Possibilità di repechage: bisogna guardare alle mansioni equivalenti (ma non sempre)

Posto che, ai fini della verifica della possibilità di repechage rilevano le mansioni equivalenti, ove però i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori al fine di evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di repechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni.

Lo ha confermato la Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 20918, depositata il 12 settembre 2013. Licenziamento per ragioni economiche la decisione spetta solo al datore. La pronuncia in commento si inserisce nell’ambito del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva – nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa – è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. . Da ciò deriva che non è sindacabile, nei suoi profili di congruità ed opportunità, la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato Cass., n. 24235/2010 . Il licenziamento per ragioni economiche non si sottrae al controllo giudiziario. Ovviamente, occorre evitare che, dietro il licenziamento finalizzato ad una più economica gestione dell’impresa, si nascondano altre ragioni, che non trovano giustificazione nell’art. 41 Cost Ed infatti, il giudice del lavoro, pur non potendo sindacare scelte che competono al solo datore, ha il diritto-dovere di effettuare un controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore ex plurimis , Cass., n. 15157/2011, n. 21282/200/2006, e n. 12769/2005 . Il datore di lavoro, a sua volta, ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage , mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato a tale allegazione, consegue l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti Cass., n. 3040/2010 . Repechage a volte non contano solo le mansioni equivalenti. La pronuncia in commento, altresì, ribadisce che, quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilità di repechage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti. Tuttavia, ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di repechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in quest’ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l’illegittimità del licenziamento Cass., n. 6552/2009 . Esibizione di una mole inconsultabile di faldoni se non c’è opposizione della controparte, il giudice può esaminarli. Quando il datore di lavoro invoca una crisi aziendale per giustificare il licenziamento, per avere contezza di una diminuzione del fatturato aziendale, si deve partire dall’esame dei documenti contabili e, primo fra tutti, il bilancio. Allorché, però, il datore esibisca una mole inconsultabile di faldoni , limitandosi a depositarne solo alcuni estratti, il diritto di difesa del lavoratore può risultare compromesso. Ed, infatti, l’effettività del diritto garantito dall’art. 24 Cost. viene meno, non soltanto allorché ne sia stato radicalmente impedito l’esercizio pur formalmente riconosciuto , ma anche se è possibile che si creino situazioni tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dello stesso Corte Cost., ord. n. 142/2009 . Tuttavia, qualora la parte legittimata a far valere l’irritualità della produzione abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione, non è dato apprezzare la violazione del contraddittorio, onde la documentazione è valutabile dal giudice come fonte di prova.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 luglio – 12 settembre 2013, n. 20918 Presidente Roselli – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l'appello di P P. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 18098 del 14 dicembre 2009, di rigetto della domanda del P. volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimatogli dalla datrice di lavoro REVLON s.p.a., con le consequenziale pronunce di cui all'art. 18 St. lav., nonché il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale causato dalle modalità di intimazione del recesso, quantificato in Euro 50.000,00. La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che a è corretta la valutazione complessiva delle deposizioni testimoniali effettuata dal giudice di primo grado, in quanto essa ha consentito di evidenziare la sussistenza di una crisi economica che i ha colpito l'azienda nei tre anni precedenti il licenziamento del P. b a fronte di tale emergenze - documentate dagli estratti dei bilanci della società degli anni 2005, 2006 e 2007 - non ha alcun rilievo, nel presente giudizio, la produzione di un utile del 2,98% da parte del ricorrente nel proprio settore negli anni 2006 e 2007, perché ai fini della sussistenza di una condizione di oggettiva difficoltà finanziaria, tale da giustificare il licenziamento, quel che conta è il fatturato dell'intera impresa non quello del settore di appartenenza del lavoratore licenziato, tanto più che, per far fronte alla crisi, l'azienda nell'esercizio della propria discrezionalità può scegliere anche di ridurre i costi in settori che sono di per sé produttivi e, quindi, non richiedono particolare attenzione c dalla prova testimoniale esperita in primo grado - e, in particolare, dalla deposizione del teste I. - è emerso con chiarezza che i compiti e le responsabilità attribuite al P. , per ridurre i costi, sono stati affidati allo I. senza compensi ulteriori d non può essere attribuita, invece, credibilità alle dichiarazioni rese dalla teste M.L C. , da considerare irrilevanti ai fini del giudizio e generiche sia con riguardo alla situazione di costante crescita dell'azienda riferita dalla C. , ma smentita dai bilanci della REVLON, come si è detto sia con riferimento alla riferita assegnazione alla dipendente F F. - assunta nel 2007, poco prima del licenziamento del P. - dei compiti svolti da quest'ultimo, visto che si tratta di circostanza priva di riscontri oggettivi, mentre quel che è certo è che la F. è stata assunta con semplici mansioni di impiegata e in ordine alla scelta del dipendente da licenziare, è stato appurato che i dipendenti con qualifica di Quadro, all'epoca, erano quattro e che di questi sono stati licenziati il P. e la C. , mentre sono rimasti in servizio I.V. al quale sono state attribuite le mansioni del P. e A A. f è stato documentato che quest'ultimo aveva un'anzianità di servizio maggiore del P. , sicché si deve considerare legittima e fattibile la scelta di licenziare il lavoratore con minore anzianità di servizio, per giustificato motivo oggettivo g sono anche infondate le censure sia di violazione dell'obbligo di repechage sia di mancato assolvimento dell'onere probatorio al riguardo da parte della REVLON, in quanto è stata accertata l'impossibilità di adibizione del P. in mansioni equivalenti per inesistenza di posizioni di Quadro in ambito aziendale - come indicato nella lettera di licenziamento - e, inoltre, il ricorrente, fino al licenziamento, non ha mai manifestato la disponibilità ad essere adibito a mansioni di contenuto inferiore rispetto a quelle rivestite fino al momento del recesso h quanto alle nuove assunzioni esse hanno riguardato solo due dipendenti, entrambe assunte con la qualifica di impiegate - una otto mesi prima del licenziamento del ricorrente e l'altra dopo la conclusione del primo grado del presente giudizio - pertanto non risulta disattesa la ragione giustificativa del recesso del P. , consistente nella necessità di riduzione dei costi di produzione per far fronte alla crisi dell'azienda, non essendo più stato assunto alcun dipendente con la qualifica del ricorrente. 2.- Il ricorso di P P. , illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per due motivi resiste, con controricorso, la REVLON s.p.a Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.- Con il primo motivo si denunciano a in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, dell'art. 2697 cod. civ. nonché degli artt. 116 e 246 cod. proc. civ. Erronea e incongrua interpretazione delle prove raccolte in prime cure b in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. Si sottolinea che Pierfrancesco P. , quando gli è stato intimato il licenziamento in oggetto 4 gennaio 2008 ,rivestiva il ruolo di direttore vendite della REVLON s.p.a. su tutto il territorio nazionale, con qualifica di Quadro. Alla base del recesso datoriale, per giustificato motivo oggettivo, la datrice di lavoro anche nella lettera del 18 gennaio 2008 ha sempre posto ragioni apodittiche e generiche inerenti all'attività produttiva e alla organizzazione del lavoro e all'impossibilità di attribuzione di una posizione equivalente a quella occupata di cui si era disposta la soppressione, il tutto in un contesto aziendale che impone riduzione dei costi e in un quadro di progressivo mutamento della struttura di mercato . Non ha, quindi, la REVLON adempiuto l'onere probatorio posto a suo carico di dimostrare la sussistenza e la veridicità incontrovertibili del motivo del licenziamento, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966. Infatti, la crisi economica dell'azienda addotta in giudizio come ragione del licenziamento - e considerata dalla Corte romana adeguatamente provata - non solo non corrisponde alle ragioni poste a giustificazione del licenziamento nella relativa comunicazione - consistenti nella esigenza di riorganizzazione dell'azienda per ottenere una riduzione dei costi - ma non è stata neppure adeguatamente dimostrata, visto che, a tal fine, non è sufficiente la produzione dei bilanci societari, oltretutto, nella specie, contestati. Né va omesso di considerare che la REVLON dopo aver depositato una documentazione palesemente incompleta, in seguito all'ordine di esibizione emesso dal giudice di primo grado, ha esibito una mole inconsultabile di faldoni limitandosi a depositare solo alcuni estratti e così, di fatto, impedendo al Tribunale e al P. di effettuare l'esame della documentazione meramente esibita e di riscontrarne la corrispondenza con quella prodotta in giudizio. Ne consegue che, dovendo considerarsi sfornita di prova la crisi globale dell'impresa, anche la ininfluenza attribuita dalla Corte d'appello all'incremento del fatturato - pari a circa il 3% - dovuto all'apporto del ricorrente appare basarsi su elementi generici e giustificata da una motivazione palesemente illogica e incongrua. Lo stesso vale per le dichiarazioni del teste I. in merito alla situazione finanziaria della società così come per l'esclusione di credibilità della testa C. , disposta in violazione dell'art. 246 cod. proc. civ. e motivata in modo generico e incongruo. 2.- Con il secondo motivo si denunciano a in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, dell'art. 2697 cod. civ. nonché degli artt. 116 e 246 cod. proc. civ. Erronea e incongrua interpretazione delle prove raccolte in prime cure b in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. La incongruità già evidenziata nel precedente motivo si riscontra, ad avviso del ricorrente, anche nell'esame delle risultanze della prova testimoniale esperita in primo grado a proposito dell'affidamento, dopo il licenziamento, delle mansioni del P. ad altri dipendenti. In particolare, la Corte d'appello con una valutazione più completa della prova testimoniale, avrebbe potuto accertare che le mansioni del ricorrente sono state affidate in toto alla neo-assunta F. , senza che assuma alcun rilievo, ai fini del presente giudizio, che tale dipendente sia stata assunta con la qualifica di impiegata. Inoltre, la Corte territoriale non ha attribuito il dovuto rilievo a tale ultima circostanza ai fini dell'esame della censura di violazione dell'obbligo di repechage da parte del datore di lavoro. II - Esame delle censure. 3.- I due motivi del ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 3.1.- Com'è noto, in base all'art. 3 della legge n. 604 del 1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa . Il successivo art. 5 stabilisce che spetta al datore di lavoro l'onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento. Con riguardo all'interpretazione delle suddette disposizioni, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte a il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva - nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa - è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, sicché non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, non essendo neanche necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite vedi, fra le molte Cass. 23 ottobre 2001, n. 13021 Cass. 4 novembre 2004, n. 21121 Cass. 14 giugno 2005, n. 12769 Cass. 2 ottobre 2006, n. 21282 Cass. 3 novembre 2010, n. 24235 Cass. 11 luglio 2011, n. 15157 . b il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge 15 luglio 1996, n. 604, è determinato non da un generico ridimensionamento dell'attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro su cui incombe il relativo onere dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale vedi, per tutte Cass. 26 settembre 2011, n. 19616 c in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. - il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto Cass. 14 maggio 2012, n. 7474 d il licenziamento per motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva è scelta riservata all'imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell'azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità Cass. 22 agosto 2007, n. 17887 e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nella previsione della seconda parte dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, comprende anche l'ipotesi di un riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall'imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni - non meramente contingenti - influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una volta accertata l'effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro, ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi da questa oggettivamente giustificato vedi, di recente Cass. 24 febbraio 2012, n. 2874 f in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile repechage, mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti ex plurimis Cass. 8 febbraio 2011, n. 3040 Cass. 18 marzo 2010, n. 6559 Cass. 22 ottobre 2009, n. 22417 Cass. 20 gennaio 2003, n. 777 Cass. 12 V v giugno 2002, n. 8396 Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134 . 3.2.- Dall'insieme dei riportati principi si desume che, nella sostanza, la sentenza impugnata è ad essi conforme, pur contenendo alcune imprecisioni nella motivazione, che peraltro, non rivestendo un ruolo essenziale - come vedremo - sono suscettibili di correzione, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. L'anzidetta conformità è desumibile dal fatto che la Corte d'appello ha accertato che la diminuzione delle entrate dell'azienda nel suo complesso - nel triennio di riferimento - è stata effettiva e non simulata o pretestuosa ed ha giustificato il disposto riassetto organizzativo, che ha comportato la soppressione delle due posizioni di Quadro in ambito aziendale, rispettivamente occupate dalla C. e dal P. , che sono stati licenziati. La Corte ha anche accertato che le rilevanti mansioni svolte, con impegno, dal P. sono state attribuite a I.V. , senza alcun compenso aggiuntivo ed ha, altresì, ritenuto non provata la circostanza dell'assegnazione alla dipendente F.F. - assunta nel 2007, poco prima del licenziamento del P. - dei compiti svolti dal P. , circostanza che peraltro non ha un ruolo determinante, visto che la F. è stata assunta con semplici mansioni di impiegata e quindi con costi certamente inferiori per l'azienda rispetto al P. . D'altra parte - non essendo rinvenibili, nella specie, violazioni di legge, per quel che si è detto - si deve ricordare che il controllo in sede di legittimità della adeguatezza della motivazione del giudice di merito non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso da quest'ultimo, che come tale è incensurabile, ma costituisce lo strumento attraverso il quale si può valutare solamente la legittimità della base di quel convincimento e neppure consente di valutare l'eventuale ingiustizia in fatto della sentenza pertanto, il vizio riscontrato deve riguardare un punto decisivo, tale, cioè, da rendere possibile una diversa soluzione ove il relativo errore non fosse stato commesso vedi, per tutte Cass. 12 febbraio 2000, n. 1595 . Inoltre, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento Cass. 17 maggio 2007, 11457 . Ne deriva che i profili di censura relativi alla valutazione della prova testimoniale non assumono rilievo, in questa sede, non essendosene dimostrata la decisività, nel suddetto senso. Mentre, la valutazione della Corte d'appello in merito all'incremento del fatturato - pari a circa il 3% - dovuto all'apporto del ricorrente e il collegamento fattone con il disposto licenziamento - secondo cui, per far fronte alla crisi, l'azienda nell'esercizio della propria discrezionalità può scegliere anche di ridurre i costi in settori che sono di per sé produttivi e, quindi, non richiedono particolare attenzione - rappresentano enunciazioni puramente incidentali, prive di relazione causale col deciso e, come tali, irrilevanti, in questa sede vedi Cass. 8 febbraio 2012, n. 1815 . 3.3.- Quanto al repechage, quel che conta, in questa sede, è che la Corte territoriale ha precisato che 1 la REVLON ha adeguatamente provato l'impossibilità di adibizione del P. in mansioni equivalenti per inesistenza di residue posizioni di Quadro in ambito aziendale, come indicato nella lettera di licenziamento 2 le nuove assunzioni hanno riguardato solo due dipendenti, entrambe assunte con la qualifica di impiegate, una otto mesi prima del licenziamento del ricorrente e l'altra dopo la conclusione del primo grado del presente giudizio, sicché risulta comprovata la ragione giustificativa del recesso del P. , consistente nella necessità di riduzione dei costi di produzione per far fronte alla crisi dell'azienda, non essendo più stato assunto alcun dipendente con la qualifica del ricorrente. In tal modo, implicitamente, la Corte d'appello ha anche escluso che - come, del resto, viene confermato nel presente ricorso - il lavoratore abbia collaborato nell'accertamento di un possibile repechage, mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, obbligando così il datore di lavoro a provare la non utilizzabilità nei posti predetti. E, come si è detto, tale collaborazione - benché non corrisponda ad un onere probatorio a carico del lavoratore e, quindi, solo in senso ampio, debba essere svolta in modo coerente con il principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all'art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio - tuttavia, specialmente quando le realtà aziendali abbiano grandi dimensioni, può rappresentare un utile mezzo di difesa. 3.4.- In questa situazione, la sussistenza degli estremi per affermare la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui si tratta risulta essere adeguatamente motivata, non risultando che il lavoratore abbia adeguatamente e tempestivamente sostenuto e provato in giudizio - come pure avrebbe potuto fare vedi Cass. 2 dicembre 2004, n. 23683 Cass. 14 marzo 2013, n. 6501 - che la suddetta giustificazione del recesso fosse meramente apparente e nascondesse altro tipo di motivazione discriminatoria, ritorsiva o altra . Assume, invece, carattere marginale - e va quindi semplicemente corretto, come si è detto - il riferimento operato dalla Corte romana ad una possibile adibizione del ricorrente in mansioni di contenuto inferiore rispetto a quelle di appartenenza. Tale riferimento - formulato in termini generali - non è conforme alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte secondo cui quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilità di repechage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell'impossibilità di repechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in quest'ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l'illegittimità del licenziamento vedi, per tutte Cass. 18 marzo 2009, n. 6552 . 3.5.- Quanto, infine, alle censure del ricorrente in merito al mancato adempimento, da parte della REVLON, dell'onere probatorio posto a suo carico di dimostrare la sussistenza e la veridicità incontrovertibili del motivo del licenziamento, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966, si osserva quanto segue. Le censure si basano sui seguenti rilievi a gli estratti dei bilanci della società degli anni 2005, 2006 e 2007 sono assolutamente inidonei allo scopo b neppure può considerarsi sufficiente la produzione dei bilanci societari, oltretutto, nella specie, contestati c la REVLON, dopo aver depositato una documentazione palesemente incompleta, in seguito all'ordine di esibizione emesso dal giudice di primo grado, ha esibito una mole inconsultabile di faldoni limitandosi a depositare solo alcuni estratti e così, di fatto, impedendo al Tribunale e al P. di effettuare l'esame della documentazione meramente esibita e di riscontrarne la corrispondenza con quella prodotta in giudizio. Deve essere, al riguardo, precisato che, in linea generale, per avere contezza di una diminuzione di fatturato di un'azienda, anche ai fini che qui interessano, si deve partire dall'esame dei relativi documenti contabili, primo fra tutti il bilancio vedi, per tutte Cass. 8 marzo 2012, n. 3628 . Quanto alla esibizione di una mole inconsultabile di faldoni , da parte della REVLON, va sottolineato che, in linea astratta, il problema evidenziato può essere rilevante, in quanto l'effettività dei diritti fondamentali, tra i quali va certamente annoverato il diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, Cost., viene meno non soltanto nel caso in cui ne sia radicalmente impedito l'esercizio, pur formalmente riconosciuto, ma anche se è possibile che si creino, senza la previsione di adeguati rimedi, situazioni tali da rendere eccessivamente difficile l'esercizio stesso arg. ex Corte cost., ord. N. 142 del 2009 . Così, se si depositano, producono o esibiscono in giudizio voluminosi faldoni di documenti, privi di un ordine o di un indice può risultarne impossibile la consultazione per le parti e per lo stesso giudice. Va, tuttavia, osservato che l'esibizione di cui si tratta nel presente giudizio è disciplinata dall'art. 210 cod. proc. civ. e dagli artt. 95 e 96 disp. att. cod. proc. civ. e il secondo comma di tale disposizione stabilisce che il giudice, nell'ordinare l'esibizione, da i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo dell'esibizione . D'altra parte, secondo il regime generale che vale per gli atti ed i documenti prodotti prima o dopo la costituzione in giudizio, la mancata osservanza degli adempimenti rispettivamente da osservare al riguardo ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. cod. proc. civ., rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non A^ abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione, giacché, ove non sussista alcuna tempestiva opposizione alla produzione irrituale da effettuare nella prima istanza o difesa successive all'atto o alla notizia di esso , non è dato apprezzare la violazione del principio del contraddittorio, che le anzidette norme sono dirette ad assicurare Cass. 9 marzo 2010, n. 5671 Cass. 5 luglio 2001, n. 9077 . Nella specie, come rileva anche la controricorrente, non risulta - né il ricorrente lo deduce in questa sede, in conformità con il principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione - che, nel giudizio di primo grado, il P. abbia tempestivamente fatto rilevare l'irregolarità della produzione dei bilanci o che abbia lamentato di non essere stato messo in grado, data l'ingente mole dei documenti, di estrarne copie, in base alla relativa autorizzazione del giudice, di cui, peraltro, non dimostra di essersi avvalso. Ne consegue che le suddette censure non possono avere ingresso nel presente giudizio di cassazione. III – Conclusioni. 4.- In sintesi il ricorso deve essere respinto. La peculiarità fattuale della controversia e la natura delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.