Prima scappa da lavoro, poi si butta in malattia: logico il licenziamento

Il lavoratore si difende ricordando che l’allontanamento ingiustificato si è verificato per un solo giorno. Ciò, però, non rende meno grave il comportamento tenuto, soprattutto considerando il bluff tentato colla scelta di optare per lo stato di malattia. Solo il licenziamento può tutelare l’interesse dell’impresa.

Errare humanum est, perseverare ”. E l’antico adagio si attaglia alla perfezione alla vicenda – assolutamente incomprensibile – del lavoratore, che prima abbandona il posto di lavoro, e poi prova a ‘salvarsi’ evitando il confronto col datore di lavoro e buttandosi in malattia. Scelta assolutamente diabolica, e soprattutto stupida, che, difatti, al lavoratore costa il licenziamento. Cassazione, sentenza n. 22394, sezione Lavoro, depositata oggi Fuga . Davvero insensate le azioni compiute da un lavoratore – dipendente di un magazzino – egli prima abbandona il posto di lavoro e poi, di fronte all’ipotesi di un procedimento disciplinare a suo carico , sceglie di porsi in stato di malattia . Dura, e scontata, la reazione dell’azienda licenziamento , per arbitrario abbandono del posto di lavoro . Provvedimento eccessivo? Assolutamente no, ribattono i giudici, confermando, sia in primo che in secondo grado, la legittimità della linea tenuta dall’azienda. Ciò perché il dipendente si è reso responsabile della violazione di un dovere fondamentale del rapporto di lavoro, manifestamente contraria all’etica comune . Senza dimenticare il comportamento fraudolento tenuto poi Unica opzione . Di fronte a tale ‘linea Maginot’ – che coinvolge azienda e giudici – l’oramai ex dipendente contesta la proporzione della sanzione inflitta rispetto all’entità dell’addebito contestatogli , e, a tale proposito, richiama il ‘contratto collettivo nazionale di lavoro’ del settore, laddove è prevista l’ipotesi del licenziamento per l’assenza ingiustificata per 3 giorni consecutivi . Invece, spiega l’uomo, in questo caso si è avuto l’allontanamento ingiustificato dal servizio per un solo giorno Questa obiezione, però, viene respinta in maniera netta dai giudici della Cassazione, i quali confermano la gravità della condotta tenuta dal lavoratore, non solo per l’ arbitrario allontanamento dal posto di lavoro ma anche, anzi soprattutto, per il comportamento fraudolento operato in danno dei superiori , cioè la decisione di porsi in stato di malattia , finalizzata, evidentemente, a neutralizzare gli effetti del procedimento sanzionatorio . Per i giudici è lapalissiano il disvalore sociale delle azioni compiute dall’uomo, anche considerando la violazione delle norme previste a tutela dello stato di malattia dei lavoratori per questo, qualsiasi altra sanzione conservativa sarebbe stata insufficiente a tutelare l’interesse dell’impresa .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 maggio - 1° ottobre 2013, n. 22394 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 14/10 – 18/11/2010 la Corte d'appello di Napoli ha rigettato l'impugnazione proposta da U.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Napoli che gli aveva respinto la domanda diretta all'annullamento del licenziamento intimatogli il 10/11/04 dalla Co.Na.Te.Co. s.p.a. per l'arbitrario abbandono del posto di lavoro. La Corte partenopea, dopo aver escluso che potesse ritenersi rilevante nella fattispecie la mancata affissione del codice disciplinare, essendo quella contestata una violazione di un dovere fondamentale del rapporto di lavoro manifestamente contraria all'etica comune, ha spiegato che l'istruttoria aveva consentito di appurare il comportamento fraudolento tenuto nell'occasione dal L., il quale aveva dapprima ammesso di aver abbandonato il posto di lavoro, venendo così meno all'obbligo della prestazione, per porsi, poi, in stato di malattia non appena venuto a conoscenza che sarebbe iniziato a suo carico un procedimento disciplinare, minando in tal modo il rapporto fiduciario in guisa tale da far ritenere giustificata la sanzione inflittagli. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L., il quale affida l'impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso la società Co.Na.Te.Co. s.p.a. Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente contesta la ricostruzione del fatto operata dalla Corte d'appello sulla base delle deposizioni testimoniali, nonché la violazione delle norme di cui agli artt. 257 c.p.c. e 2697 cod. civ., oltre che l'omessa e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe ricostruito le circostanze di fatto della vicenda in esame sulla base della sola deposizione resa dal teste M.C., il quale si era riportato a quanto riferitogli da terzi, mentre avrebbe omesso di attribuire rilevanza a quella della teste R.G., al punto da giudicarla non veritiera sulla scorta di considerazioni non condivisibili, in quanto contraddittorie ed irragionevoli. Nel contempo il L. si duole del fatto che la Corte avrebbe erroneamente messo in rilievo la circostanza per la quale esso ricorrente non aveva avanzato istanza volta a conseguire l'ordine di esibizione dei cartellini marcatempo di quel turno di servizio per verificare se risultavano marcati i cartellini di tutti i lavoratori presenti, disattendendo in tal modo il suo rilievo sul fatto che lo stesso giudice di primo grado avrebbe potuto avvalersi dei poteri d'ufficio per una siffatta acquisizione. Il motivo è infondato. Invero, in terna di giudizio di cassazione, fa deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge . Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base. Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti . Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006 in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04 . Nella fattispecie, la Corte d'appello di Napoli ha attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, il materiale istruttorio raccolto, per cui le doglianze appena riferite non scalfiscono la validità della ratio decidendi sottesa al rigetto della domanda. Né va sottaciuto che era una facoltà discrezionale del giudicante quella di operare l'acquisizione d'ufficio di determinati elementi istruttori e che in nessun caso un tale potere poteva essere esercitato per surrogare carenze probatorie della parte. 2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione delle norme di cui agli artt. 2106 e 2119 c.c., all'art. 7 della legge n. 300/70 e dei la legge n, 604/1966, nonché la violazione dell'art. 55 del ccnl per i dipendenti dei magazzini generali, depositi, centri di distribuzione ed intermodali, oltre che l'omessa e contraddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. In concreto, il L. contesta la proporzione della sanzione inflittagli rispetto all'entità dell'addebito contestatogli ed al riguardo fa osservare che l'art. 55 del ccnl per il personale dipendente da magazzini generali e centri intermodali del dicembre del 1995 prevedeva tra le ipotesi del licenziamento quella dell'assenza ingiustificata per tre giorni consecutivi, mentre nel caso di specie si era avuto l'allontanamento ingiustificato dal servizio per un solo giorno. Il motivo è infondato. Invero, la Corte di merito ha adeguatamente motivato, con argomentazione logica ed immune da rilievi di carattere giuridico, il proprio convincimento sulla proporzione della sanzione inflitta al L. rispetto all'addebito contestatogli, avendo spiegato che all'esito dell'istruttoria si era potuto accertare che quest'ultimo, dopo aver inizialmente ammesso di aver abbandonato il suo posto di lavoro, avendo appreso che l'ing. C. lo stava cercando si era poi attivato per porsi in stato di malattia, tenendo in tal modo un comportamento fraudolento finalizzato a raggirare i superiori. Ha aggiunto la Corte che il disvalore sociale di tale fatto risultava piuttosto elevato in quanto esso atteneva al nucleo essenziale della prestazione lavorativa, soprattutto in considerazione delle modalità attuative rappresentate dal tentato raggiro dei superiori e dalla violazione delle norme previste a tutela dello stato di malattia dei lavoratori, per cui la gravità del fatto era tale da far ritenere qualsiasi altra sanzione conservativa insufficiente a tutelare l'interesse dell'impresa e da far venir meno la fiducia sull'esattezza e sulla puntualità dei successivi adempimenti della prestazione lavorativa. Né ha pregio il tentativo del ricorrente di estrapolare dal contratto collettivo di riferimento, del quale non produce nemmeno il relativo testo nel presente giudizio, la norma che prevede la sanzione espulsiva per l'ipotesi dell'assenza ingiustificata per tre giorni consecutivi dal lavoro e di raffrontarla col contenuto della contestazione disciplinare invero, come la Corte di merito ha motivato in maniera logica ed adeguata, l'addebito disciplinare era da considerare in tutta la sua gravità rapportata non solo all'arbitrario allontanamento del L. dal posto di lavoro ma anche al comportamento fraudolento dal medesimo operato in danno dei superiori nel tentativo di neutralizzare gli effetti del procedimento sanzionatorio. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.