità sul posto di lavoro fonte della situazione di grave disagio del lavoratore. La Corte d'Appello ha, pertanto, concluso affermando la sussistenza di un danno subito dal dipendente, la derivazione di esso da una condizione di severo disagio nel rapporto e nell'ambito lavorativo causata da un comportamento illecito o illegittimo del datore di lavoro in violazione dell'art. 2087 cc. Circa le conseguenze dannose sulla salute del lavoratore la Corte ha fatto riferimento alla perizia di parte liquidando in via equitativa l'importo di Euro 200.000 riconoscendo un danno permanente del 30%. Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione Equitalia Polis formulando due motivi. Si costituisce P.A. depositando controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 2087, 2049, 1175 e 1375 cc nonché carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto essenziale. Censura la sentenza nella parte in cui, dopo aver escluso l'esistenza di atti persecutori da parte del datore di lavoro, ha ritenuto che la società avesse violato l'articolo 2087 c.c. per aver omesso precauzioni elementari, coinvolgendo i superiori e i colleghi del dipendente e chiarendo che, salve le ragioni della parte datoriale e fatte salve tutte le possibili obiezioni nei confronti della controparte, comunque, si richiedeva agli altri dipendenti di tenere un comportamento rispettoso nei riguardi dell'appellante e di astenersi da qualsiasi comportamento che potesse influire negativamente per evitare il clima di costante profonda ostilità nei confronti del P. . Osserva che la Corte non aveva specificato quali iniziative o comportamenti avrebbe potuto assumere per evitare il contrasto tra la società e l'intero corpo degli ufficiali di riscossione, da un lato, e il P. dall'altro. Rileva che sarebbe stato ravvisabile un comportamento censurabile qualora il datore di lavoro avesse esercitato pressioni con provvedimenti e comportamenti persecutori, per piegare o tentare di piegare la volontà del P. ad aderire alla prassi da questo ritenuto illegittima, ma nulla di simile era risultato provato. Denuncia la contraddizione della sentenza là dove afferma che la società non poteva pretendere che il lavoratore eseguisse una prassi da lui ritenuta illegittima, ed allo stesso tempo afferma che neppure il lavoratore poteva pretendere che la datrice di lavoro abbandonasse, contro il suo convincimento,la prassi fino ad allora seguita dichiarandone l'illegittimità. La censura è infondata. Ndr pagine mancanti da originale dimostrare, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente. Lamenta che mancava la stessa prova del danno che non può farsi consistere in uno stato di disagio ritenuto grave dalla sentenza senza alcuna dimostrazione o un clima di ostilità anch'esso vago o generico. Contesta la quantificazione del danno come effettuata dalla Corte. Il motivo è fondato. La Corte territoriale ha omesso un'adeguata disamina della prova del danno alla salute e della sua quantificazione,oltre che del nesso di causalità con il comportamento illegittimo denunciato. Deve rilevarsi, infatti, che tale accertata illegittimità del comportamento del datore di lavoro non necessariamente è fonte del danno alla salute lamentato dal lavoratore. La Corte d'appello ha affermato che il danno e la sua entità risultavano da una perizia di parte e da documentazione medica di cui, tuttavia, non riporta neppure gli elementi fondamentali rilevanti ai fini del decidere restando genericamente indicata la malattia sofferta dal lavoratore, oltre che la sua quantificazione. La Corte per di più ha quantificato il danno nell'ingente importo di Euro 200.000,00 senza specificare in modo congruo ed esauriente le ragioni poste a sostegno di detta quantificazione. Le considerazioni che precedono impongono l'accoglimento del ricorso in relazione a detto motivo con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio,anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Roma. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo del ricorso ed accoglie il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Roma.