La Regione intende interrompere il rapporto con il direttore generale? Rispetti il codice civile

Il contratto di lavoro previsto per il conferimento delle funzioni di dirigente generale è assoggettato, nella fase dell’esecuzione, unicamente alle norme del codice civile conseguentemente, la norma regionale non può legittimare il recesso unilaterale della Regione dal rapporto di lavoro, ove tale norma contrasti con le disposizioni codicistiche e le leggi sul lavoro subordinato privato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, con la sentenza n. 23351, depositata il 18 dicembre 2012. L’assegnazione di funzioni dirigenziali si compone di due fasi. Preliminarmente, la pronuncia in commento ribadisce che, nel procedimento di assegnazione di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione pubblica, vanno distinte due fasi una prima fase, relativa agli atti preliminari al conferimento dell’incarico dirigenziale, caratterizzata da un’ampia discrezionalità della p.a. nella scelta del contraente, ed una seconda fase, successiva alla stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo determinato, con cui si definisce il trattamento economico del dirigente, in vista del raggiungimento di determinati obiettivi. Entrambe sono disciplinate dal diritto privato – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice ordinario del lavoro – ma diverse sono le conseguenze dell’inadempimento dell’amministrazione nelle due fasi, atteso che solo nella seconda sorge, in capo al dirigente, un diritto soggettivo pieno Cass. S.U. n. 10370/1998, e Cass. n. 3677/2009 . Le norme statali sulla privatizzazione del pubblico impiego costituiscono principi generali. La materia della dirigenza pubblica è disciplinata, sin dal d.lgs. n. 29 del 1993 – che ha avviato la c.d. privatizzazione del pubblico impiego – dalle disposizioni del codice civile, dalle leggi statali sul lavoro subordinato e dalla contrattazione collettiva. In particolare, l’assetto delineato dalla legislazione statale costituisce, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, un principio fondamentale vincolante per le Regioni Corte Cost. n. 352/1996 . Tale conclusione, peraltro, risulta ulteriormente rafforzata dalla previsione contenuta nel d.lgs. n. 150/2009, che, modificando il d.lgs. n. 165/2001, ha espressamente esteso alle Regioni l’applicabilità della disciplina statale in materia di pubblico impiego e di dirigenza pubblica . Il rapporto di lavoro dei dirigenti regionali è regolato dalle norme di diritto privato. Coerentemente con questa ricostruzione del quadro delle fonti, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che la disciplina degli incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all’amministrazione è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, co. 2, lett. l Cost. conseguentemente, le Regioni non possono legiferare in materia senza rispettare i precetti stabiliti dalla legislazione statale Corte Cost. n. 324/2010 . In caso di interruzione del rapporto, il dirigente gode di una tutela piena. Sulla base di queste premesse, il dirigente ha diritto ad una tutela piena nel caso in cui l’amministrazione receda unilateralmente dal contratto di lavoro, atteso che tale atto rientra nella gestione di un rapporto di lavoro assunto dalla p.a. con le capacità ed i poteri del datore di lavoro privato Cass. S.U. n. 10370/1998 . Conseguentemente, l’applicazione delle norme civilistiche esclude che la p.a. possa recedere liberamente dal rapporto con i dirigenti generali Corte cost. n. 103/2007, n. 104/2007, n. 390/2008, n. 351/2008, n. 34/2010, n. 224/2010, e n. 246/2011 . La Regione che vuole revocare l’incarico dirigenziale deve rispettare i principi del giusto procedimento. La sentenza in commento ribadisce, altresì, il costante insegnamento della Consulta, secondo cui l’amministrazione regionale, che intenda interrompere il rapporto prima della scadenza, è tenuta a garantire un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell’ambito del quale, da un lato, l’amministrazione esterna le ragioni che sono alla base della propria scelta e, dall’altro, il dirigente può far valere il proprio diritto di difesa, prospettando i risultati dell’opera svolta in vista per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’organo politico ed individuati nel contratto di lavoro Corte Cost. n. 161/2008 . La norma regionale non è imperativa se contrasta con le norme codicisitiche in materia di lavoro. La Corte di Cassazione conclude il suo lungo iter argomentativo, affermando che anche la normativa regionale può avere il rango di norma imperativa idonea a determinare, ex art. 1418 c.c., la nullità del contratto, ma a condizione che la stessa sia adottata nel rispetto del riparto delle competenze legislative Stato-Regioni delineato dall’art. 117 Cost Con particolare riferimento alla dirigenza pubblica, quindi, la norma regionale non può determinare la nullità del contratto di lavoro, legittimando il recesso unilaterale della Regione, ove la stessa contrasti con le disposizioni codicistiche e le leggi sul lavoro subordinato privato, che, come tali, sono di esclusiva competenza statale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 novembre – 18 dicembre 2012, n. 23351 Presidente Stile – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello di A.F. avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 30 aprile 2003 che, a sua volta, aveva respinto la domanda dell'A. diretta ad ottenere il riconoscimento dell'illegittimità del recesso della Regione Calabria dal rapporto instauratosi tra le parti con contratto stipulato in data 3 agosto 1999, con la conseguente condanna dell'Ente al risarcimento del danno procuratogli, previa disapplicazione del provvedimento regionale che aveva annullato le diverse delibere riguardanti il contratto stesso con il quale gli era stato conferito l'incarico di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale. La Corte d'appello di Catanzaro, per quel che qui interessa, precisa che a in base al chiaro tenore della normativa richiamata dalle parti art. 26, comma 3, della legge della Regione Calabria 13 maggio 1996, n. 7 e art. 1 bis della legge della Regione Calabria 24 maggio 1999, n. 14 non è possibile il protrarsi degli incarichi di funzione di dirigente generale e di dirigente di settore oltre il compimento del settantesimo anno di età b tale norma si applica anche alle persone non appartenenti al ruolo della Giunta regionale - e quindi anche esterne all'Amministrazione - ed è una norma imperativa destinata a regolare tutta la materia presso la Regione Calabria c non ha rilievo in contrario l'uso del termine protrarsi perché da una interpretazione sistematica non può non desumersi che la disposizione ha carattere generale ed è stata concepita come diretta a prevalere anche su norme contrattuali o su normative generali di diverso tenore d ciò significa che l'uso del verbo protrarre equivale alla introduzione di un divieto del prolungamento dell'incarico oltre il termine del settantesimo anno di età, anche se tale possibilità fosse consentita da altre norme e del resto, per rendere più efficiente e rapida l'azione della PA è comprensibile che si prevedano limiti di età per la copertura degli incarichi dirigenziali da parte del personale, mentre agli esterni è più confacente la diversa figura della consulenza che non comporta l'attribuzione di incarichi di amministrazione attiva f quanto, infine, all'assunto secondo cui l'art. 19 del dlgs. n. 29 del 1993 e del d.lgs. n. 165 del 2001 configurerebbe una deroga alla normativa regionale , vi è da osservare che tale norma si riferisce all'Amministrazione statale non riguarda affatto le Regioni g suddetta norma statale derogatoria risulta inapplicabile perché nulla precisa in merito alla questione di cui si controverte nel presente giudizio, a fronte della legislazione regionale che specifica in modo chiaro che la disciplina della materia in oggetto viene riservata alla normativa regionale. 2 - Il ricorso di F A. domanda la cassazione della sentenza con due motivi resiste, con controricorso, la Regione Calabria. Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, a 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 nonché dell'ari 26, comma 3, della legge della Regione Calabria 13 maggio 1996, n. 7 e dell'art. 1 bis della legge della Regione Calabria 24 maggio 1999, n. 14, per avere la Corte territoriale escluso l'applicabilità, nella specie, del suindicato art. 19, comma 6 e per avere respinto la domanda azionata. Il ricorrente sottolinea che il rapporto professionale di cui si tratta ha avuto inizio con un contratto regolarmente stipulato in data 3 agosto 1999, con prevista durata quinquennale e possibilità di risoluzione per entrambe le parti ai sensi dell'art. 2119 cod. civ., salvo anticipato recesso del prestatore d'opera. Nel corso dello svolgimento del rapporto - il 1 agosto 2000 - improvvisamente la Regione è receduta dallo stesso, sull'assunto secondo cui avendo al momento della stipulazione dell'indicato contratto l'attuale ricorrente già compiuto il settantesimo anno di età, il contratto in oggetto era stato concluso in violazione della legge regionale n. 7 del 1996 cit., benché peraltro tale legge nulla disponga al riguardo per l'ipotesi in cui il rapporto con il soggetto estraneo all'Amministrazione non prosegua , ma sorga , in applicazione dell'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 ora contenuto nel d.lgs. n. 165 del 2001 . A3 riguardo il ricorrente sottolinea che la Corte catanzarese effettuata una interpretazione erronea della normativa di riferimento da un duplice punto di vista, cioè, perché 1 attribuisce alla normativa regionale un contenuto che essa non ha 2 ritiene che la normativa statale art. 19 cit. si riferisca esclusivamente alle Amministrazioni statali e, quindi, non si applichi alle Regioni. Si rileva, altresì, che in circostanze analoghe la stessa Regione aveva sostenuto che, per il conferimento di incarichi dirigenziali a personale esterno all'Amministrazione, l'art. 19 in oggetto non prevedeva alcun limite di età. D'altra parte anche le giustificazioni date dalla Corte territoriale rispetto alla affermata applicazione del limiti di età - svecchiamento , efficienza e rapidità della PA - appaiono poco convincenti e in contrasto con quanto precisato, in merito all'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, ove si è sempre posto l'accento sul grado elevato di esperienza dei soggetti estranei all'Amministrazione, con comprovata qualificazione personale, il cui contributo alla PA è stato considerato prezioso vedi, per tutte Corte dei Conti, Sez. Contr. Stato, delibera, 16 luglio 2001 . Peraltro, la situazione dei soggetti esterni è completamente diversa rispetto a quella dei dirigenti interni che vengono preposti ad uffici dirigenziali e quindi le due situazioni non sono paragonabili. 2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ,, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in relazione alla sollevata execptio iudicati di illegittimo esercizio del potere di autotutela da parte della Regione Calabria in violazione di quanto disposto dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 . Si sostiene che, dal dispositivo della sentenza impugnata, si desumerebbe che la Corte d'appello ha erroneamente considerato legittimo l'esercizio del potere di autotutela da parte della Regione Calabria. Ciò rievocherebbe un riferimento ad una errata connotazione autoritativa e discrezionale del rapporto, che invece è regolato solo dal diritto privato, secondo il costante insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte di cassazione, formatosi anche sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale. Comunque, anche nell'ottica amministrativistica, l'esercizio del potere di autotutela, nella specie, non potrebbe comunque considerarsi legittimo, dato il tempo trascorso dall'inizio del rapporto e la mancanza di giustificazione atta a giustificare il mancato mantenimento dell'atto amministrativo, cioè rapportata all'interesse pubblico, concreto e attuale alla rimozione. II - Esame delle censure 3. Il primo motivo del ricorso va accolto, per le ragioni di seguito esposte. 3.1.- Per una migliore comprensione della presente vicenda giudiziaria appare opportuno ricordare che, come di recente ribadito da questa Corte nella sentenza 5 marzo 2012, n. 3419 -relativa ad una controversia analoga alla presente anche temporalmente, originata dal recesso unilaterale della Regione Calabria da un rapporto di lavoro instaurato con un soggetto esterno alla propria Amministrazione scelto per svolgere per un quinquennio, con contratto a tempo determinato, un incarico dirigenziale - in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, a partire dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993 - che ha introdotto la privatizzazione del pubblico impiego con riguardo anche al settore della dirigenza settore, quest'ultimo, la cui specifica disciplina, con i d.lgs. n. 80 e n. 387 del 1998, è stata completata, sul piano strutturale, anche per le modalità di svolgimento degli incarichi dirigenziali con l'accentuazione, sul piano funzionale, della distinzione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti vedi Corte cost. sentenza n. 103 del 2007 - nel procedimento di assegnazione di incarichi di funzioni dirigenziali da parte di una Amministrazione pubblica a soggetti esterni alla struttura organica dell'ente medesimo, vanno distinte due fasi quella relativa agli atti preliminari atto di conferimento dell'incarico dirigenziale ed ogni altro atto che, parimenti, preceda la stipulazione del contratto e quella successiva alla stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo determinato con l'amministrazione abilitato a definire il corrispondente trattamento economico, il tutto in vista di determinati obiettivi. Entrambe le fasi sono rette dal diritto privato con devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario del lavoro , però le conseguenze dell'eventuale inadempimento dell'Amministrazione sono rispettivamente diverse nelle due fasi. Infatti, mentre nella prima fase è riconosciuta all'Amministrazione un'ampia discrezionalità nella scelta del contraente, sicché in essa non sorge un diritto soggettivo pieno alla stipulazione del contratto dal quale dipende, in via esclusiva, l'assunzione dell'incarico della funzione dirigenziale vedi, per tutte Cass. 20 febbraio 2007, n. 3929 Cass. 23 febbraio 2007, n. 4275 , pur essendo configurabili in favore dell'interessato situazioni soggettive di diritto privato, derivanti dalla soggezione della PA ai principi di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., da applicare in modo analogo alle clausole di buona fede e correttezza che presiedono i rapporti interprivati, visto che le valutazioni che la PA compie in questa fase sono analoghe a quelle che potrebbe compiere un privato committente vedi Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370 Cass. SU 3 gennaio 2007, n. 4 . Nella fase successiva alla stipulazione del contratto, invece, la tutela del privato è piena e quindi se l'Amministrazione recede unilateralmente dal contratto illegittimamente, questo atto ha gli stessi effetti di un recesso contrattuale fra privati, visto che anche la delibera di revoca dell'incarico non ha natura autoritativa al pari di quella iniziale del conferimento dell'incarico , sicché il suddetto atto appartiene alla gestione di un rapporto di lavoro assunto dalla PA con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato vedi, per tutte Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370 Cass. 16 febbraio 2009, n. 3677 . Dalle suesposte considerazioni si desume che l'atto che ha dato origine alla presente controversia è un atto di quest'ultimo tipo, essendo stato adottato dopo la stipulazione, avvenuta il 3 agosto del 1999, del contratto individuale di lavoro a tempo determinato tra l'attuale ricorrente e la Regione Calabria di conferimento dell'incarico di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale della Amministrazione regionale. Va, inoltre precisato che il suddetto atto è stato anche adottato dopo che nel suindicato contratto - diretto a definire il corrispondente trattamento economico in vista degli obiettivi determinati - si era dato atto del già avvenuto compimento dei settanta anni di età da parte dell'incaricato e si era fatto esplicito richiamo sul punto all'allora vigente art. 19 d.lgs. n. 29 del 1993 che in tali casi non fissava alcun limite di età. Su queste basi, il rapporto professionale di cui si tratta aveva avuto regolare svolgimento per il primo dei cinque anni della sua prevista durata. 3.2.-Ne consegue che, iscrivendosi la presente vicenda nel sistema venutosi a delineare a partire dall'emanazione del d.lgs. n. 29 del 1993, il rapporto in oggetto è disciplinato - anche con riferimento all'esercizio della facoltà di recesso delle parti - dalle disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato nel settore privato e i rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente. L'art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 29 del 1993, che delinea tale assetto di regolamentazione - come più volte affermato anche dalla Corte costituzionale vedi, per tutte sentenza n. 507 del 2000 - rappresenta un principio legislativo costituente principio fondamentale vincolante per le Regioni vedi in proposito Corte cost. sentenza n. 352 del 1996 . Infatti, se le leggi regionali potessero, ciò nonostante, continuare ad emanare disposizioni destinate a sovrapporsi o ad aggiungersi a quelle previste, nei rispettivi ambiti di competenza, dalla legislazione statale e dai contratti collettivi, l'intero sistema in questione verrebbe evidentemente compromesso con riguardo al comparto dei dipendenti regionali. Va, inoltre, sottolineato che la stipulazione del contratto per il conferimento dell'incarico dirigenziale di cui si tratta è avvenuta prima sia della entrata in vigore 8 novembre 2001 della riforma del titolo V della Parte II della Costituzione disposta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 sia dell'entrata in vigore 13 ottobre 2000 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 che, agli arti 88 e 111, stabilisce un raccordo tra la disciplina degli uffici e del personale, anche di livello dirigenziale, degli enti locali e quella del dlgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni . Si deve anche tenere presente che all'epoca vi erano riferimenti, nella contrattazione collettiva, alle norme del d.lgs. n. 29 del 1993, però nel CCNL del Comparto Regioni-Autonomie locali vigente dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 2001, all’art. 22, comma 2, si faceva esclusivo riferimento ai principi stabiliti dal d.lgs. n. 29 del 1993, art. 19, commi 1 e 2, e quindi non al comma 6, prevedente la possibilità del conferimento di incarichi dirigenziali a persone esterne al l’Amministrazione. Va considerato, altresì, che solo con l'art. 40, comma 1, lett. f , del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in sede di modifica dell'art. 19 del dlgs. 30 marzo 2001, n. 165 nel quale, com'è noto, sono confluiti i corrispondenti articoli contenuti nei precedenti decreti legislativi, in materia si è espressamente estesa l'applicazione del comma 6 cit. oltre che del nuovo comma 6-bis alle Amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, tra le quali rientrano anche le Regioni vedi, sul punto, Corte Cost. sentenza n. 310 del 2011 . Comunque, in linea generale, solo in epoca relativamente recente si è consolidato, nell'ambito della giurisprudenza costituzionale, l'orientamento secondo cui la normativa statale in materia di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'Amministrazione è riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui all'art. 117 Cost., comma 2, lett. 1 , poiché il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato , sicché le Regioni non possono legiferare in materia senza rispettare i precetti stabiliti dalla suddetta legislazione statale vedi, per tutte Corte cost. sentenza n. 324 del 2010 . Ne deriva che, nella presente controversia, ha un ruolo marginale la pacifica estraneità all'art. 19, comma 6, cit., nel testo vigente all'epoca in cui si sono svolti i fatti, di limiti di età, tra i requisiti richiesti ai soggetti esterni per il conferimento, da parte delle Amministrazioni pubbliche, di incarichi dirigenziali. Infatti, per quanto si è detto, in quel momento, l'individuazione da parte delle Regioni dei soggetti esterni all'Amministrazione idonei a ricoprire l'incarico dirigenziale risultava altamente discrezionale e subordinata unicamente all'impossibilità di reperire le speciali professionalità nell'ambito della dirigenza di ruolo, senza necessità di richiedere ai destinatari il possesso degli stessi requisiti stabiliti per le Amministrazioni statali, ritenendosi sufficiente la verifica della sussistenza dei requisiti indicati dalla normativa nella specie regionale di riferimento in capo al soggetto destinatario dell'incarico. Ma ciò valeva solo per la prima delle due suddette fasi del procedimento di assegnazione degli incarichi di funzioni dirigenziali, mentre la fase successiva, nella quale era già operativa la contrattualizzazione della dirigenza, era comunque regolata dalle norme civilistiche, la cui applicazione escludeva - come attualmente esclude - l'attribuzione alla pubblica Amministrazione della facoltà di recedere liberamente dal rapporto stesso Corte cost. sentenza n. 313 del 1996 , anche se instaurato con dirigenti generali, venendosi diversamente ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività gestoria Corte cost. sentenza n. 103 del 2007 . Anche per tale ultima tipologia di incarichi pur se conferiti a soggetti esterni all'Amministrazione Corte cost. sentenze n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008 , infatti, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, il rapporto di lavoro instaurato con l'Amministrazione che attribuisce la relativa funzione deve essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione” Corte cost. sentenze n. n. 103 e n. 104 del 2007 n. 390 e n. 351 del 2008 n. 224 e n. 34 del 2010 n. 246 del 2011 . Da ciò deriva, secondo il reiterato insegnamento del Giudice delle leggi, che, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione intenda di interrompere il rapporto prima della scadenza contrattualmente prevista è tenuta a garantire un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti”, nell'ambito del quale, nel rispetto dei principi del giusto procedimento, da un lato, l'Amministrazione esterni le ragioni - connesse alle pregresse modalità di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa - che sono alla base della propria scelta dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato” Corte cost. sentenza n. 161 del 2008 . Infatti, le pubbliche Amministrazioni sono tenute ad uniformare il proprio operato al rispetto dei principi dettati dagli artt. 97 e 98 Cost. nonché al rispetto dei principi ispiratori della riforma della pubblica Amministrazione, secondo cui, per i dirigenti, l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza deve essere misurato alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarità della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa è inserita” Corte cost. sentenza n. 103 del 2007 . 3.3.- Dalle anzidette considerazioni si trae conferma della erroneità della decisione assunta dalla Corte catanzarese. Ai fini qui considerati sussistenza di un limite di età e nel quadro normativo dell'epoca va sottolineato che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale a la posizione dei soggetti esterni all'Amministrazione scelti per svolgere, con contratto a tempo determinato, un incarico dirigenziale risulta imparagonabile rispetto a quella dei dirigenti interni b inoltre, come risulta confermato dall'interpretazione letterale e logico-sistematica della richiamata normativa regionale, la protrazione di un incarico non può considerarsi equivalente al relativo conferimento c pertanto, non è possibile, su queste basi, sostenere, con interpretazione creativa , che le norme regionali - prevedenti che l'”esercizio” delle funzioni di dirigente generale e di dirigente di settore non può protrarsi oltre il limite di età di settanta anni - avrebbero introdotto un divieto del prolungamento dell'incarico oltre il suddetto limite di età, di carattere imperativo, destinato a regolare tutta la materia presso la Regione Calabria, diretto a prevalere anche su norme contrattuali o su normative generali di diverso tenore A tale ultimo riguardo, la Corte territoriale sostiene che anche la normativa statale - in particolare il riferimento è fatto all'art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993 e del d.lgs. n. 165 del 2001 - sarebbe destinata a cedere rispetto a quella regionale, in quanto riguardante solo l'Amministrazione statale e non le Regioni e comunque perché configurerebbe una deroga alla normativa regionale , come tale inapplicabile nella specie, visto che essa nulla precisa in merito alla questione di cui si controverte nel presente giudizio, a fronte della legislazione regionale che invece specifica in modo chiaro che la disciplina della materia in oggetto viene riservata alla normativa regionale. È, pertanto, evidente che la Corte territoriale, con le suddette statuizioni, mostra di non aver presente che i rapporti come quello di cui si tratta, fin dalla introduzione della privatizzazione del pubblico impiego, sono retti, nel loro svolgimento, dalle norme privatistiche unitamente con quelle della contrattazione collettiva, ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 29 del 1993, di cui si è detto , le quali sia prima che dopo la riforma costituzionale del 2001 sono sempre state di competenza esclusiva statale. Sicché - a prescindere dal fatto in tale situazione è assolutamente estranea ai principi che regolano la gerarchia tra fonti immaginare una legge statale che deroga ad una legge regionale, perché, una volta stabilito che Io Stato ha legiferato nell'ambito della propria competenza esclusiva, la legge regionale non può che essere subordinata alla legge statale - dalle predette considerazioni deriva che la attuale fattispecie, di recesso unilaterale dal rapporto da parte dell'Amministrazione prima della scadenza contrattualmente concordata per asserita conclusione del contratto in violazione di norma imperativa - deve essere valutata facendo applicazione sia dei principi dettati dalla normativa di settore, a partire dal d.lgs. n. 29 del 1993, sia delle norme del codice civile in materia di recesso e di cause di nullità del contratto. Si deve, pertanto, fare riferimento all'art. 1418 cod. civ., nella parte in cui prevede che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative . Ora, va al riguardo precisato che pur non essendovi dubbi sulla configurabilità di norme regionali imperative , ai fini dell'applicazione della suddetta norma vedi Cass. 13 settembre 2000, n. 12067 Cass. 20 giugno 1990, n. 6211 , è altrettanto sicuro che simile configurabilità presuppone che si tratti di norme emanate nelle materie e nei limiti di competenza propri delle Regioni. Nella specie, invece, la presunta norma regionale inderogabile - creata in sede interpretativa dalla Corte territoriale e prevedente un divieto assoluto di prolungamento degli incarichi oltre il limite di età di settanta anni, applicabile anche nelle ipotesi in cui il relativo conferimento sia avvenuto senza alcuna specifica pattuizione al riguardo - non solo è priva adeguati riscontri, letterali e logico-sistematici, nei testi legislativi esaminati - da valutare con riguardo alla normativa statale vigente all'epoca dei fatti e in base ai generali canoni di correttezza e buona fede - ma risulta, così intesa, incidere su di una materia il diritto privato che è sempre stata di competenza esclusiva statale, in base all'art. 117 Cost Ne deriva che ad essa non può essere attribuito il ruolo di norma imperativa ai fini dell'applicazione dell'art. 1418 cod. civ., senza che possa avere alcun rilievo in contrario la - ugualmente creativa - posizione sovraordinata, rispetto alla normativa statale considerata derogatoria , ad essa attribuita dalla Corte catanzarese. 3.4 - Pertanto, nella specie, il superamento del limite di età - peraltro già sussistente al momento della conclusione del contratto e considerato nella relativa stipulazione - non può costituire un legittimo motivo di recesso della Regione e può comportare la nullità del contratto in oggetto ex art. 1418 cod. civ., per contrarietà a norma imperativa, in quanto manca il presupposto della norma imperativa sicché il suddetto elemento non è configurabile come un vizio originario del contratto stesso, idoneo in mancanza di specifica previsione contrattuale in tal senso, a legittimare il recesso unilaterale dell'Amministrazione regionale. Infatti, il contratto di diritto privato in questione costitutivo del rapporto di lavoro autonomo, previsto dalla legge per il conferimento delle funzioni di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale è assoggettato, nella fase dell'esecuzione, unicamente alle norme del codice civile. Inoltre, è altresì di tutta evidenza che essendo le norme sulla durata minima del contratto di natura speciale , le medesime prevalgono su qualsivoglia normativa generale che consente l'interruzione del rapporto prima del decorso di periodo a meno della ricorrenza di determinate ipotesi espressamente previste, legate al comportamento del prestatore d'opera e che nella specie non si verificano. Di qui l'accoglimento del primo motivo. 4. Il secondo motivo deve, invece, essere dichiarato inammissibile, in quanto le argomentazioni in esso sviluppate risultano generiche e prive di specifico riscontro nella motivazione della sentenza impugnata. Esse, inoltre, fanno riferimento ad istituti del diritto pubblico non pertinenti nella presente fattispecie, la quale, per quel che si è detto, risulta regolata dal diritto privato, il che comunque comporta il rispetto da parte della Amministrazione regionale dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost., a prescindere dallo specifico riferimento all'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, introdotto nel corpo di questa legge dall'art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, in vigore dall'8 marzo 2005. IV - Conclusioni 5.- In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e il secondo va dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bari, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente l'art. 1418 cod. civ., nella parte in cui prevede che il contratto è mulo quando è contrario a norme imperative è applicabile anche alle norme regionali, purché emanate nel rispetto del riparto delle competenze legislative Stato-Regioni delineato dall'art. 117 Cost. Pertanto, nell'ipotesi di conferimento da parte di una Regione di un incarico dirigenziale di durata quinquennale ad soggetto esterno alla propria Amministrazione, sulla base di un contratto a tempo determinato prevedente espressamente che l'incaricato aveva al momento della stipula un'età superiore agli anni settanta con esplicito richiamo alla allora vigente normativa statale che in tali casi non fissava alcun limite di età , la suddetta disposizione codicistica non può essere interpretata nel senso di legittimare il recesso unilaterale della Regione dal rapporto di lavoro così instaurato, per asserita conclusione del contratto in violazione di norma imperativa, assegnando tale rango ad una normativa regionale oltretutto riguardante una diversa ipotesi alla quale si attribuisca il significato di influire sul regime di un rapporto che, invece, è disciplinato dalle disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato nel settore privato art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 29 del 1993 , disposizioni che come tali sono di esclusiva competenza statale . P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bari.