Il CCNL è chiaro: comporto e aspettativa sono istituti connessi

La consequenzialità del periodo di aspettativa rispetto al superamento del comporto rende evidente la connessione tra i due istituti perché si possa procedere al licenziamento, quindi, il datore deve dar conto dei giorni conteggiati anche nel primo periodo di malattia.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22392/12, depositata il 10 dicembre. Il caso. Un dipendente avviato obbligatoriamente al lavoro con invalidità dell’80% viene licenziato per superamento del periodo di aspettativa per malattia. La domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento viene respinta in entrambi i gradi di merito e l’uomo decide pertanto di ricorrere per cassazione. La comunicazione dei motivi è avvenuta tardivamente. Il licenziato contesta anzitutto la tardività della comunicazione dei motivi di licenziamento a seguito di tempestiva richiesta da parte sua il datore può procedere alla risoluzione del rapporto solo se, oltre al periodo di comporto, è decorso anche quello di aspettativa senza che il lavoratore abbia ripreso servizio. La società, invece, avrebbe informato l’istante del superamento del periodo di aspettativa oltre il termine di sette giorni di cui all’art. 2, l. n. 604/1966 e solo dietro sua richiesta. La motivazione del licenziamento, alla luce di questi rilievi, non sarebbe stata pertanto sufficientemente specifica e completa, anche perché la lettera non faceva alcun riferimento al periodo di comporto e ad un eventuale superamento dello stesso, onde il lavoratore non poteva chiedere la specificazione delle assenze computate dalla società. La formulazione dell’eccezione di illegittimità. Il ricorrente lamenta poi violazione di legge in ordine all’interpretazione letterale dell’eccezione di illegittimità del licenziamento per mancato superamento del periodo di comporto formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. infatti egli aveva formulato l’eccezione citando anche la non computabilità delle assenze per malattia dovute allo svolgimento di mansioni incompatibili e, comunque, di quelle non comunicate/contestate nei modi e tempi previsti la motivazione sarebbe pertanto insufficiente, dal momento che l’azienda non avrebbe assolto l’onere probatorio relativo al raggiungimento di un numero di assenze superiore al periodo di comporto. La connessione tra comporto e aspettativa. Nell’esaminare il caso, gli Ermellini si occupano anzitutto della questione relativa alla rilevanza del comporto nei confronti dell’aspettativa l’interrogativo è se il primo rappresenti un mero presupposto storico della seconda o se, in caso di superamento del periodo di aspettativa, il fatto che sia stato superato anche il comporto rappresenti uno degli elementi di una fattispecie unitaria che come tale deve essere presa in esame. Richiamando la normativa prevista dal CCNL di riferimento, la S.C. evidenzia la consequenzialità dell’aspettativa al superamento del comporto, che rende evidente la connessione tra i due istituti perché si possa procedere al licenziamento, quindi, il datore deve dar conto dei giorni conteggiati anche nel primo periodo di malattia. Del resto, la stessa strutturazione del ricorso presentato dal lavoratore ex art. 414 c.p.c. denota ulteriormente il collegamento in questione la mancata valutazione dell’autonomia del primo dei motivi di impugnativa si traduce in un vizio di motivazione nell’attività di interpretazione dell’atto e di identificazione della volontà della parte riguardo le finalità dalla stessa perseguite. Il lavoratore ha diritto alla precisazione di tutte le assenze. Con riferimento al licenziamento che si giustifichi nelle assenze per malattia del lavoratore, inoltre, l’atto deve contenere la precisazione delle assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro cfr. art. 2, l. n. 604/1966 in caso contrario è diritto del lavoratore chiedere la specificazione di tale aspetto e, in caso di mancata ottemperanza, di tali assenze non si potrà tener conto ai fini della verifica del superamento del comporto. L’applicabilità della norma richiamata si giustifica con la ratio di consentire al lavoratore di venire adeguatamente e immediatamente informato delle precise ragioni e motivazioni dell’atto espulsivo, così da poter opporre rilievi di segno opposto, esigenza particolarmente avvertita nel caso di addebitato superamento del comporto c.d. per sommatoria. Affermati questi principi, la Cassazione rileva come nel caso di specie i giudici di merito abbiano fornito una motivazione contraddittoria laddove hanno affermato che la motivazione del recesso era esaustiva, così come la successiva risposta contenente il prospetto riassuntivo delle assenze, che al più sarebbe da considerarsi solo tardiva la Corte territoriale, infatti, non ha valutato le conseguenze di questa tardività e tale carenza, unitamente all’interpretazione della domanda introduttiva del giudizio, inficia la decisione adottata. Per questi motivi gli Ermellini cassano con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 ottobre – 10 dicembre 2012, numero 22392 Presidente De Renzis – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 25.9.2006, la Corte di Appello di Venezia respingeva il gravame proposto da T.L. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva rigettato la domanda proposta dal predetto, avviato obbligatoriamente al lavoro con invalidità dell'80%, intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli il 10.9.2002 per superamento del termine del periodo di aspettativa per malattia, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di legge e la condanna della società al risarcimento del danno biologico e morale ex art. 2087 c.c., per adibizione a mansioni incompatibili con il suo stato di salute. Osservava la Corte di Venezia che il 30.8.2002 l'azienda aveva comunicato al lavoratore la scadenza del periodo di aspettativa dallo stesso richiesta il 25.7.2001 e che, in assenza di qualsiasi contatto con la ditta e di ripresa del servizio, l'azienda l'aveva licenziato ai sensi dell'art. 19 c.c.numero l., che la censura di inefficacia del licenziamento ex art. 2 l. 604/66 era infondata perché i motivi erano stati indicati nella lettera di licenziamento e che la specificazione con lettera del 14.10.2002 allegato relativo ai giorni di assenza era superflua e tuttavia effettuata per ragioni di correttezza e trasparenza. Rilevava che erano state sempre assegnate al ricorrente mansioni compatibili con l'invalidità. In particolare, quanto al primo motivo di gravame, rilevava che il licenziamento era seguito a comunicazione del precedente 30 agosto di spirato termine del periodo di aspettativa per malattia e che il superamento del periodo di comporto non costituiva la motivazione del recesso ma solo un presupposto storico dello stesso, di tal che la comunicazione del licenziamento poteva ritenersi contenere già una sufficiente motivazione contestuale. Né il ricorrente in sede stragiudiziale aveva chiesto spiegazioni sui motivi del superamento del periodo di comporto e sulle assenze computate dalla società e sul perché avesse superato il periodo di aspettativa, per cui nessuna motivazione si imponeva, essendo esaustiva rispetto alla richiesta la motivazione contestuale al recesso. Inoltre, la motivazione del 14.10.2002 era completa per essere allegato al suo testo il prospetto riassuntivo delle assenze, potendo al più discutersi della sua tardività. Aggiungeva che le questioni proposte in sede di gravame connesse alla mancanza di superamento del comporto per impossibilità di computare nei giorni di malattia le assenze dovute ad incompatibilità con le mansioni d'adibizione o a quelle non preventivamente contestate e comunicate non potevano essere esaminate perché non dedotte già in primo grado. Infondate erano, poi, le ulteriori censure quella relativa alla deduzione che non risultava provata la richiesta di aspettativa anche per il mancato superamento del comporto, perché mancava la relativa prova, e quella afferente la erronea valutazione dell'ingiustificatezza della assenza al termine dell'aspettativa, per essere la mancata ripresa dovuta all'incompatibilità dello stato di salute del lavoratore con le mansioni affidategli, in quanto le caratteristiche di queste ultime erano state correttamente valutate dal primo giudice. Per la cassazione di tale decisione ricorre il T. , affidando l'impugnazione a tre motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c Resiste la FIAM s.p.a. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo, il T. deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 l. 604/66 e 2110 e. e, in relazione all'inefficacia del licenziamento per tardività della comunicazione dei motivi a seguito di tempestiva richiesta da parte del lavoratore, e violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2110 c.c. e dell'art. 19 del c.c.numero l. Metalmeccanica - Industria, ai sensi dell'art. 360, numero 3, c.p.c., nonché insufficiente, illogica o contraddittoria motivazione sul fatto della tardività della comunicazione dei motivi del licenziamento, controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, numero 5, c.p.c., osservando che l'art. 19 del c.c.numero l. prevede che il datore può procedere legittimamente alla risoluzione del rapporto solo se è superato il periodo di comporto ed è decorso anche quello di aspettativa senza che il lavoratore abbia ripreso servizio e che non è sufficiente pertanto il decorso del termine di aspettativa, che non è motivo sufficiente per intimare il licenziamento ai sensi del citato articolo. Rileva che, a fronte della motivazione generica e/o insufficiente fornita nella lettera di licenziamento del 10.9.2002, aveva chiesto, il 24.9.2002, di conoscere i motivi del recesso e che la FIAM, soltanto con lettera del 14.10.2002, quindi oltre il termine di sette giorni di cui all'art. 2 l. 604/66, aveva informato esso istante che non solo aveva superato il comporto ma anche il periodo di aspettativa, allegando conteggio delle assenze per malattia. Assume, in forza di tali rilievi, che la motivazione del licenziamento non era stata sufficientemente specifica e completa come richiesto dalla legge, richiamando precedenti giurisprudenziali di legittimità, ed aggiunge che, non contenendo la lettera di licenziamento una motivazione sufficiente e specifica, era facoltà del lavoratore chiedere la precisazione dei motivi ed obbligo del datore comunicare gli stessi nel prescritto termine di legge, cosa non avvenuta. Rileva, altresì, che nella lettera in oggetto non si faceva alcun riferimento al periodo di comporto e ad un eventuale superamento dello stesso, onde il lavoratore non poteva chiedere la specificazione delle assenze computate dalla società nel relativo periodo e comunque osserva che la comunicazione dei motivi era avvenuta tardivamente. All'esito della parte argomentativa, formula quesiti ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., con l'ultimo dei quali domanda se è vero che il licenziamento intimato ai sensi dell'art. 19 c.c.numero l. metalmeccanici al termine del periodo di aspettativa è legittimo solo se il lavoratore abbia superato anche il periodo di comporto per malattia e che, in tale fattispecie, se il lavoratore chieda i motivi che hanno determinato il recesso, il datore debba comunicare i fatti relativi al superamento del periodo di comporto e quelli relativi all'aspettativa. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli arti 1362 e ss. e 1324 c.c., in relazione all'interpretazione letterale dell'eccezione di illegittimità del licenziamento per mancato superamento del comporto formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. ed alla contestazione dell'aspettativa, ai sensi dell'art. 360, numero 3, c.p.c., nonché insufficiente e/o illogica motivazione sul medesimo fatto controverso e decisivo per il giudizio, anche in relazione al contenuto degli atti di causa, ai sensi dell'art. 360, numero 5, c.p.c Denunzia ulteriormente, ex art. 360 numero 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 5 della legge 604/66, in relazione all'illegittimità del licenziamento intimato dalla FIAM ed al conseguente onere probatorio sulla stessa incombente. Rileva al riguardo che nel ricorso ex art. 414 c.p.c. aveva formulato l'eccezione di illegittimità del licenziamento 1 per mancato superamento del periodo di comporto, 2 ed in ogni caso per non computabilità delle assenze per malattia dovute allo svolgimento di mansioni incompatibili 3 e, comunque, di quelle non comunicate/contestate nelle forme nei termini di cui all'art. 2 l. 604/66 e che quindi il giudice del gravame avesse male interpretato la domanda, con la conseguenza che la motivazione doveva ritenersi insufficiente ed illogica, non avendo provveduto la FIAM ad assolvere all'onere probatorio relativo al raggiungimento di un numero di assenze superiore al periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva. Procede, poi, ad una elencazione dei periodi di assenza per dimostrare il mancato superamento del comporto e ribadisce, inoltre, di avere fornito in ricorso una versione dei fatti incompatibile con la richiesta dell'aspettativa, avendo rilevato che la mancata prestazione era imputabile a mancata adibizione a mansioni compatibili e che pertanto andasse corrisposta la retribuzione. In ogni caso - aggiunge - non era stata provata la durata della pretesa aspettativa e, comunque, il superamento della stessa. Con specifico quesito, chiede affermarsi che, nel caso di interpretazione del contenuto di un atto giudiziario il giudice debba attenersi ai criteri di cui agli arti 1362 e ss. c.c., dando prevalenza al criterio dell'interpretazione letterale e che, in caso di impugnazione del licenziamento per superamento del comporto ed in generale in ogni altro caso di recesso, il datore di lavoro abbia l'onere di provare in giudizio, ai sensi degli artt. 1 e 5 l. 604/66, la sussistenza e fondatezza di tutti gli elementi di fatto posti a fondamento della motivazione stessa. Con il terzo motivo, il T. si duole, ai sensi dell'art. 360, numero 3, c.p.c., della violazione degli artt. 10 della legge 68/99 e 2087 del codice civile, in relazione all'obbligo del datore di lavoro di affidare al lavoratore invalido mansioni compatibili con il suo stato di salute, nonché, ai sensi dell'art. 360, numero 5, c.p.c., dell'erronea e/o illogica motivazione sul medesimo fatto controverso e decisivo per il giudizio, anche in relazione alle risultanze testimoniali. Denuncia, infine, ex art. 360, numero 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. in relazione alla richiesta di c.t.u. formulata in primo e secondo grado e non accolta, nonché erronea e/o illogica motivazione sul medesimo fatto controverso e decisivo, quale vizio di motivazione. Assume che non era stato considerato che le indicazioni/prescrizioni delle Commissioni Mediche in ordine alla compatibilità delle mansioni avevano carattere solo esemplificativo e che non erano stati valutati dal primo e dal secondo giudice elementi emersi dall'istruttoria in ordine al tipo di lavoro svolto, incompatibile con lo stato invalidità del lavoratore, idonei a rendere accoglibile l'istanza di ammissione di c.t.u. avanzata anche in secondo grado. Il primo ed il secondo dei motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per la parziale connessione delle questioni che ne costituiscono l'oggetto, sono fondati. La fattispecie in esame si riferisce ad una ipotesi di aspettativa seguita ad un periodo di comporto che si assume scaduto il 25.2.2001 e la questione da affrontare investe in primo luogo la rilevanza del comporto nei riguardi dell'aspettativa, occorrendo stabilire se il primo rappresenti un mero presupposto storico della seconda ovvero se, nella valutazione della vicenda lavorativa e di un provvedimento datoriale che abbia ritenuto il superamento del periodo di aspettativa, attribuendo rilievo alla mancata ripresa del servizio alla sua scadenza, il superamento anche del comporto rappresenti uno degli elementi di una fattispecie unitaria che come tale deve essere presa in esame. Al riguardo vale richiamare la normativa del CCNL 8.6.1999 di riferimento, la quale all'art. 19, comma 1, prevede che Resta espressamente convenuto che superati i limiti di conservazione del posto di cui sopra il lavoratore potrà usufruire, previa richiesta scritta, di un periodo di aspettativa della durata di mesi 4, durante il quale non decorrerà retribuzione, né si avrà decorrenza di anzianità per nessun istituto. A fronte del protrarsi dell'assenza a causa di malattia grave e continuativa, periodicamente documentata, il lavoratore potrà usufruire, previa richiesta scritta, di un ulteriore periodo di aspettativa fino alla guarigione clinica, debitamente comprovata che consenta al lavoratore di assolvere alle precedenti mansioni e comunque di durata non superiore a complessivi 18 mesi continuativi . Al comma 3 del richiamato articolo contrattuale è, poi, previsto che Decorso anche il periodo di aspettativa senza che il lavoratore abbia ripreso servizio, l'azienda potrà procedere alla risoluzione del rapporto . Orbene, la consequenzialità dell'aspettativa al superamento del comporto, delineata dalla norma contrattuale, rende evidente la connessione tra i due istituti e quindi deve ritenersi che l'esigenza di specificazione dei motivi del licenziamento, palesata dal lavoratore e posta a garanzia del diritto del predetto alla verifica del corretto esercizio del potere datoriale in ossequio ai generali principi di correttezza e buona fede, imponeva al datore di lavoro di dare contezza dei giorni conteggiati anche nel primo periodo di malattia per ritenere realizzata la fattispecie che consentiva l'intimazione del licenziamento. Peraltro, anche nel ricorso ex art. 414 c.p.c., come specificato nel motivo sub 2 in ossequio al principio dell'autosufficienza, il ricorrente ha impugnato il licenziamento preliminarmente per mancato superamento del periodo di comporto ed in ogni caso, per non computabilità nel periodo stesso delle assenze per malattia dovute a svolgimento di mansioni incompatibili e, comunque, di quelle non comunicate/contestate nelle forme e nei termini di cui all'art. 2 l. 604/66. Ciò denota ulteriormente il dedotto collegamento, osservandosi che la mancata valutazione dell'autonomia del primo dei motivi di impugnativa si traduce in un vizio di motivazione nell'attività di interpretazione dell'atto e di identificazione della volontà della parte riguardo alle finalità dalla stessa perseguite, in relazione alla quale è consentito il controllo del Giudice di legittimità, in un ambito in cui la predetta volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall'interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal Giudice cfr. Cass. 6 febbraio 2006, numero 2467 e, nel senso riportato, Cass. 8.8.2006 numero 17947 . È principio pacifico quello che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non al licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo e che a ciò consegue che il datore di lavoro non ha l'onere di indicare le singole giornate di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive come la determinazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato cfr., tra le altre, Cass. 25.11.2010 numero 23920, Cass. numero 11092 del 2005 . Ma è altrettanto pacifico che, con riferimento al licenziamento che trovi giustificazione nelle assenze per malattia del lavoratore, si applicano le regole dettate dall'art. 2 della legge numero 604/1966 modificato dall'art. 2 della legge numero 108 del 1990 sulla forma dell'atto e la comunicazione dei motivi del recesso, poiché nessuna norma speciale è al riguardo dettata dall'art. 2110 cod. civ Conseguentemente, qualora l'atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l'esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, e, nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, di dette assenze non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto ove, invece, il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del periodo di comporto, non essendo ravvisarle in ciò una integrazione o modificazione della motivazione del recesso cfr., in tale senso Cass. 13.7.2010 numero 16421, coni Cass. 3.8.2004 numero 14873 . La applicabilità della norma di cui all'art. 2 della legge 108/90 anche al licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c. appare sicuramente rispondente alle finalità e alla ratio della norma stessa, quelle cioè di consentire al lavoratore, su sua richiesta, di venire adeguatamente, e immediatamente dopo il licenziamento, a conoscenza delle precise ragioni e motivazioni dell'atto espulsivo -e ciò anche al fine di poter eventualmente opporre rilievi o diverse ragioni, anche sui criteri di computo del periodo di comporto - e di far fronte così a una esigenza particolarmente avvertita proprio nel caso di addebitato superamento del comporto c.d. per sommatoria, cfr., in argomento, Cass. 20.12.2002 numero 18199 Cass. 716/1997 . Avendo pacificamente nel caso esaminato il ricorrente, in data 24.9.2002, richiesto di specificare i motivi del recesso ed avendo la società solo in data 14.10.2002 informato il lavoratore del superamento di entrambi i periodi di comporto ed aspettativa con allegazione delle giornate di assenze per malattia, deve ritenersi che il giudice del gravame abbia fatto non corretta applicazione della norma menzionata e che abbia fornito una motivazione inadeguata e contraddittoria laddove ha affermato che la motivazione contestuale del recesso era esaustiva e che era esaustiva anche la risposta del 14.10.12002, contenendo il prospetto riassuntivo delle assenze, con la conseguenza che la risposta dovrebbe ritenersi, al più, solo tardiva . Non ha però valutato le conseguenze di tale tardività e tale carenza, unitamente a quella sopra indicata relativa all'interpretazione della domanda introduttiva del giudizio, inficia la decisione adottata, che deve essere cassata in relazione alle censure accolte, restando assorbite le altre, non esaminate nella presente sede. La causa va rinviata ad altro giudice di pari grado, che si designa nella Corte di Appello di Trieste, la quale procederà a nuovo esame ed appronterà adeguata motivazione tenendo anche conto dei principi sopra enunciati, provvedendo, altresì, sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trieste.