Finge un licenziamento pur di avere l’indennità di disoccupazione

Non rileva che la legge o il contratto collettivo prescrivano la forma scritta ad substantiam per il licenziamento e le dimissioni. La risoluzione per mutuo consenso è valida anche per comportamenti concludenti.

Con la sentenza n. 21512, depositata il 30 novembre 2012, la Corte di Cassazione spegne così le speranze di un lavoratore . Facciamo finta che Il datore di lavoro un albergatore. Il dipendente un lavoratore che non vuole rinunciare all’indennità di disoccupazione. Il rapporto di lavoro non dura neanche da tre mesi. Entrambi sono d’accordo nel cessare la collaborazione. Ma così andrebbe persa l’opportunità di fruire dell’indennità. La soluzione fingono un licenziamento, causa riduzione del personale. L’accordo salta. Ma il licenziato , domanda al Giudice del lavoro di essere riassunto. Esclusa la simulazione, viene riconosciuta l’illegittimità del licenziamento. Il datore viene, quindi, condannato a riassumere il lavoratore. Decisione ribaltata in appello. Le acquisizioni testimoniali evidenziano chiaramente che il licenziamento dissimulava un accordo risolutorio. Il simulatore non si dà per vinto. Ricorre in Cassazione. Ritiene violate due norme l’art. 421 c.p.c. sui poteri istruttori del giudice del lavoro l’art. 2725 c.c., norma che stabilisce, per gli atti per cui è richiesta la forma scritta ad probationem , che la prova per testimoni è ammessa solo se il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. No alla prova orale? Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado non avrebbe dovuto ammettere la prova orale, perché essa non può smentire il contenuto del licenziamento. Inoltre, l’accordo dissimulato, essendo un atto di dimissioni, si sarebbe dovuto formulare per iscritto, come richiesto dal CCNL di riferimento. Maggiore libertà istruttoria per il Giudice del lavoro. A tal proposito la Cassazione precisa, richiamando anche i suoi precedenti, che l’art. 421 c.p.c. nell’attribuire al giudice del lavoro la responsabilità ed il potere di ammettere ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti dal codice per alcuni tipi di contratto , ma ai limiti fissati da detto codice alla prova testimoniale, in via generale nonché, in tema di simulazione . No alla forma scritta se c’è mutuo consenso. Inoltre, è valida la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, anche se è desumibile solo da comportamenti concludenti delle parti. Non conta che legge o contratto collettivo prevedano la forma scritta obbligatoria per licenziamenti o dimissioni, atti unilaterali. In tal modo, infatti, non viene escluso che siano valide tutte quelle manifestazioni bilaterali dell’autonomia negoziale che danno luogo alla fattispecie della risoluzione consensuale del contratto .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 ottobre – 30 novembre 2012, n. 21512 Presidente Lamorgese – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con sentenza n. 790/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Livorno respingeva la domanda di risarcimento del danni per demansionamento proposta da S G. nei confronti dell'Albergo Baia Etrusca di Tognarini Germana e C. s.n.c. e, seppure riteneva l'esistenza di un accordo tra le parti per formalizzare l'avvenuta risoluzione consensuale del rapporto di lavoro durato dal 21 gennaio al 3 marzo 2003, come licenziamento per riduzione di personale, escludeva che allo stesso potesse applicarsi la simulazione e dichiarava comunque la illegittimità del licenziamento medesimo, con la condanna della convenuta a riassumere il lavoratore o, in alternativa, a pagargli 2,5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda e con la condanna del G. al pagamento dell'indennità di preavviso, richiesta con domanda riconvenzionale in primo grado. In sostanza la società lamentava la mancata applicazione dell'istituto della simulazione all'accordo intervenuto tra le parti e all'atto unilaterale recettizio del licenziamento, intimato in esecuzione dell'accordo stesso per consentire al G. di fruire dell'indennità di disoccupazione. Il G. si costituiva resistendo al gravame di controparte e spiegando appello incidentale avverso la compensazione delle spese disposta dal primo giudice. La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza depositata il 30-4-2008, in accoglimento dell'appello principale rigettava la domanda del Galicani e lo condannava al pagamento delle spese del doppio grado. In sintesi la Corte territoriale, premessa la applicabilità dei commi 1 e 2 dell'art. 1414 c.c., ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, anche agli atti negoziali unilaterali recettizi e ritenuta la ammissibilità e la piena utilizzabilità delle prove per testi raccolte in primo grado ai sensi dell'art. 421 c.p.c., affermava che la sentenza del primo giudice era affetta da un'insanabile contraddizione tra le valutazioni di fatto dello stesso giudicante e l'esito tecnico-giuridico radicalmente incoerente con valutazioni pienamente in linea con le acquisizioni testimoniali raccolte , le quali evidenziavano chiaramente che il licenziamento dissimulava chiaramente un accordo risolutorio. Per la stessa ragione, poi, la Corte rilevava che non spettava alla società l'indennità di preavviso. Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto ricorso con quattro motivi. L’Albergo Baia Etrusca di Tognarini Germana e C s.n.c. ha resistito con controricorso. Infine il G. costituitosi con l’avv. Fabrizio Callaioli in sostituzione dell'avv. Giorgio Bellotti nel frattempo deceduto ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 421 c.p.c. e 2725 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto le eccezioni di inammissibilità mosse in relazione alle prove orali del primo grado, accogliendo di conseguenza l'appello della società datrice di lavoro. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha considerato il disposto di cui all'art. 2725 c.c., e neppure ha tenuto conto che l’art. 421 c.p.c. non può consentire l'acquisizione di prova orale tesa a smentire il contenuto di un atto risolutivo del rapporto di lavoro, sia esso proveniente dal datore licenziamento o dal dipendente dimissioni . Con il secondo motivo il G. , denunciando violazione dell'art. 2725 c.c., deduce che, ove anche si ponga l'attenzione sul presunto accordo risolutorio, non può sostenersi che tale accordo non sia soggetto ai divieti stabiliti da tale norma, in quanto in sostanza dissimulerebbe un atto di dimissioni, da formularsi comunque per iscritto ai sensi del ceni applicabile Alberghi Confcommercio . Il ricorrente in particolare afferma che la simulazione, in ipotesi analoghe, può essere dimostrata solo con una scrittura retrostante da cui emerga una volontà di entrambe le parti diversa da quella apparente con l'atto simulato. È pertanto giustamente invocabile anche per queste ipotesi l'applicazione dell’art. 2725 c.c. . 1 detti motivi, connessi tra loro, non meritano accoglimento. Come è stato più volte affermato da questa Corte, l'art. 421, comma secondo, parte prima, cod. proc. civ., nell'attribuire al giudice del lavoro la responsabilità ed il potere di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti dal codice per alcuni tipi di contratto sia ad substantiam che ad probationem , ma ai limiti fissati da detto codice alla prova testimoniale, in via generale, negli articoli 2721, 2722 e 2723 cod. civ. , nonché, in tema di simulazione, dall'art. 1417 dello stesso codice v. Cass. 29-7-2009 n. 17614, Cass. 26-6-2004 n. 11926, Cass. 17-4-2009 n. 9228, Cass. 21-5-2002 n. 7465, Cass. 28-12-1996 n. 11540, Cass. 28-10-1995 n. 11255 . Peraltro nel regime anteriore alle garanzie recentemente introdotte, unitariamente, sia per le dimissioni che per la risoluzione consensuale del rapporto, dalla legge n. 92 del 2012, all'art. 4 commi 16 e ss. è consolidato il principio secondo cui la particolare disciplina stabilita, in materia di estinzione del rapporto di lavoro subordinato, dagli artt. 2118 e 2119 cod. civ. che prevedono atti unilaterali di recesso sia in caso di licenziamento intimato dal datore di lavoro, che di dimissioni rassegnate dal lavoratore, non esclude che siano valide ed operative tutte quelle manifestazioni bilaterali dell'autonomia negoziale che danno luogo alla fattispecie della risoluzione consensuale del contratto. È valida, pertanto, la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, ancorché desumibile da comportamenti concludenti delle parti, a nulla rilevando che la legge o il contratto collettivo prescrivano la forma scritta ad substantiam per il licenziamento e le dimissioni. v. Cass. 1-2-1989 n. 617, cfr. fra le altre Cass. 5-2-1993 n. 1431, Cass. 20-11-1997 n. 11577, Cass. 4-6-2002 n. 8102 . Del resto nello stesso regime è stato anche precisato che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non è equiparabile alle dimissioni, con la conseguenza che non richiede la forma scritta ove la stessa sia prevista dalla contrattazione collettiva di settore solo per l'atto di dimissioni v. da ultimo Cass. 7-2-2011 n. 2982 . Orbene nella fattispecie la Corte territoriale ha ritenuto la ammissibilità e la piena utilizzabilità della prova testimoniale, alla luce delle cui risultanze, richiamate in sentenza, ha affermato che il licenziamento de quo in realtà dissimulava una risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Tale decisione, è conforme ai principi sopra richiamati e resiste alle censure avanzate dal ricorrente, considerato che nella specie non ricorreva l'ipotesi di cui all'art. 2725 c.c., non essendo Tatto dissimulato soggetto a vincoli di forma. Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che la parte datoriale abbia argomentato sin dall'inizio dell'accordo simulato , essendo invece palese la sua insistenza sulla legittimità del licenziamento ed avendo la società fatto ricorso alla simulazione soltanto con Tatto di appello. Anche tale motivo non merita accoglimento. Sul punto la Corte di merito ha rilevato che seppure corrisponda al vero che Baia Etrusca non abbia nella memoria di costituzione in primo grado richiamato le disposizioni codicistiche degli artt. 1414 ss., essa ha chiaramente fatto riferimento a circostanze la volontà di G. di abbandonare il posto di lavoro e di non scegliere le dimissioni per non perdere la possibilità di fruire dell'indennità di disoccupazione l'accordo per un licenziamento per riduzione di personale, dimostrato dal fatto di avere G. il giorno successivo a tale provvedimento richiesto l'invio della documentazione necessaria per ottenere detto beneficio .le quali abilitano l'autorità giudiziaria a qualificare in tale veste simulatoria quanto avvenuto fra le parti al momento della decisione di porre termine al rapporto di lavoro . Sulla base della rituale e tempestiva allegazione di tali circostanze di fatto legittimamente i giudici di merito hanno qualificato la fattispecie nel quadro della simulazione. Del resto la motivazione in fatto risulta senz'altro congrua, e, a ben vedere, il ricorrente neppure denuncia un vizio di ultra o extra petizione. Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando ulteriore vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che esso appellato non abbia insistito nello smentire le argomentazioni di fatto relative all'accordo dissimulato, laddove dalla lettura della comparsa di costituzione in appello emergeva invece il contrario. Tale ultimo motivo risulta inammissibile, in quanto rivolto contro una argomentazione chiaramente svolta soltanto ad abundantiam dalla Corte di merito A tutto ciò si aggiunga che nell'atto di resistenza in appello la difesa di S G. non accenna neanche incidentalmente alla insussistenza dell'accordo risolutorio . v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 16-9-2010 n. 19588, Cass. 28-3-2006 n. 7074, Cass. 23-11-2005 n. 24591, Cass. 17-2-2004 n. 3002-. Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo, alla stregua dei parametri di cui al d.m. n. 140/2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali v. Cass. S.U. 12-10-2012 n. 17405 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla società controricorrente le spese, liquidate in Euro 50,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.